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E&P 2012, 36 (1) gennaio-febbraio, p. 12-12
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Caro Direttore, secondo il Professor Terracini, i risultati della sorveglianza della patologia tumorale nell’Esercito sarebbero derivati da campioni di rappresentatività incerta e fornirebbero stime di rischio inaffidabili, in quanto le diagnosi non sarebbero raccolte attraverso una ricerca attiva, ma mediante «non meglio specificate segnalazioni».
In realtà, lo scopo principale dell’intervento in questione non è quello di presentare delle stime di rischio, quanto piuttosto di fornire, sulla base dei dati disponibili nella letteratura scientifica, un aggiornamento della situazione relativa alla morbosità per cancro nel contesto militare, a distanza di dieci anni dalla pubblicazione dei risultati della Commissione Mandelli. Informazioni dettagliate inerenti al tipo di studio effettuato sui militari dell’Esercito, i soggetti inclusi nello studio, le modalità di raccolta dei dati relativi ai casi di cancro, le metodiche utilizzate per la formulazione delle stime del rischio ed il funzionamento del sistema di sorveglianza, sono già state illustrate altrove.1
Le procedure seguite per la raccolta dei casi di cancro incidenti nella popolazione militare sono tipicamente quelle di un sistema di sorveglianza passivo, con tutte le note limitazioni di questi sistemi, costituite principalmente dalla mancata rilevazione (e quindi registrazione) di parte della casistica. Il «cosiddetto registro tumori delle forze armate» che, secondo il Professor Terracini, sarebbe stato avviato dieci anni fa, in realtà non è mai stato (purtroppo) costituito e le relative motivazioni sono esplicitate nelle conclusioni dell’Intervento. Di conseguenza, in assenza di una struttura specifica dedicata alla ricerca attiva ed alla registrazione dei casi di tumore, ma soprattutto in assenza di una normativa che consenta, su scala nazionale, la tracciabilità nelle strutture sanitarie dei casi di cancro che insorgono nei militari (con particolare riguardo a quelli congedati), l’attuale sistema di sorveglianza, pur con tutti i limiti del caso, costituisce al momento l’unica fonte possibile di dati.
Quanto ai relativi costi, data l’estrema esiguità del personale coinvolto, l’attività di sorveglianza non comporta specifici oneri di spesa.
Gli autori dell’Intervento sono ben consci dei limiti dei risultati ottenuti e proprio per questo hanno cercato di stimare le dimensioni reali della morbosità per cancro nei militari: pur con tutte le riserve e le cautele del caso, il numero stimato dei casi incidenti (inclusa l’aliquota di casi che sfugge alla sorveglianza) non sembra essere superiore a quello dei casi attesi (con l’unica importante eccezione del cancro della tiroide, per il quale esistono tuttavia specifiche ipotesi interpretative).2
Infine, la considerazione che i risultati della sorveglianza non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio prestato nei Balcani non sembra essere una valutazione così azzardata... Accedi per continuare la lettura
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