Lettere minuti di lettura
E&P 2021, 45 (1-2) gennaio-aprile, p. 4-5
DOI: https://doi.org/10.19191/EP21.1-2.P004.026
Comunicazione
Perché funziona? Riflessioni dopo 20 anni di ricerca clinica in agopuntura nel tentativo di capire perché l’intervento funziona e non solo se è migliore del controllo
Why does it work? Reflections after 20 years of clinical research in acupuncture, trying to understand why the intervention works and not only if it works better than the control
I primi studi clinici occidentali in agopuntura sono stati disegnati come efficacy trial, perché era prioritario capire se la popolarità dell’agopuntura tra i pazienti fosse attribuibile a suggestione oppure a un effetto specifico dell’intervento, cioè “se” l’agopuntura funzionava (la domanda dicotomica secondo Paolo Giorgi Rossi ed Eugenio Paci: se “i” funziona meglio di “c”).1 Il modello causale della medicina cinese tradizionale non permetteva di essere interrogato con metodo scientifico all’interno del proprio sistema: con questo tipo di studi, non si sarebbe tanto potuto rispondere alla domanda su “come” funzionasse l’agopuntura, in particolare in termini di validità del paradigma cosiddetto energetico, quanto eventualmente rigettare lo stesso in toto in caso di risultati negativi dei trial. Come controllo è stato proposto un placebo dell’agopuntura, la sham acupuncture, che al posto degli agopunti prevede l’utilizzo di varie forme di “agopuntura finta”: sono stati volta per volta utilizzati punti di agopuntura non indirizzati alla patologia in questione, punti non di agopuntura, la stimolazione lieve del punto invece dell’infissione dell’ago, fino ad arrivare a dispositivi che danno sia all’agopuntore sia al paziente l’illusione della penetrazione dell’ago. Il risultato dei trial, in particolare quando condotti su tre bracci (agopuntura vera vs sham vs usual care/waiting list) ha generato nuove domande, invece di fornire una risposta univoca al quesito iniziale (dicotomico): di solito si osserva una risposta all’agopuntura sham intermedia tra quella al terzo braccio e quella all’agopuntura vera, con alcune patologie in cui si mette in evidenza una differenza significativa da agopuntura vera e sham2 e altre, invece, in cui non si osserva alcuna differenza. La ricerca clinica in agopuntura, quindi, si è evoluta verso lo studio di quali siano i meccanismi che determinano la risposta anche nel caso di agopuntura finta (e perché questa sia differente), prendendo spunto sia dal corpus di conoscenze prodotto dai placebo studies sia misurando le risposte evocate da diverse stimolazioni della cute e del connettivo, sull’uomo o sull’animale, anche con tecniche di imaging cerebrale.
Inoltre, questi risultati hanno contribuito alla concettualizzazione dell’efficacy paradox,3 una chiave di lettura indispensabile per la valutazione di efficacia degli interventi definiti complessi (per esempio, fisioterapia, psicoterapia, infermieristica). A oggi si raccomanda il disegno di trial pragmatici che permettano di valutare i benefici dell’agopuntura in un contesto reale nel confronto con le altre opzioni terapeutiche disponibili. La risposta al perché l’agopuntura funziona (quando funziona) non potrà che derivare da una sintesi di tutte le evidenze, incluse quelle qualitative sulle aspettative dei pazienti e quelle precliniche sugli effetti fisiologici dell’infissione dell’ago: una sintesi che, nella sua esigenza di incorporare nel discorso livelli diversi (molecolare, cellulare, psicologico), non potrà che avere beneficio dal diffondersi di una epistemologia bayesiana, come suggerito da Giorgi Rossi e Paci per superare i limiti di una formulazione dicotomica dei quesiti di ricerca.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
- Giorgi Rossi P, Paci E. Perché funziona? Per costruire raccomandazioni migliori gli studi dovrebbero aiutarci a capire perché un intervento funziona, non solo se è migliore del controllo. Epidemiol Prev 2020;44(4):205-09.
- Linde K, Allais G, Brinkhaus B et al. Acupuncture for the prevention of episodic migraine. Cochrane Database Syst Rev 2016;2016(6):CD001218.
- Walach H, Falkenberg T, Fønnebø V, Lewith G, Jonas WB. Circular instead of hierarchical: methodological principles for the evaluation of complex interventions. BMC Med Res Methodol 2006;24:6:29.
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2.
