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E&P 2019, 43 (1) gennaio-febbraio, p. 11-13
DOI: https://doi.org/10.19191/EP19.1.P11.011
Comunicazione
Vaccini, scienza, democrazia
Vaccines, science, democracy
Riassunto
Il complesso tema dei vaccini e della loro storia, intessuta di intricate questioni scientifiche, economiche, normative e di politica della scienza, rende difficile articolare ordinatamente i diversi argomenti.
Il complesso tema dei vaccini e della loro storia, intessuta di intricate questioni scientifiche, economiche, normative e di politica della scienza, rende difficile articolare ordinatamente i diversi argomenti.1,2
Il tema, peraltro, segnala fortemente la “crisi” di credibilità che la scienza sta affrontando,3,4 soprattutto, ma non solo, nel suo intersecarsi con l’uso istituzionale dei saperi scientifici da porre a fondamento delle scelte pubbliche (policy-related science).5,6 Tale “crisi” esprime peraltro un momento storico di revisione critica dei metodi di validazione di scienze e tecnologie e della stessa etica della ricerca, e un ripensamento del rapporto tra scienza e democrazia.
Questa crisi, tuttavia, si sta rivelando drammatica nell’ambito italiano, dove la limitata diffusione di una cultura scientifica, sociale e istituzionale sui rapporti tra scienza e istituzioni democratiche tende a offuscare il differente significato di “politica della scienza” (science policy) e “politicizzazione” (o strumentalizzazione politica) della scienza. Mentre la prima riflette sul “giusto posto” della scienza nelle società democratiche di diritto e sull’interazione dinamica tra ciò che collettivamente conosciamo e le nostre regole di convivenza, la seconda adotta in forma autoritativa un particolare esito scientifico, utilizzandolo direttamente come un potere che non va giustificato (in quanto scientificamente dimostrato).7
Ma proprio perché nelle cosiddette società knowledge-based – quali sono le contemporanee società tecnologicamente avanzate – la scienza è un potere, diventa fondamentale che i saperi da porre a fondamento delle scelte pubbliche passino attraverso adeguati processi di chiarificazione epistemica-e-democratica. Ciò significa, come ha ben chiarito la studiosa di science policy Sheila Jasanoff, che «le condotte e le pratiche valide (sound) nella scienza e nella democrazia si fondano sui medesimi valori. Fedeltà alla ragione e all’argomentazione; trasparenza sui criteri di giudizio e decisione; apertura alle critiche; scetticismo rispetto a valori dominanti acriticamente accettati; volontà di dare spazio alle voci dissenzienti, valutandone la validità; disponibilità a riconoscere le incertezze; atteggiamento critico di fronte alle autorità indiscusse; attenzione ai problemi di legittimazione e giustizia; equità nella comunicazione: tutti questi fattori si applicano ugualmente alla scienza e alla democrazia».8
Questa riflessione identifica, peraltro, anche il corretto significato dell’idea di “democratizzare la scienza”. Lungi dal rappresentare l’applicazione del voto di maggioranza alla validazione del sapere, tale espressione evoca la necessità di costruire le istituzioni che utilizzano i saperi scientifici in modi trasparenti, accessibili e affidabili, per scongiurare il rischio della tecnocrazia: il monopolistico binomio di sapere e potere autogarantiti in nome di una scienza fittiziamente neutrale. Come hanno precisato già da molti anni Liberatore e Funtowicz, correttamente intesa, una “società democratica della conoscenza” elabora le garanzie di trasparenza, accessibilità e controllo per il reperimento, la validazione e l’applicazione di tutta la conoscenza rilevante per le decisioni pubbliche; e si legittima come una “democrazia dell’esperienza”, che procede testando se stessa attraverso i saperi co-prodotti da una comunità estesa di esperti e revisori.9
Il clima “difensivo” che ha caratterizzato le controversie italiane sui vaccini – e che riflettono largamente il dibattito europeo, statunitense e internazionale8 – si posiziona nel solco di difesa tecnocratica e autoritaria della scienza che sta poveramente caratterizzando in Italia il tentativo (invece importante) di ripensare rilevanza, prestigio e reputazione della scienza attraverso ampie e aggiornate policies in cui “scienza e democrazia” riflettano i medesimi valori.
