Attualità minuti di lettura - EpiChange
E&P 2019, 43 (5-6) settembre-dicembre, p. 320-321
DOI: https://doi.org/10.19191/EP19.5-6.P320.099
Comunicazione
Con gli occhi della Post-Normal Science
With the Post-Normal Science lens
Riassunto
In questo numero di EpiChange pubblichiamo un’esperienza di sorveglianza epidemiologica della popolazione esposta alle ricadute di inquinanti provenienti da un inceneritore situato alle porte di Torino, condotta dalle strutture del servizio sanitario regionale. La descrizione è molto interessante e offre molteplici spunti di riflessione.
In questo numero di EpiChange pubblichiamo un’esperienza di sorveglianza epidemiologica della popolazione esposta alle ricadute di inquinanti provenienti da un inceneritore situato alle porte di Torino, condotta dalle strutture del servizio sanitario regionale. La descrizione è molto interessante e offre molteplici spunti di riflessione. In questa breve introduzione, proponiamo un’analisi del contesto condotta alla luce dei principi della Post-Normal Science (PNS), un approccio che scuote alla radice il nostro modo di fare epidemiologia e mette a nudo le secche in cui anche i tentativi migliori di creare una relazione trasparente e di fiducia tra strutture sanitarie e popolazioni esposte, come quello dei colleghi torinesi che qui presentiamo, sono destinati ad arenarsi. Per uscire dalle secche occorre un cambio di paradigma: l’epidemiologo deve lasciare il ruolo di tecnico neutrale che ha ricoperto fin qui e riconoscere pari dignità agli altri soggetti in campo. I colleghi di Torino hanno fatto molta strada da quando al convegno AIE di Primavera del 2013 i cittadini che proponevano il biomonitoraggio dal basso attorno a quell’inceneritore vennero definiti da un relatore “teppisti epidemiologici”; hanno profuso risorse e intelligenza e hanno fatto un percorso professionale importate e appassionato, ma dall’analisi del contesto emerge che non tutto è nelle mani degli epidemiologi; anche le istituzioni devono cambiare garantendo la partecipazione diretta dei cittadini in tutte le fasi del percorso decisionale e in tutti i contesti, a partire da quelli prettamente tecnici.
In corsivo e in colore brani tratti dal contributo di Bena et al.
La scienza post-normale1 rappresenta un nuovo modello di scienza da affiancare alla scienza normale e da impiegare quando “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”.
Funtowicz S, Ravetz J. Science for the post-normal age. Futures 1993; 31(7): 735-55.
I fatti sono incerti
«Gli studi epidemiologici segnalano una limitata evidenza di rischio aumentato […] Alcuni studi, anche se non conclusivi [...] Questi studi però, in particolare quelli sugli effetti tumorali, si riferiscono perlopiù a impianti di vecchia generazione e presentano problemi metodologici che limitano la validità dei risultati».
Bisogna ricordare che l’incertezza ha diverse dimensioni e l’incertezza statistica o variabilità campionaria è solo una di queste e non la più importante. Qui per esempio l’estrapolazione da studi realizzati su impianti cosiddetti di vecchia generazione agli impianti più moderni è affetta da notevoli incertezze legate ad assunzioni spesso sottaciute. L’estrapolazione che viene eseguita porta a prevedere una riduzione del rischio per i nuovi impianti, ma su quali basi? Non certo epidemiologiche ma impiantistiche, cioè legate a modellazioni delle immissioni/emissioni, composizione dei rifiuti, modalità di funzionamento degli impianti. Un nuovo modernissimo impianto che viene alimentato in violazione alle norme con rifiuti tossici è presumibile che produca un aumento dei rischi per i residenti esposti. L’epidemiologia cerca di trarre vantaggio dall’esperienza passata e in caso di incertezza applica più o meno esplicitamente una qualche forma di principio di precauzione. Per la popolazione valgono come esperienza passata i molteplici procedimenti penali a carico dei gestori di impianti di trattamento dei rifiuti e le infiltrazioni della malavita organizzata in questo settore produttivo.
