Caro Direttore,

la decisione di pubblicare nel numero 5-6 del 2011 l’articolo di Peragallo et al sull’incidenza dei tumori nei reduci dalla guerra dei Balcani e l’editoriale di Roberta Pirastu che lo accompagna solleva inquietanti quesiti. C’è infatti da chiedersi che senso abbia dedicare pagine della rivista a riportare inaffidabili stime di rischio, derivate da campioni di rappresentatività incerta. Gli stessi autori ci raccontano che le diagnosi di cancro sono state raccolte attraverso non meglio specificate “segnalazioni” (anziché una ricerca attiva da parte della struttura deputata alla registrazione): un metodo di rilevazione assolutamente inadeguato, come è noto a chiunque abbia un minimo di esperienza in tema di registri di popolazione di patologia e come avrebbe dovuto essere noto a chi ha avviato dieci anni fa il cosiddetto registro tumori delle forze armate di cui ora si riconosce l’inefficienza (ma quanto è costato?). È pertanto inaffidabile qualsiasi confronto tra osservazioni su reduci italiani e osservazioni su reduci di altre nazionalità. Sono ugualmente inaffidabili i giudizi dell’editorialista che afferma: «I risultati nella coorte italiane non (sono) coerenti con i risultati di analoghe indagini […] in altre nazioni» e che «i risultati preliminari […] non supportano l’ipotesi che l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno». A monte di questo, è deplorevole che un editoriale di E&P non allerti esplicitamente il lettore sulla inattendibilità dei risultati che la rivista ha deciso di pubblicare, e che, anzi, rassicuri il lettore che lo studio «recepisce il suggerimento (da me enunciato nel 2006 nda) dell’aggiornamento […] dell’incidenza». In questi tempi di crisi, infine, è anche il caso che l’organo dell’Associazione italiana di epidemiologia solleciti la pubblicazione di un rendiconto scientifico (e finanziario) del progetto Signum, costato 2 milioni di euro e che avrebbe dovuto concludersi oltre quattro anni fa.

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