Un atteggiamento di mera contrapposizione, infatti, rischia di incidere negativamente sia sulla qualità del dibattito scientifico sia sulla qualità degli argomenti giuridico-politici. Il dibattito scientifico risulta certamente impoverito quando il timore di strumentalizzazioni volte a generare paure irrazionali si traduce nella minimizzazione dell’incertezza o incompletezza delle conoscenze scientifiche: ciò che dovrebbe invece costituire il cuore pulsante del metodo scientifico. Anche la (presunta) necessità di “legittimare” la scelta normativa coercitiva può indurre a semplificare i dati scientifici, per meglio giustificare la compressione dei diritti individuali. La semplificazione e la riduzione di incertezza di questioni scientifiche complesse, peraltro, favoriscono a propria volta l’adozione di strategie di policy semplificate e spesso impositive. È interessante qui ricordare l’editoriale di Nature del gennaio 2018, che associa l’opzione per l’obbligatorietà dei vaccini ad ordinamenti ancora privi di una solida tradizione democratica: «mostly the post-Soviet Union states».10
Ma la sottovalutazione a priori dell’incertezza scientifica è anche epistemologicamente ed educativamente indesiderabile ed inefficace: non solo non corrisponde allo stato attuale delle conoscenze statistiche e alle riflessioni sugli effetti imprevedibili di sistemi complessi (chiamati da Charles Perrow normal accidents11), ma soprattutto non fornisce ai cittadini gli strumenti di conoscenza adeguati a vivere in società che esigono la collettiva familiarizzazione con l’incertezza e con nozioni scientificamente sofisticate.
Per quanto riguarda poi gli argomenti normativi, un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale 5/201812 sul decreto, e poi legge (Decreto legge 73/ 2017 e Legge 119/2017), introduttivi dell’obbligo vaccinale esprime una visione preoccupante dei rapporti tra scienza e diritto e un approccio obsoleto alle dinamiche tra scienza e società. L’argomento – criticato da alcuni giuristi13 – riguarda l’assimilazione delle nozioni medica e giuridica di “raccomandazione” e “prescrizione”. Nel riconoscere che l’introduzione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni ha reso più stringente il vincolo giuridico – “ciò che in precedenza era raccomandato, oggi è divenuto obbligatorio”– la Corte osserva che “nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo (...). In quest’ottica, occorre considerare che, anche nel regime previgente, le vaccinazioni non giuridicamente obbligatorie erano comunque proposte con l’autorevolezza propria del consiglio medico” (corsivo mio).12,§ 8.2.4 Oltre ad abbracciare con grande convinzione una visione autoritaria (invece che autorevole) dell’expertise (che, pur raccomandando, impone un’incontrovertibile verità), la Corte trascura di considerare che, nella corrente visione dei rapporti medico-paziente, qualunque prescrizione medica costituisce in realtà una raccomandazione – le prescrizioni non vincolano, ma sono autorizzative e abilitative quando richieste per l’accesso a servizi o prodotti medici; e che oggi le relazioni di cura sono normalmente improntate a collaborazione e dialogo tra medici e cittadini.
Certamente il dibattito sui vaccini tocca il secondo comma dell’Art.32 Cost., che legittima interventi obbligatori a tutela della salute pubblica. Non va però dimenticato, almeno come orientamento generale, che la seconda metà del Novecento è stata caratterizzata sia dal progressivo riconoscimento dell’autodeterminazione degli individui attraverso il consenso informato – ciò che ha determinato la nascita della bioetica come rifiuto della subordinazione dell’individuo alla collettività14 – sia da una rilettura dei temi di salute collettiva nel prisma dei diritti individuali.15 Anche la previsione (Art.1 comma 4 Legge 119/2017) di una “convocazione” dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale (e assimilati) da parte dell'azienda sanitaria locale territorialmente competente “per un colloquio al fine di fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e di sollecitarne l'effettuazione” non rispecchia certamente l’attuale visione di collaborazione e partecipazione tra istituzioni e cittadini rispetto a questioni scientifiche.