I valori in discussione
«Nel caso dei rifiuti la percezione dei rischi per la salute da parte della popolazione assume spesso dimensioni più rilevanti rispetto alla dimensione dei rischi descritta in letteratura».
Chi decide cosa è più rilevante? Il ricercatore pensa solo alla dimensione numerica di quell’indicatore che lui chiama in gergo tecnico rischio relativo, ma il concetto di rischio è molto più complesso, come spiegano gli scienziati sociali. Così facendo scredita le altre dimensioni e la popolazione è indotta a pensare che i ricercatori sottovalutino il problema. O che il punto di vista della popolazione (i loro valori) non venga preso in considerazione, una negazione alla parola cioè, un’esclusione dal tavolo delle decisioni dove si accede solo come tecnici con i valori dei tecnici.
La posta in gioco
«Nel corso del 2002 diversi avvenimenti portarono tuttavia a una conferma solo parziale dei risultati emersi dal lavoro della Commissione NRDS, vanificando parzialmente l’opera del sistema partecipato».
I risultati del processo partecipato sono stravolti perché altri (più alti) interessi entrano a dominare la scena.
Le decisioni urgenti
«Il tempo iniziava a divenire una risorsa molto scarsa: occorreva prendere una decisione anche in virtù del fatto che la discarica di Basse di Stura la cui chiusura era già stata rinviata più volte tra proteste accesissime non poteva essere utilizzata oltre il 31 dicembre 2009».
Appunto. Come sempre direi, nel mondo reale le cose vanno avanti comunque, non c’è da stupirsi.
Che fare allora in questo contesto così difficile? «È necessario allontanarsi il più possibile dall’approccio top-down (decisione-annuncio-difesa)».
Ma non è quello che si fa e quindi «si registrò una partecipazione modesta a entrambe le iniziative in relazione allo sforzo profuso».
Ma il contesto trascina i tecnici, nonostante il loro dubbio sulla strategia decisione-annuncio-difesa, e si pratica comunque una comunicazione che si richiama ad una terzietà della posizione del tecnico. «Anche gli attori in campo devono essere analizzati con attenzione, e quelli a cui è affidata la comunicazione strategica devono rispondere ad alcuni requisiti (neutralità, trasparenza, competenza specialistica, fiducia) senza i quali è difficile raggiungere i risultati attesi».
Neutralità che è impossibile dato che contestualmente non esiste e che la fiducia non è una caratteristica del tecnico, ma della relazione. E ci sono delle potenziali minacce «tuttavia, tali opportunità operative possono tramutarsi in potenziali minacce se l’opinione pubblica ha la percezione che lo strumento venga de facto inquinato dall’intervento politico (cosa che è effettivamente successa a Torino ove il sito scelto per la costruzione dell’impianto non compariva nella lista individuata dalla commissione NRDS)» che si realizzano!
Non resta che fare sorveglianza alle cavie da esperimento: «nel 2010 iniziarono i lavori di costruzione dell’inceneritore. La Provincia di Torino impose, tra le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, una sorveglianza attiva sulle possibili ricadute sanitarie legate all’impianto attuata dagli Enti territorialmente competenti. La traduzione operativa di tale prescrizione fu il programma SPoTT (Sorveglianza sulla salute della Popolazione nei pressi del Termovalorizzatore di Torino), coordinato dal Servizio di epidemiologia dell’ASL TO3 in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Arpa Piemonte, i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL TO1 e TO3 e l’Istituto Superiore di Sanità».