Agopuntura e medicina di precisione
La medicina moderna riconosce nei trial clinici randomizzati un pilastro che guida l’impostazione della strategia terapeutica. Tuttavia, non bastano studi statistici e applicazione di algoritmi per ottenere risultati soddisfacenti. Basti pensare a quel 10-15% di soggetti con depressione diagnosticata che non rispondono al trattamento farmacologico (1). La ricerca traslazionale ha offerto interessanti evidenze sperimentalmente dimostrate sul perché di questa resistenza. Ogni individuo è unico in termini di metabolismo, di espressione di trasportatori a livello della barriera emato-encefalica, di attività di specifiche aree cerebrali e di sistemi di neurotrasmissione. E’ pertanto logico che non tutti rispondano alla stesso modo a un dato farmaco. Altra lezione viene dall’oncologia; frequentemente il percorso di diagnosi e cura è impostato sul fenotipo biologico del singolo paziente (2), con una mirata attenzione anche alla nutrizione, ai fattori psicosociali e ambientali. D’altronde, l’epigenetica ha evidenziato come stile di vita, ambiente e dieta influenzano l’espressione dei nostri geni, dimostrando, così, che “la vita” plasma continuamente i nostri tratti genetici. In quest’ottica, si può intravvedere anche nella medicina occidentale moderna una sfumatura di olismo.
Le malattie e la risposta terapeutica si esprimono in modo diverso nei singoli pazienti. Da queste considerazioni nasce la medicina personalizzata o di precisione, che amplia la propria visione anche agli aspetti nutrizionali e psicosociali. L’agopuntura rientra tra gli approcci terapeutici che, basandosi sull’unicità dell’individuo, non risponde bene ai criteri dei trial clinici, ma rientra a pieno titolo nella definizione di medicina di precisione. Come nella medicina occidentale, ci sono soggetti più o meno sensibili all’azione dell’ago, e qui la scienza ci dice che potrebbero entrare in gioco alterazioni individuali dei livelli di varie molecole, tra cui la colecistochinina. Inoltre, come si sta iniziando a fare anche in occidente, la medicina cinese accompagna il paziente anche correggendo la dieta e gli stili di vita, in questo modo agendo a livello epigenetico.
La medicina moderna è scientifica, necessita di dimostrazioni sperimentali di efficacia e vuole individuare i meccanismi d’azione che legano un dato agente eziologico alla malattia o un certo farmaco alla sua risoluzione. I progressi della medicina moderna sono strettamente dipendenti dalla ricerca fondamentale, che ha permesso di svelare molto dei meccanismi complessi alla base della salute e della malattia. Anche per l’agopuntura, molti risultati sperimentali sono stati pubblicati per capire come funziona. Helene Langevin ha dimostrato che l’infissione dell’ago attiva eventi di meccanotrasduzione, cioè un segnale meccanico viene convertito in segnale biochimico, e ha identificato la complessa rete connettivale che avvolge tutti i nostri organi come uno dei bersagli degli effetti terapeutici dell’agopuntura (3). Ancora più dati sono stati ottenuti per spiegare perché l’agopuntura funzione nel sedare il dolore acuto e cronico (4-6). Grazie al rilascio di neuromediatori indotto dall’ago, viene attivata la matrice del dolore e riprogrammata la corteccia somatosensitiva primaria, spiegando anche perché l’effetto dell’agopuntura si mantiene nel tempo.
In breve, il nuovo ”umanesimo” della medicina di precisione e l’approccio scientifico galileiano svelano, in parte, perché l’agopuntura funziona. Non c’è dubbio alcuno sulla necessità di continuare la ricerca sperimentale e clinica per interpretare l’agopuntura secondo i canoni della medicina occidentale.
Jeanette Maier
Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche
Università di Milano
- Front Pharmacol.2013; 4: 146.
- Clin Genet 2021 May 17. doi: 10.1111/cge.13998.
- FASEB J (2001) 15: 2275-2282
- Neurosci., 04 October 2019 | https://doi.org/10.3389/fnins.2019.01062
- Brain 2017, 140:914-927
- Pain 2017, 784-793
1.
Medicina tradizionale e valutazione degli interventi
Silvia Deandrea nel suo interessante intervento sul perché funziona? discute un tema controverso, la valutazione della medicina tradizionale o complementare. Una medicina che è interventistica, ma si è sviluppata del tutto indipendentemente- spesso contrapponendosi-alla cultura biomedica moderna e alle sue procedure di valutazione. In questi ambiti, l’uso del trial randomizzato (RCT) è stato assai poco utilizzato e quando lo è stato, come nel caso dell’agopuntura, la valutazione non è risultata convincente. Una parola che ben connota un intervento (agopuntura), trasferita nella nostra cultura biomedica, perde totalmente il suo significato originale perché è in altro contesto culturale. Diventa, per il mondo dove opera la biomedicina, solo un possibile intervento strumentale, da valutare come un qualsiasi farmaco o tecnologia. Questa assimilazione non è così scontata, perché la pratica della medicina alternativa e complementare continua nei fatti a connotarsi per i suoi significati e il suo senso, come avviene per l’esigenza di un approccio olistico, considerato comunque come necessario.
