Editoriali minuti di lettura
E&P 2021, 45 (6) novembre-dicembre, p. 443-445
DOI: https://doi.org/10.19191/EP21.6.134
Salute mentale; Malattie trasmissibili
Virus, mente e comportamenti: una relazione intricata
Virus, mind, and behaviours: a complex relationship
Oggi è unanimemente riconosciuto che gli effetti determinati dall’evento pandemico sul piano psicosociale non sono meno rilevanti di quelli di tipo strettamente clinico-assistenziale. Ciò è testimoniato anche dall’enorme numero di pubblicazioni che hanno visto la luce in meno di due anni: su PubMed sono ben 21.655 gli articoli che vengono selezionati con la stringa “COVID-19 AND (psycholog* OR psychosocial)” ristretta agli anni 2020-2021. Alcune settimane or sono, il network del Global Burden of Disease1 ha pubblicato su The Lancet un’analisi dei cambiamenti registrati nella prevalenza di disturbi depressivi e d’ansia nel periodo pandemico comparato al periodo pre-pandemia. Di 5.683 studi primari, 48 hanno soddisfatto i criteri di inclusione adottati; due specifici indicatori di impatto del COVID-19, ossia il tasso quotidiano di persone positive al SARS-CoV-2 nei vari Paesi e la riduzione della mobilità individuale, sono risultati associati a una più alta prevalenza di depressione maggiore e di disturbi d’ansia rispetto al periodo pre-pandemia. Secondo le stime del GBD, nel 2020 la pandemia ha determinato oltre 53,2 milioni (IC 44,8-62,9) di casi addizionali di disturbo depressivo maggiore a livello globale (con un incremento stimato pari al 27,6%; IC 25,1-30,3) e ben 76,2 milioni (IC 64,3-90,6) di casi addizionali di disturbi d’ansia (con un aumento stimato pari al 25,6%; IC 23,2-28,0). I due indicatori di impatto utilizzati nello studio del GBD combinano fattori di natura diversa, quali la diffusione del virus, i periodi di lockdown, la quarantena forzata per le persone ammalate e per coloro con cui erano venuti in contatto, la riduzione della mobilità individuale, la chiusura delle scuole e delle attività commerciali e la diminuzione forzata delle interazioni sociali. Il genere femminile e l’età giovanile sono risultati associati a maggiori tassi di prevalenza per questi due gruppi di disturbi. Per quanto riguarda le differenze di genere, gli autori sottolineano che in molti casi le donne hanno dovuto sopportare il carico “maggiore” dei cambiamenti imposti dall’emergenza, dovendosi in larga misura occupare della gestione del nucleo familiare costretto a casa così come dell’assistenza ai congiunti ammalati, oltre a essere in media più svantaggiate dal punto di vista del reddito, a causa di salari più bassi e di lavori meno stabili rispetto agli uomini.2
Molti studi condotti durante la pandemia mostrano, infatti, che condizioni di svantaggio socioeconomico si associano sia a un maggiore rischio di conseguenze negative dal punto di vista psicologico3 sia indirettamente a una maggiore probabilità di contagio.4-6 L’impatto sulle fasce di età giovanili è facilmente rimarcato dall’UNESCO, secondo cui la pandemia ha causato la più importante devastazione dei sistemi scolastici mai registrata, con 1,6 miliardi di studenti del tutto o parzialmente costretti a non recarsi a scuola, con le molteplici conseguenze che ciò ha prodotto dal punto di vista scolastico e interpersonale in una fase cruciale dello sviluppo.
Naturalmente le stime globali del GBD, come sottolineato dagli stessi autori, devono essere prese con cautela, in quanto basate su un numero comunque ridotto di studi condotti in Paesi in maggioranza ad alto reddito: pertanto, applicare tali stime alla popolazione che vive in Paesi a medio e basso reddito rappresenta un’operazione non priva di rischi; inoltre, le stime in questione sono basate (con sole tre eccezioni) sulla somministrazione di brevi questionari standardizzati, e il punteggio a tali questionari corrisponde solo parzialmente a diagnosi cliniche di depressione o disturbi d’ansia. Nonostante questi limiti, i dati del GBD dimostrano che le implicazioni psicosociali della pandemia non possono – e non devono – essere minimizzate, ma dovrebbero essere oggetto di adeguata riflessione al fine di pianificare interventi di sanità pubblica volti a ridurre le molteplici conseguenze di eventi pandemici.
Lo studio dell'ufficio europeo dell'OMS
Allo scopo di analizzare come il complesso intreccio di variabili psicosociali coinvolte nella pandemia si manifesti nei vari Paesi e come esse modulino gli stessi comportamenti individuali di tipo protettivo e preventivo, l’Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha avviato uno studio in 30 Paesi europei, dal titolo “Monitorare la conoscenza, la percezione del rischio, i comportamenti preventivi e la fiducia (trust) per un’efficace risposta alla pandemia”. In Italia, lo studio è stato coordinato dall’IRCCS Fatebenefratelli, dall’Istituto superiore di sanità e dalla AUSL di Modena:7 è stato, quindi, indagato un campione rappresentativo (n. 10.000) della popolazione italiana adulta (sino a 70 anni di età) attentamente stratificato per una numerosa serie di variabili sociodemografiche. Il primo articolo, frutto di questa indagine, ha analizzato la cosiddetta “esitazione vaccinale”, ossia la propensione ad accettare o meno il vaccino in due sottogruppi di persone: coloro che avevano contratto l’infezione ed erano guariti, e coloro che attendevano che si raggiungesse un’ampia platea di cittadini vaccinati, al fine di poter sfruttare la cosiddetta immunità di gregge, evitando così di sottoporsi alla vaccinazione.8 È emerso che il genere femminile, la minore scolarità e l’età giovanile erano significativamente associati a una maggiore riluttanza a vaccinarsi. Altre analisi in corso sono volte a esplorare varie e numerose dimensioni cognitive e comportamentali che consentiranno anche utili confronti transnazionali.