Su chi l’onere della prova? si diceva una volta. Ma indipendentemente da questo rilievo, consideriamo il programma con l’annesso piano di comunicazione. Top-down naturalmente: informare, facilitare, diffondere i risultati e le raccomandazioni. Il pubblico, i destinatori ben individuati come pure gli estensori, che si raccordano tra di loro per fornire un’unica risposta. Anche quando forse un’unica risposta è un’inaccettabile semplificazione e una negazione dell’incertezza. Una operazione di mistificazione, densa di valori e contraria all’etica della trasparenza. «Il programma di sorveglianza ha operato in modo coordinato con un Comitato Tecnico Scientifico (CTS) [...] SPoTT ha messo a punto un piano di comunicazione […] Gli obiettivi prioritari sono stati e continuano ad essere: informare la cittadinanza sulle attività del progetto; facilitare la realizzazione delle attività del progetto; comunicare i risultati e le raccomandazioni finali. I pubblici identificati sono molteplici: gli abitanti […]; le persone partecipanti al biomonitoraggio […]; la rete sanitaria […] i medici di base; l’associazionismo; gli enti pubblici locali, provinciali e regionali; i media locali, regionali e nazionali […] È stata individuata una specifica procedura di coordinamento tra i diversi enti partecipanti a SPoTT per fornire un’unica risposta nel caso di domande complesse multidisciplinari».
Ovviamente chi paga è un portatore di forti interessi. Tanto forti che è presente quando si presentano e discutono i materiali del piano di comunicazione. C’è un organo di controllo politico mentre i destinatari della comunicazione (la popolazione) sono solo ricettori passivi. «Il progetto è stato finanziato dall’impresa conduttrice dell’impianto […] La comunicazione agli attori istituzionali politici e tecnici è avvenuta e avviene attraverso il Comitato Locale di Controllo (CLdC), un organo politico […] Tutti i materiali vengono presentati e discussi durante riunioni a cui partecipano le amministrazioni politiche, gli organi tecnici incaricati dei monitoraggi e della gestione dei rifiuti, la Società che gestisce l’impianto».
E poi? Almeno un sindaco ha detto: «Non potete mica interrompere qui: al termine di SPoTT cosa succede?»
Ci lasciate così? Smettete pure di fare sorveglianza? «Questi risultati forniscono interessanti indizi a favore dell’efficacia delle azioni comunicative intraprese in questi anni, sebbene le differenze tra i due gruppi non siano state completamente annullate e la fiducia nelle istituzioni locali non sia particolarmente migliorata». La fiducia nelle istituzioni locali non sembra migliorata.
Chiudo la presentazione di questa esperienza rimandando alla letteratura sociologica dove queste vicende sono state descritte da più di venti anni:
Baruch Fischoff. Risk Perception and Communication Unplugged: Twenty Years of Process. Risk Analysis, Vol. 15, No. 2. 1995.
Note
- Wikipedia, Scienza postnormale, post-normal science (PNS). https://it.wikipedia.org/wiki/Scienza_postnormale
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1.
La post-normal science può davvero aiutare il nostro modo di far
L’introduzione di Biggeri pubblicata sull’ultimo numero di epidemiologia e prevenzione nella rubrica epichange(Biggeri, epidemiol prev 2019; 43 (5-6): 320-1) propone riflessioni e commenti su azioni fatte dai molteplici attori in campo a Torino in un periodo di oltre 20 anni che meritano una risposta, anche con l’obiettivo di suscitare un dibattito sul ruolo dell'epidemiologo in casi come questo, ormai abbastanza frequenti: incertezza della conoscenza, valori in discussione, interessi elevati, decisioni urgenti.
