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E&P 2017, 41 (3-4) maggio-agosto, p. 163-164
DOI: https://doi.org/10.19191/EP17.3-4.P163.047
Ambiente
Combattere il cambiamento climatico al tempo dell’Amministrazione Trump: intervista a Joel Schwartz
Fighting global warming under the Trump Administration: a one-on-one conversation with Joel Schwartz
Riassunto
Joel Schwartz insegna epidemiologia ambientale alla Harvard University School of Public Health di Boston. Si occupa delle conseguenze sulla salute dell’esposizione a inquinanti. In particolare ha studiato l’esposizione a piombo e gli effetti acuti e cronici dell’esposizione all’inquinamento atmosferico. Ha indagato a fondo l’esposizione a ozono e gli effetti degli antiossidanti sulla salute respiratoria, inoltre si occupa dell’uso dell’analisi costi-benefici nelle decisioni in ambito ambientale. L’abbiamo intercettato dopo la plateale uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima e gli abbiamo posto alcune domande su come cambia il lavoro dell’epidemiologo in questo contesto.
Professor Schwartz perché secondo lei la decisione del presidente statunitense Donald Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico è sbagliata?
In primo luogo, ritengo che la gente debba sapere che l’abbandono dell’Accordo di Parigi è un atto puramente simbolico. L’Accordo non vincola i Paesi che lo sottoscrivono a fare qualcosa di diverso da ciò che essi stessi ritengono ragionevole, quindi l’Amministrazione Trump avrebbe potuto agire a suo modo senza bisogno di ritirarsi dall’Accordo sul clima. È quindi un atto simbolico ed è simbolo di errori fondamentali – e, aggiungo, intenzionali – riguardanti l’economia, l’ecologia e la salute ambientale.
Per prima cosa, l’Amministrazione Trump sostiene di aver abbandonato l’Accordo sul clima per proteggere i posti di lavoro dei minatori, ma negli Stati Uniti i posti di lavoro delle persone impiegate nell’installazione e manutenzione dei pannelli solari superano di 6 volte quelli dei minatori. L’estrazione del carbone è un processo ormai obsoleto che crea pochi posti di lavoro: i minatori negli Stati Uniti sono 51.000, mentre le persone che si occupano di impianti solari sono 300.000 e altre 200.000 installano impianti che presto renderanno operative fonti di energia alternative completamente non inquinanti, in grado di creare – questi sì – numerosi posti di lavoro. L’idea che si tratti di proteggere l’occupazione è quindi completamente sbagliata; dal punto di vista economico, è una scelta stupida. Ed è ridicola anche dal punto di vista ecologico, perché non c’è dubbio che l’anidride carbonica favorisca il riscaldamento della Terra. Lo sappiamo già dai primi dell’Ottocento che l’anidride carbonica rimanda i raggi infrarossi verso la Terra. In sostanza, la ragione per cui la terra non è una sfera di ghiaccio è che le radiazioni solari arrivate sulla Terra, vengono in parte rimandate nello spazio sotto forma di raggi infrarossi e l’anidride carbonica ne riflette una parte come fosse uno specchio. Quindi il fatto che l’anidride carbonica abbia a che fare col riscaldamento terrestre è un fatto assodato. Si tratta di semplice fisica, è un fatto, non c’è niente di stravagante in questo. Per quanto la fisica sia complicata, la nozione di base è semplice e assolutamente incontestabile.
E la terza cosa è che per motivazioni ideologiche l’Amministrazione Trump vuole ignorare il fatto che l’uso del combustibile fossile genera inquinamento dell’aria, inquinamento dell’acqua e rumore, e che tutte queste cose sono nocive per le persone. Le centrali a carbone uccidono 40.000 persone all’anno negli Stati Uniti: bisognerebbe chiuderle anche se non fosse in atto il cambiamento climatico, muoiono ogni anno più persone che nella maggior parte delle nostre guerre. È folle lasciare che continuino a essere operative quando a parità di costi possiamo costruire impianti eolici o solari. Inoltre, le automobili producono gas di scarico che uccidono decine di migliaia di persone ogni anno. Le auto elettriche, invece, sono così silenziose che occorre chiedere che producano un qualche rumore per permettere alle persone non vedenti di capire che è in arrivo un’automobile. Se trasformassimo tutti i mezzi in circolazione in auto elettriche, elimineremmo gran parte dell’inquinamento delle nostre città e le renderemmo più silenziose, più rilassanti e più vivibili. Si potrebbe stare tranquilli, anche di notte, senza il rumore dei veicoli in movimento, si potrebbe respirare senza preoccupazioni per la propria salute. È davvero una pazzia ignorare tutti questi benefici che derivano dalla conversione alle energie rinnovabili; e tutto ciò indipendentemente dal riscaldamento globale.