In realtà, ogni nostra narrazione medica di una innovazione tecnologica è sempre contestuale. Un esempio sono le valutazioni sulla genetica, giustamente, per esempio, sempre accompagnate da riflessioni etiche sulla possibile eugenetica o quelle sugli approcci di immunoterapia, in cui la speranza della cura si unisce al mistero e alle metafore sull’invasione. Oggi stiamo parlando di adolopment, cioè valutiamo se il contesto locale è in grado di accogliere le evidenze scientifiche globali, come per esempio le meta-analisi dei trial randomizzati realizzati in tutto il mondo e sintetizzati con complesse tecniche statistiche da adottare in una realtà professionale, culturale e sociale italiana o finlandese (proprio Deandrea sta lavorando per adattare le linee guida europee per diagnosi e terapia del tumore al seno alla realtà italiana). Un processo che la medicina delle evidenze sta cercando di governare, con risultati ancora incerti e da approfondire.
Il nostro approccio metodologico alla valutazione degli interventi, necessariamente riduzionista come è necessario in campo scientifico, non è oggi legato alla causalità meccanicistica. Esempio classico l’aspirina, di cui per decenni non abbiamo conosciuto i meccanismi d’azione, salvo oggi sapere tantissimo ma usarla quasi nello stesso modo. La cefalea dopo poche ore passa e la relazione temporale ci suggerisce la relazione causale. Non conosco, per mio limite, i trial clinici sull’effetto dell’aspirina nella cefalea, ma credo che possano porre molti dei problemi metodologici che troviamo nei trial clinici sull’agopuntura, cioè sono a black-box e scontano l’effetto placebo.
Non ci sono così tante discussioni sull’aspirina, come invece ci sono sull’agopuntura. La scienza ha costruito mondi separati, i laboratori, per studiare questi meccanismi. Oggi l’approccio basato sulle associazioni e la ripetibilità dei risultati, quello metodologico della evidence-based medicine, ha un ruolo importante, talvolta decisivo. Nella sham agupuncture si cerca di ricalcolare un valore medio dell’effetto causale considerando variabili non identificate a cui attribuire la stima media del successo, quindi l’effetto placebo diventa un mediatore in un modello causale. Legare a questa correzione la credibilità della stima è perlomeno misterioso, forse quanto la presenza delle streghe o dei meridiani.
Deandrea sottolinea come questi problemi siano affrontabili nel contesto di una multi-modalità interpretativa. Questo rimanda a una esplicitazione di una prassi valutativa che non sia soltanto fondata sul risultato statistico. L’interpretazione colloca il dato empirico in un contesto, possibilmente esplicito e chiaro, che sia capace di dare un significato causale a una pratica. In questo ambito di valutazione delle tecnologie, gli interventi che hanno mondi di riferimento altri rispetto a quelli della medicina biotecnologica, cioè la cultura dei meridiani, è difficile che possano accogliere procedure che sono da loro lontane e che, usando tecniche statistiche, portano a risultati che contrastano con la credenza. La medicina che oggi si esprime con le diverse narrazioni dell’innovazione tecnologica è consapevole che non tutto è riducibile ai soli studi empirici, e ammette, come spesso si fa, molte ragioni diverse per sostenere risultati empirici incerti, motivando l’uso al fine di limitare la sofferenza o nutrire la speranza. Esigenze di cui la scienza spesso non è opportuno che parli, come avviene per tanti altri aspetti della vita (forse per fortuna), ma che comunque possono trovare risposta solo in un confronto aperto, talvolta anche aspro. Tutto ciò non credo però sia sufficiente a giustificare l’uso di un intervento nella pratica clinica, come avviene con l’agopuntura.
3.
