Abstract

Objectives: to estimate the contribution of locally-grown food consumption to perfluorooctanoic acid (PFOA) and perfluorooctane sulfonate (PFOS) human exposure. 

Design: residents of a PFAS-contaminated community of the Veneto Region (North-Eastern Italy) were categorized into two exposure groups, which refer to the period after the determination of serum levels of PFOA and PFOS conducted at baseline: 1. people drinking water filtered with double granular activated carbon (GAC) and not consuming locally-grown foods at all (reference group); 2. people drinking the same filtered water and which continue to consume only locally-grown foods. For each group, PFOA and PFOS daily intake rates (IR, ng/kg-day) were derived from measured PFOA and PFOS concentrations in treated water and local vegetable and animal food matrices. Then a one-compartment pharmacokinetic model was applied to predict PFOA and PFOS serum concentrations over time and the time needed to fall below a clinically significant threshold level of PFOA and PFOS (e.g., 20 ng/mL). 

Setting and participants: the study area included 21 municipalities and 3 provinces (Vicenza, Verona, and Padua) located in the Veneto plain. Approximately 127,000 people lived in the most PFAS-contaminated areas on 31.12.2016; those aged 9 to 65 years were invited to participate in the Health Surveillance Plan (HPS), including laboratory tests and medical examination.

Main outcomes measures: predicted PFOA and PFOS serum levels (ng/mL) among residents in the contaminated area.

Results: compared to the reference group, residents who continued to consume locally-grown foods had an approximately 24% higher IR of PFOA and PFOS and this resulted in 3 more years for their PFOA and PFOS concentrations to fall below the threshold level of 20 ng/mL. 

Conclusions: this study showed that the contribution of locally-grown food consumption cannot be ignored for people living in PFAS-contaminated areas.

 Keywords: , , , ,

Riassunto

Obiettivi: stimare il contributo del consumo alimentare locale all’esposizione ad acido perfluoroottanoico (PFOA) e acido perfluoroottansulfonico (PFOS). 

Disegno: i residenti di una comunità contaminata da PFAS della Regione Veneto (Italia nord-orientale) sono stati classificati in due gruppi di esposizione, che si riferiscono al periodo successivo alla determinazione dei livelli serici di PFOA e PFOS effettuata al baseline: 1. coloro che bevono acqua potabile filtrata con doppio carbone attivo granulare (GAC) e non consumano mai alimenti coltivati localmente (gruppo di riferimento); 2. quelli che bevono la stessa acqua filtrata e consumano esclusivamente e continuativamente alimenti coltivati localmente. Per ogni gruppo, sono stati calcolati i tassi di assunzione giornaliera di PFOA e PFOS (intake rate – IR, ng/kg-die) derivati dalle concentrazioni misurate di PFOA e PFOS nell’acqua trattata e nelle matrici alimentari locali vegetali e animali. Successivamente, è stato applicato un modello farmacocinetico monocompartimentale per stimare le concentrazioni sieriche di PFOA e PFOS nel tempo, e il tempo necessario per raggiungere un livello soglia clinicamente significativo di PFOA e PFOS (20 ng/ml). 

Setting e partecipanti: l’area di studio comprendeva 21 comuni appartenenti a 3 province (Vicenza, Verona, e Padova) situate nella pianura veneta. La popolazione che al 31.12.2016 viveva nelle aree più contaminate da PFAS era rappresentata da circa 127.000 persone; i residenti di età compresa tra 9 e 65 anni sono stati invitati a partecipare al piano di sorveglianza sanitaria, che comprendeva esami di laboratorio e visite mediche.

Principali misure di outcome: livelli sierici di PFOA e PFOS (ng/mL) predetti nei residenti nell’area contaminata.

Risultati: rispetto al gruppo di riferimento, i residenti che consumano soltanto alimenti coltivati localmente hanno un IR di PFOA e PFOS più elevato di circa il 24%, e questo ha comportato un aumento di circa 3 anni del tempo necessario per raggiungere una concentrazione di PFOA e PFOS al di sotto del livello soglia di 20 ng/mL.

Conclusioni: questo studio documenta che il contributo del consumo di alimenti locali non può essere ignorato e può rappresentare un’ulteriore fonte di esposizione per coloro che vivono in una comunità contaminata da PFAS.

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