Ma la legge sull’obbligatorietà dei vaccini rappresenta solo un elemento del problema. Se la scelta può essere giustificata in chiave “emergenziale” da un legislatore che non ha colto e coltivato le tempistiche idonee a costruire un clima di collaborazione tra esperti, istituzioni e cittadini, essa non dovrebbe però rappresentare il punto di arrivo per l’educazione alla scienza e alla cittadinanza. Altre policies sanitarie caratterizzate da difficoltà intrinseche e/o incertezza, benché non sempre sovrapponibili alla questione vaccini – che deve garantire l’immunità di gregge – hanno trovato o stanno cercando di elaborare percorsi che intrecciano conoscenza, dialogo e inclusione. I benefici derivati dall’adozione di misure non coercitive ha riguardato, per esempio, il superamento del TSO praticato nei confronti di appartenenti ai Testimoni di Geova per poter eseguire trasfusioni di sangue contro la loro volontà (considerata non razionale). La ricerca di misure tecnico-scientifiche (acquisizione preventiva del sangue del paziente, tecniche chirurgiche che limitano il sanguinamento, ecc.) e normative (la presenza di rappresentanti del culto, un adeguato e negoziato processo di consenso informato) ha condotto all’acquisizione di conoscenze e alla definizione di pratiche di cui hanno successivamente beneficiato soggetti non direttamente toccati dalla scelta religiosa (per esempio, i pazienti emofiliaci).16,17 Un diverso esempio concerne lo screening alla mammella, in cui le crescenti perplessità rispetto all’efficacia del test, manifestate anche da una parte significativa del mondo scientifico, hanno prodotto percentuali elevate di abbandono in molti paesi. Il maggiore convolgimento della popolazione interessata e la costruzione di un processo collaborativo sono stati spesso decisivi per migliorare l’offerta del servizio e per la sostenibilità complessiva delle iniziative.18
È però importante chiarire che i percorsi istituzionali non sono riducibili all’alternativa “obbligo” vs. “spinta gentile” (o nudging). Le spinte gentili, infatti, possono essere ugualmente autoritarie nel loro paternalismo se non sono costruite in modo da preservare le capacità di apprendimento e di scelta consapevole dei cittadini – che diversamente sarebbero solo psicologicamente, se non addirittura subliminalmente, indotti all’osservanza. È invece importante coltivare conoscenza e consapevolezza, non timori e condizionamenti. Il nudging, che pure può diventare un elemento di policy, è strumento da utilizzare con intelligenza e delicatezza, valutandone caso per caso opportunità e modalità.19
La strada di un’educazione scientifico-civica a un diritto collaborativo alla salute è qualcosa di diverso: si concentra sulla conoscenza di tutti gli aspetti quotidiani e ineliminabili di incertezza che una società altamente tecnologica comporta e sull’educazione civica all’uso dei diritti individuali e collettivi a ciò adeguata. In questo contesto “scienziati-cittadini” e “cittadini-scienziati” contribuiscono all’acquisizione da parte delle istituzioni di tutta la conoscenza rilevante per produrre le migliori scelte regolative.
Lo spazio di discussione scientifico e di policy che da tempo Epidemiologia & Prevenzione dedica al tema dei vaccini20 va in direzione di un arricchimento del dibattito che, nel suo farsi più trasparente e preciso, può certamente focalizzare meglio i propri obiettivi e giustificarli nei confronti di lettori esperti e laici. L’articolo di Donzelli e Demicheli sulla vaccinazione antivaricella offre uno sguardo attento sull’intricata molteplicità di aspetti scientifici con cui la scelta vaccinale deve confrontarsi, rendendo così le diverse opzioni più trasparenti. L’importanza di poter seguire lo svolgimento degli argomenti proposti dalla lettere di Valsecchi et al. e Burioni et al. insieme ai commenti di Salmaso sulla rilettura dei dati dell’esperimento della Regione Veneto restituisce giusta complessità a un contesto di decisioni e possibili interazioni tra interventi normativi locali e disposizioni nazionali da non liquidare sbrigativamente senza farne ulteriori fonti di apprendimento e riflessione.
L’autorevolezza di cui la scienza è capace quando esprime al meglio la sua capacità di confrontarsi con il dubbio, di modificarsi e di imparare è ciò di cui policy e diritto hanno oggi maggiormente bisogno. In società in rapida trasformazione scientifico-tecnologica, infatti, anche le attività di regolazione rappresentano “laboratori” di sperimentazione normativa.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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