La diffusione delle pubblicazioni in regime di open access è stata salutata negli ambienti istituzionali biomedici italiani come un progresso della democrazia, un modo per favorire la libera fruizione dei saperi scientifici.1 Se ne è fatta una questione di bandiera, perché l’open access è stato presentato come una modalità aperta di divulgazione del sapere senza barriere di alcun tipo tra sorgenti della conoscenza e lettori interessati al proprio empowerment. In realtà, l’open access è sì un regime di pubblicazione che consente al lettore di accedere gratuitamente, senza pagamento del download o dell’abbonamento, agli articoli di una data rivista; in compenso però le spese per la revisione critica e il processo editoriale sono a carico degli autori.

Un’osservazione superficiale di tale tipologia di contratto potrebbe indurre a pensare che esso rappresenti in sé una modalità deterrente nei confronti della produzione di articoli nei vari campi dello scibile scientifico, proprio perché prevede un onere economico per gli autori, invece che una remunerazione. È accaduto il contrario; infatti, il metodo quantitativo numerico (numero di pubblicazioni, numero di citazioni, h-index) adottato dall’università italiana in seguito alla legge Gelmini del 2011 per le decisioni circa gli avanzamenti di carriera pare adatto a stimolare preferenzialmente lo sviluppo del regime open access rispetto al regime di pubblicazione convenzionale. In realtà, il fatto di concedere maggiore visibilità all’opera del ricercatore a causa dell’eliminazione di ogni onere di spesa per il lettore, proietta il ricercatore verso la prospettiva di ricevere più citazioni per il suo studio. Ora in Italia, mentre le citazioni sono scarsamente valorizzate nella valutazione concorsuale di alcune figure del mondo della dirigenza (come i medici dirigenti del Servizio sanitario nazionale), esse sono gratificate di un valore notevole e codificato nelle procedure di valutazione della carriera accademica.2 Quindi un sistema di pubblicazione che consenta di acquisire un maggior numero di citazioni per il fatto di offrire maggiore visibilità e popolarità agli autori è destinato ad avere successo e guadagnare preferenze tra i ricercatori: questo è appunto accaduto per l’open access in Italia – ma anche, a onor del vero, in altre parti del mondo, come gli Stati Uniti o la Cina. In tutto il mondo, la forte domanda di pubblicazioni in open access ha spinto verso l’alto il suo pricing. A sua volta, la lievitazione del pricing (fino a 3.000 euro per articolo pubblicato, per esempio, nelle riviste del gruppo editoriale PLoS) ha alimentato diffusamente la malpractice editoriale dell’inflazione della coauthorship,3 cioè la cooptazione di molti autori fittizi, cui i veri autori sono costretti a mescolarsi per condividere le spese di pubblicazione altrimenti non sostenibili. I falsi coautori non solo lucrano la pubblicazione, ma anche le citazioni, talora in numero di svariate migliaia in caso di studi importanti che descrivano nuove efficaci procedimenti diagnostici o terapie innovative. L’h-index, cioè la misura che segnala con un semplice numero l’equilibrio tra la produttività e l’impatto del ricercatore, non è in grado di distinguere l’apporto fornito da ciascun autore alla realizzazione dello studio.4,5 Pertanto, i falsi coautori cooptati in uno studio, nel caso esso sia ripetutamente ed estesamente citato, ricevono lo stesso vantaggio degli autori veri.

Per frenare la proliferazione delle firme spurie e per scoraggiare le intese per la citazione massiccia e ripetuta di uno stesso articolo o di uno stesso autore (il cosiddetto citation gaming), qualcuno ha provato a ipotizzare meccanismi di valutazione premiale selettiva per i veri autori, i quali generalmente nei lavori con molte firme – che non siano linee guida o trial multicentrici – corrispondono ai nominativi riportati nei primi 3-4 posti della lista degli autori.6 A questi autori potrebbero essere dati coefficienti che moltiplicano il valore della pubblicazione. Questo rappresenterebbe anche un fattore deterrente per le collaborazioni multiple, perché essere inserito nella rosa dei coautori risulterebbe vantaggioso ai fini dell’idoneità nazionale solo a patto di rientrare tra i primi nomi. Ma la probabilità di debellare la malpractice della authorship inflation sarebbe molto più alta nel caso in cui i prezzi dell’open access venissero calmierati per intervento delle autorità regolatorie. In effetti un calo dei prezzi renderebbe possibile per i veri autori accollarsi integralmente le spese senza bisogno del concorso di falsi autori reclutati per ricevere da loro integrazioni economiche utili a coprire l’importo della article processing charge.
Quindi, è il caso di dire che con l’open access è stata contrabbandata come una battaglia per la libertà di accesso all’informazione scientifica un’operazione che si è tradotta più che altro in un lauto arricchimento delle case editrici – predatrici e non – attraverso la pratica di prezzi esorbitanti a danno dei medici e biologi della carriera universitaria, protesi all’acquisizione di un posto di professore associato od ordinario. Tutto questo – è il caso di dirlo – lo dobbiamo a una classe politica attenta alle esigenze delle multinazionali dell’editoria, dei biomedicali e della farmaceutica, ma pronta anche, nel contempo, ad allettare con speciose prospettive di rapida carriera un’intera generazione di squattrinati ricercatori universitari.7

Conflitti d'interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. De Castro P. Accesso aperto ai risultati della ricerca: un imperativo morale. Il Presidente dell’ISS, insieme ai presidenti di altri enti di ricerca e della CRUI, firmano, il 21 marzo 2013, un position statement per l’Open Access. Not Ist Sup Sanita 2013;26(4):7-10.
  2. Baccini A, De Nicolao G, Petrovich E. Citation gaming induced by bibliometric evaluation: A country-level comparative analysis. PLoS One 2019;14(9): e0221212.
  3. An JY, Marchalik RJ, Sherrer RL, Baiocco JA, Rais-Bahrami S. Authorship growth in contemporary medical literature. SAGE Open Med 2020;8: 2050312120915399.
  4. Hirsch JE. An index to quantify an individual’s scientific research output. Proc Natl Acad Sci U S A 2005;102(46):16569-72.
  5. Hirsch JE. An index to quantify an individual’s scientific research output that takes into account the effect of multiple coauthorship. Scientometrics 2010; 85(3):741-54.
  6. O’Brien J, Baerlocher MO, Newton M, Gautam T, Noble J. Honorary coauthorship: does it matter? Can Assoc Radiol J 2009;60(5):231-36.
  7. Loiacono L. ​Soldi per pubblicare ricerche: «Così i prof fanno carriera». Il messaggero, 26.04.2019. Disponibile all’indirizzo: https://www.ilmessaggero.it/italia/prof_ricerche_soldi-4451719.html

 

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