In conclusione, per queste tre ragioni credo che la scelta di uscire dall’Accordo non sia razionale. Per l’economia, per la salute e per tutto quello che si potrà fare per il clima terrestre.
Quale impatto avrà questa decisione sulla normativa riguardante la qualità dell’aria negli Stati Uniti?
Non credo che l’uscita dall’Accordo di Parigi abbia un impatto diretto sulla normativa sulla qualità dell’aria, ma avrà un notevole impatto indiretto. È il segno che a questa Amministrazione non importa nulla della qualità dell’aria. L’Amministrazione Trump ha già posticipato di un anno la data per la presentazione dei Piani di rientro dei livelli di ozono negli standard attuali da parte dei singoli Stati. Di fatto sta cercando di abrogare o posporre tutte le normative relative alla qualità dell’aria. La direzione è chiara, anche se il legame non è diretto.
Manolis Kogevinas, presidente della International Society for Environmental Epidemiology, incoraggia i membri della Società a reagire e contrastare la decisione di Trump sul cambiamento climatico sia come epidemiologi, sia come cittadini. Cosa ne pensa?
In qualità di epidemiologi credo che dobbiamo davvero reagire a tutto ciò e penso che il modo migliore per farlo sia ascoltare molto attentamente le affermazioni dei portavoce e degli ideologi dell’industria, e orientare la nostra ricerca sugli stessi temi in modo da smentire le affermazioni infondate utilizzate per giustificare le loro decisioni. Per esempio, quando gli industriali affermano che gli studi sull’inquinamento dell’aria sono tutte sciocchezze perché gli effetti sulla salute sono dovuti al tempo atmosferico e non hanno a che fare con l’inquinamento, noi li ascoltiamo attentamente e diciamo «Che ne dite se effettuiamo uno studio per valutare l’impatto sulla salute paragonando due giorni che hanno la stessa temperatura, ma un diverso livello di inquinamento dell’aria?». In questo caso, ovviamente, le differenze di salute registrate in questi due giorni non potranno essere imputate alla temperatura, dato che è la stessa. Anche se noi sappiamo di aver già controllato in modo corretto per la temperatura, effettuando lo studio in questo modo sarà più facile spiegare al pubblico non esperto che le nostre conclusioni sono vere.
Quindi, il nostro compito è affrontare le argomentazioni usate per attaccare la normativa sulla qualità dell’aria, effettuare studi che tocchino direttamente questi argomenti e produrre risultati facilmente spiegabili alla popolazione generale in modo da confutare tali argomenti. Sì, penso che dobbiamo davvero prestare particolare attenzione e fare ricerca, anche quando crediamo non sia necessaria, per rispondere esattamente alle argomentazioni diffuse fra il pubblico.
Come cittadini, abbiamo l’obbligo di ragionare sulle possibili conseguenze delle decisioni riguardanti le politiche ambientali e abbiamo il dovere di opporci a quelle che pensiamo siano dannose.
L’epidemiologia ha una responsabilità particolare in questo senso, perché non ci si può occupare di tutti i possibili problemi. C’è chi è più preoccupato per la disoccupazione, chi si preoccupa per la salute degli anziani eccetera, eccetera. Come epidemiologi ambientali, dobbiamo assumere il ruolo di persone che prendono particolarmente a cuore le questioni ambientali e si assumono il compito di comunicare ai politici che queste questioni contano e di stimolare la popolazione generale a pensare che questi sono problemi importanti.
All’EPA (US Environmental Protection Agency) si dice che sotto la direzione di Scott Pruitt, tutti i progetti di ricerca sul cambiamento climatico verranno interrotti e lo stato d’animo del personale dell’Agenzia è così teso che la gente ha paura a nominare il cambiamento climatico anche solo via e-mail… Come cambierà l’Agenzia con questa nuova gestione?
Sarà un quadriennio molto difficile per chi lavora all’EPA. Lo so perché ci ho lavorato nell’Ottanta, quanto fu eletto presidente Ronald Reagan e Ann Gorsuch fu scelta dai Repubblicani per dirigere l’Agenzia, periodo in cui le cose andavano piuttosto male.
Adesso si dice che i lavoratori della Divisione "Cambiamento Climatico" saranno riassegnati ad altri incarichi? Sì, credo che sarà così.
I tagli al budget voluti da Pruitt non saranno tutti realizzati perché il presidente può proporre un budget, ma poi il budget effettivo è determinati per legge. Comunque verranno fatti molti tagli. Quel che il presidente ha certamente il potere di fare è gestire il personale, dunque ha la facoltà di trasferire persone all’interno dell’Agenzia. Il mio consiglio a coloro che lavorano all’Agenzia è di darci dentro e fare tutto ciò che possono per proteggere l’ambiente, indipendentemente da tutti i tentativi dell’amministrazione Trump per ostacolarli in questo compito. E poi… occorrerà aspettare le prossime elezioni.
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