Quando i trial potrebbero bastare
Questo interessante dibattito sulla valutazione dell’efficacia dell’agopuntura fa emergere un paradosso: il trial randomizzato controllato, il disegno di studio paradigmatico della rivoluzione che ha dato un metodo scientifico alla medicina, si presta alla valutazione di qualsiasi intervento, a prescindere dalla scientificità del suo razionale. La sua epistemologia è barbarica: la pars destruens è ogni volta totale, per disegnare l’esperimento non abbiamo bisogno di alcuna conoscenza a priori e di nessuna ipotesi sul meccanismo d’azione di un intervento. La scienza può, o meglio deve, ogni volta ripartire da zero. Altre volte ho ritenuto questo un limite dei trial, o meglio un limite dei vari corollari che guidano l’analisi dei trial o l’uso delle evidenze dei trial al fine di formulare raccomandazioni. Infatti, quando si ha un modello di malattia chiaro e si ha una chiara ipotesi su come l’intervento interagisca sulla malattia, disegnare un trial che guardi solo alle conseguenze ultime e sia dimensionato sui patient-relevant outcome senza cercare di capire se gli outcome si modificano proprio perché l’intervento sta agendo come predetto, lo ritengo uno spreco di energie e di potenza degli studi (soprattutto quando si tenta di valutare l’efficacia di uno screening oncologico, che è il mio principale ambito di ricerca). Al contrario, nel caso dell’agopuntura trovo la versatilità e la forza primordiale del trial molto funzionali.
È infatti difficile pensare a un disegno sperimentale per valutare l'efficacia dell'agopuntura che prescinda dalla randomizzazione. Certo il placebo e il mascheramento dell’intervento sembrano chiaramente contrari al razionale dell’intervento, ma il mascheramento dell’intervento non è il punto centrale del trial. Inoltre, ciò è vero per moltissimi interventi come il counselling e gli interventi di promozione della salute o di formazione in generale: dovunque l’intervento agisca anche attraverso la modifica del processo cognitivo del paziente, sottrarre l’effetto placebo non è utile, né sensato. Al contrario, un disegno che voglia indagare meccanismi differenti dalla semplice "attività" dell'ago, dovrebbe astenersi dal tentativo di epurare l’intervento dalla parte di azione non meccanica e dunque non cercare di sottrarre l’effetto placebo. In questo il trial randomizzato può riuscire benissimo, in quanto non chiede di capire come funziona l’agopuntura, ma solo se funziona meglio di una ragionevole alternativa.
Nel caso dell’agopuntura, cercare di validare in uno studio sperimentale i meccanismi intermedi che costituiscono il razionale dell’intervento non farebbe altro che rendere evidente l’inconciliabilità dei due approcci culturali. Infatti, qualora si individuino i meccanismi biologici dell’azione e si dimostri che sono i fattori intermedi osservabili nei trial, che determinano l’effetto, non potranno mai essere espressi in un linguaggio che soddisfi entrambe le culture e solo casualmente in alcuni punti potranno suggerire analogie e interpretazioni ambigue e date col senno di poi.
Non c’è modo di riconciliare le due epistemologie. Ma il trial ha almeno il vantaggio di non pretendere una pubblica abiura da nessun intervento, lo può valutare senza condividerne il razionale o meglio ignorandolo. Lo so che questa non è sempre una buona idea e che sono stati condotti trial che hanno mostrato l’efficacia dei gruppi di preghiera (Goncalves 2017), ma l'alternativa è che l’agopuntura tradizionale rimanga una credenza, folcloristica, utile a far sentire bene la comunità di chi ci crede, e non uno strumento terapeutico.
Dopo qualche migliaio di trial sull’efficacia dell’agopuntura e qualche centinaio di revisioni sistematiche, di cui una parte consistente ha mostrato l’efficacia dell’agopuntura nel controllo del dolore, il dibattito sulla validità dell’agopuntura continua e non si fermerà con altri 1000 trial: quando si mostrerà efficace i detrattori penseranno che qualsiasi altra cosa funzionerebbe altrettanto, quando si mostrerà inefficace i sostenitori non l’abbandoneranno e sosterranno che non si può valutare il prodotto di una cultura con i metodi di un’altra. Ma almeno, date le premesse sul lag time fra intervento e beneficio atteso, e la tipologia di outcome, per la parte meno ideologicamente coinvolta della comunità scientifica e di pratica, i trial possono dare, ed hanno già dato, una quantificazione non distorta dei benefici o delle dimostrazioni di non inferiorità rispetto ad altri trattamenti dell’applicazione in specifici ambiti.
Insomma, anche se è proprio il contrario di quello che ritengo auspicabile come evoluzione del metodo scientifico in medicina, per una volta forse fermarsi a chiedersi “se funziona” senza cercare di capire “perché funziona” può essere saggio.
Gonçalves JPB, Lucchetti G, Menezes PR, Vallada H. Complementary religious and spiritual interventions in physical health and quality of life: A systematic review of randomized controlled clinical trials. PLoS One. 2017 Oct 19;12(10):e0186539. doi: 10.1371/journal.pone.0186539. PMID: 29049421; PMCID: PMC5648186.