Il contesto in cui la sanità pubblica, non solo l’epidemiologo, si trova a lavorare è spesso difficile, contraddittorio, faticoso e, a volte, anche falso e volontariamente equivoco. Per affrontarlo serve un lavoro collettivo e intersettoriale, di cui l’OMS sottolinea l’importanza ormai da parecchio tempo e a diversi livelli. In tutti i casi è necessario ascoltarsi reciprocamente (tra istituzioni e con il cittadino, singolo o organizzato in associazioni) perché è solo aumentando la consapevolezza di tutti che si possono affrontare i problemi e provare a individuare e perseguire qualche soluzione. La comunicazione quindi non deve essere un atto unidirezionale (né top-down né bottom-up) ma circolare. Se ci fosse un po’ di fiducia reciproca sarebbe più semplice per tutti. A chi spetta l’onere di costruire e mantenere simili processi? Non all'epidemiologo certamente, che in genere è solo uno degli attori in campo, spesso non il più importante e con un ruolo considerato ancillare. Io credo però che l’epidemiologo debba stare nell'arena, senza sottrarsi agli stimoli e portando il suo contributo. Lo deve fare come può, dato che chi lavora nel servizio pubblico, non ha la stessa libertà di manovra di chi sta in ambito accademico. Lo deve fare con trasparenza, conducendo studi di qualità nel minor tempo possibile e diffondendone i risultati anche su canali non scientifici con un linguaggio semplice e comprensibile. Già in questo modo si può, forse, generare fiducia. Lo deve fare con imparzialità anche se non può essere neutrale. Come ci aveva ben spiegato Saracci in un intervento di qualche anno fa (http://www.epiprev.it/materiali/2014/Filosofia_in_sanit%C3%A0-pubblica.pdf): ci si attende che “risolva l’incertezza residua dell’evidenza in senso favorevole alla salute della popolazione esposta”.
A Torino abbiamo cercato di stare nell’arena facendo alcune cose che, secondo il gruppo SPoTT, competono all’epidemiologo: garantire la massima qualità possibile nel lavoro svolto confrontandoci in continuo con un comitato tecnico scientifico; capire meglio il contesto attraverso un questionario sulla percezione del rischio; documentare l’evidenza aggiornandola costantemente; dichiarare e rispettare il più possibile i tempi di svolgimento del nostro lavoro; mettere a disposizione di tutti i risultati del progetto con diversi strumenti e nel modo più chiaro possibile; rispondere alle domande esplicite di amministratori, tecnici e cittadini; valutare e riprogrammare le azioni che andavamo facendo. Avendo davanti altri quattro anni di lavoro, saremmo ben lieti di ricevere buoni suggerimenti da mettere in pratica.
Infine, qualche piccola precisazione.
Nessuno dei colleghi torinesi ha mai definito “teppisti epidemiologici” i cittadini che proponevano il biomonitoraggio dal basso. E’ però un dato di fatto che la partecipazione e le iniziative alternative organizzate a Torino abbiano faticato molto a garantire gli standard tecnici ed etici (povertà progettuale documentale; assenza di report sui risultati collettivi; latitanza nell’illustrazione dei risultati nonostante ripetuti inviti).
Il piano di comunicazione di SPoTT e il coordinamento tra gli enti nelle risposte hanno l’obiettivo di facilitare il rapporto con i cittadini, che a volte non riescono nemmeno a capire a chi possono fare le domande. L’ascolto è stato fatto attraverso un questionario sulla percezione del rischio e attraverso la partecipazione a tutte le iniziative pubbliche a cui il gruppo di lavoro è stato invitato.
Il programma SPoTT è stato finanziato dall’impresa conduttrice attraverso la Provincia di Torino (ora Città metropolitana). SPoTT è la traduzione operativa di una prescrizione della VIA che poneva in capo all’azienda l’onere di condurre una sorveglianza attiva sulle possibili ricadute sanitarie legate all’impianto. La complessità e rilevanza di tale prescrizione, ed il necessario coinvolgimento, ai fini della sua attuazione, di diversi soggetti pubblici con competenze sanitarie e ambientali, ha indotto la Provincia ad affidarne la realizzazione operativa direttamente agli enti pubblici territorialmente competenti, lasciandone però i costi in capo all’impresa. La Provincia di Torino e l’impresa non hanno avuto ruolo nel disegno e nella conduzione dello studio né nell’interpretazione dei risultati.
Il Comitato Locale di Controllo è un organo politico di coordinamento tra amministratori pubblici e tecnici non un organo di controllo politico.