Gruppi ad alto rischio di morbidità fisica e psichica
Vi sono due gruppi di popolazione che devono essere considerati ad alto rischio di morbidità psichica: il primo gruppo è rappresentato da coloro che hanno vissuto un lutto, con la morte di un congiunto ammalato di COVID-19. Sono stati ampiamente documentati i tanti casi di familiari che non hanno potuto né assistere un proprio caro ospedalizzato, e poi deceduto, né organizzarne le esequie: è noto che, al di là dei molteplici significati umani e spirituali, le esequie rappresentano anche la maniera socialmente accettata di elaborare simbolicamente un lutto.9 Il secondo gruppo ad alto rischio è costituito dai pazienti affetti da COVID-19 che sono stati ricoverati in rianimazione in quanto in pericolo di vita, condizione che rappresenta un fattore di rischio primario per il disturbo post-traumatico da stress. Soprattutto nel primo anno di pandemia, il rischio di morte era infatti molto elevato tra i pazienti ricoverati nelle unità di terapia intensiva (ICU): gli autori di una metanalisi sul tema hanno riscontrato un tasso di mortalità tra i pazienti in ICU pari al 59,5% (IC 39,8-76,5%) per le ricerche realizzate entro la fine di marzo 2020; questo tasso è poi sceso al 41,6% (34,0-49,7%) negli studi estesi sino alla fine di giugno 2020.10 Si tratta, quindi, di due sottogruppi ad alto rischio, per i quali sarebbe stato necessario pianificare interventi preventivi e di supporto adeguati: al contrario, non risulta che in Italia sia stato avviato alcun progetto su ampia scala indirizzato ad essi.
Oltre agli effetti sulla salute mentale individuale prodotti dall’esposizione allo stress provocato dalla pandemia, si sottolinea che la presenza di disturbi mentali preesistenti può aumentare la vulnerabilità a contrarre l’infezione, a causa di stili di vita inappropriati, dell’elevato tasso di comorbidità mediche che caratterizza i pazienti psichiatrici e del preponderante svantaggio socioeconomico di cui essi soffrono. Un importante contributo, basato sull’analisi di enormi dataset elettronici (61 milioni di persone, 360 ospedali e 317.000 erogatori di servizi sanitari negli Stati Uniti), ha infatti dimostrato che persone con disturbi mentali sono a rischio molto più elevato di contrarre l’infezione da Coronavirus, con valori di odds ratio, nel confronto con la popolazione generale, pari a 7,6 (IC 7,4-7,8) nel caso della depressione e 7,3 (IC 6,6-8,1) nel caso della schizofrenia; anche il tasso di morte, in questi due gruppi clinicamente selezionati, era doppio rispetto alla popolazione di confronto.11
Il ruolo dell'informazione e la comunicazione del rischio
Come ha sottolineato Glik12 in una splendida review sulla comunicazione del rischio, è la percezione del rischio, e non il rischio di per sé, che guida il comportamento degli individui esposti, ed è il rischio percepito che modula i comportamenti protettivi. Poiché tale percezione è largamente costruita sulla base delle informazioni ricevute dai media, è cruciale che la comunicazione sia basata su evidenze ottenute con procedure adeguate, sia chiara, semplice e riesca a differenziare le verità, le verità parziali e le falsità.12 È poi indispensabile che le istituzioni siano in grado di creare un clima di fiducia (trust) verso le decisioni adottate. Ma la fiducia (trust) può essere incrinata da molti fattori, tra i quali Covello et al.13 ne hanno messi in evidenza alcuni: disaccordo tra gli esperti, mancanza di coordinazione tra gli enti preposti alla gestione del rischio, scarsa sensibilità da parte delle autorità competenti circa la necessità di un effettivo dialogo, ascolto e partecipazione pubblica, riluttanza a riconoscere il rischio, riluttanza a condividere o rivelare informazioni in maniera tempestiva e rifiuto o negligenza nell’assunzione delle proprie responsabilità. È facile ricordare come in molti Paesi tutte queste condizioni si siano puntualmente presentate.
Conclusioni
La gestione di un evento calamitoso eccezionale, come una pandemia, dal punto di vista della sanità pubblica necessita di misure che vanno ben al di là della gestione, pur appropriata, dei bisogni strettamente clinico-assistenziali delle persone colpite: è necessaria un’adeguata azione di pianificazione e coordinamento che abbia al centro un modello chiaro di diffusione, amplificazione e risposta delle variabili psicosociali in gioco. In assenza di tutto ciò, si rischia di battere il virus in laboratorio e in corsia, ma di lasciare comunque molte vittime per strada, colpite dalle conseguenze indirette della pandemia.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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