Nel contesto della pandemia di COVID-19, uno degli aspetti più dibattuti e controversi è stato il riconoscimento della trasmissione aerea della SARS-CoV-2. Inizialmente, le autorità sanitarie, tra cui il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) italiano e altre agenzie di salute pubblica globali, hanno sottovalutato o addirittura negato questa modalità di trasmissione.

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Illustrazione delle droplet e degli aerosol rilasciati durante la conversazione; questi possono trasportare virus se la persona è infetta. Le gocce grandi cadono rapidamente a terra nelle vicinanze. I piccoli aerosol sono molto più concentrati nelle immediate vicinanze e possono fluttuare nell’aria e diffondersi in tutta la stanza, portando a un’esposizione (ridotta) a distanza. Fonte: World Health Organization. Global technical consultation report on proposed terminology for pathogens that transmit through the air (pagina 7).

All’inizio della pandemia, le principali vie di trasmissione riconosciute per il COVID-19 erano il contatto diretto con superfici contaminate e le goccioline respiratorie (droplet) emesse durante tosse e starnuti. La comunità medica riteneva che queste goccioline, di dimensioni relativamente grandi (diametro maggiore di 5 micrometri), cadessero rapidamente a terra, limitando la loro portata di diffusione alla prossimità (1-2 metri).1 
Questa visione era conseguenza di un dogma della fine dell’Ottocento che, grazie all’azione principale di Charles Chapin (agli inizi del secolo scorso, direttore del Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie – CDC) rese possibile un cambio di paradigma dalla teoria dei miasmi al contagio di prossimità.2 È evidente, però, che una particella di 5 micrometri non può cadere rapidamente al suolo, è un assurdo fisico: il più conosciuto PM10, che inaliamo proprio perché galleggia nell’aria, presenta un diametro doppio rispetto alle droplet.
Sulla base di questo dogma, quindi, le prime linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e di altre autorità sanitarie suggerirono misure di prevenzione come il lavaggio frequente delle mani, il mantenimento del distanziamento fisico e l’uso di mascherine in situazioni di prossimità. La trasmissione aerea, ossia quella attraverso particelle respiratorie più piccole che possono rimanere sospese nell’aria per periodi prolungati e coprire distanze maggiori, non era considerata una via di diffusione del virus.
Sempre all’inizio della pandemia, un gruppo di esperti (gruppo dei 36)3 cominciò un’azione di comunicazione, ricerca e pressione sulle autorità sanitarie per mettere in guardia il mondo sul rischio di trasmissione per via aerea e sulle conseguenze della sua negazione.4 Nonostante il gruppo avesse allertato l’OMS sulla potenziale importanza della trasmissione per via aerea della SARS-CoV-2 e sull’urgente necessità di controllarla, la risposta dell’OMS è stata inizialmente di rifiuto e, dopo mesi e anni, solo di debole accettazione. 
Nella realtà, con il progredire di una pandemia così lunga, numerosi studi scientifici hanno iniziato a fornire evidenze sulla possibilità di trasmissione aerea della SARS-CoV-2. Esperimenti di laboratorio e studi di casi reali, come quelli condotti su focolai in spazi chiusi, hanno mostrato che il virus poteva rimanere nell’aria per tempi significativi e infettare individui anche in assenza di contatto diretto o prossimità fisica stretta. Questa dinamica era stata dimostrata anche nel caso della SARS-CoV-1, ma anche questa informazione importante è stata completamente dimenticata.5 
In Italia, nonostante le evidenze, le autorità sanitarie (in particolare il CTS) sono state riluttanti a riconoscere pienamente la trasmissione aerea. Le ragioni di questa resistenza possono essere molteplici, tra cui:

  • la non competenza sulla fluidodinamica delle particelle respiratorie, aspetto fondamentale della trasmissione aerea;
  • la preoccupazione per le implicazioni logistiche e socioeconomiche di un tale riconoscimento; 
  • la mancanza iniziale di una consapevolezza scientifica univoca;
  • la difficoltà di aggiornare rapidamente le linee guida sanitarie in un contesto in rapido cambiamento.

Il mancato riconoscimento della trasmissione aerea rappresenta il “peccato originale” della pandemia, cheha generato un drammatico incremento, sicuramente evitabile, di casi, ricoveri e decessi, oltre a un danno economico enorme a causa dell’inadeguatezza delle misure protettive. È importante sottolineare che in sanità pubblica vale il principio di precauzione, che richiede l’applicazione di misure di protezione adeguate anche nel caso di semplice dubbio (e non certezza) di un rischio per l’ambiente o la popolazione. Un comitato di esperti scientifici avrebbe dovuto applicare fin dall’inizio questo principio, un comitato di tecnici avrebbe dovuto farlo non più tardi del luglio 2020.6

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Illustrazione delle droplet e degli aerosol rilasciati durante la conversazione; questi possono trasportare virus se la persona è infetta. Le gocce grandi cadono rapidamente a terra nelle vicinanze. I piccoli aerosol sono molto più concentrati nelle immediate vicinanze e possono fluttuare nell’aria e diffondersi in tutta la stanza, portando a un’esposizione (ridotta) a distanza. Fonte: World Health Organization. Global technical consultation report on proposed terminology for pathogens that transmit through the air (pagina 7).

Cambio di paradigma

Nel corso del 2021, l’OMS ha iniziato a rivedere le proprie posizioni in merito alla trasmissione aerea del COVID-19. Questo cambio di paradigma è stato influenzato dalla crescente pressione della comunità scientifica internazionale, che richiedeva un aggiornamento delle linee guida basato sulle nuove evidenze. Sulla scia della discussione tra l’OMS e il gruppo dei 36, l’agenzia ha chiesto ad alcuni membri del gruppo di contribuire alla stesura di un documento sulle modalità di diffusione degli agenti patogeni. Dopo più di due anni di discussioni, l’OMS ha pubblicato il 18 aprile scorso un rapporto che introduce nuove definizioni che potrebbero avere implicazioni significative per i Paesi del mondo che dipendono dall’agenzia per stabilire le politiche di contenimento della diffusione delle malattie.7 Il documento è stato condiviso anche dal CDC statunitense, nonché dalle sue controparti in Africa, Cina ed Europa. Anche se si utilizza il concetto di “terminologia”, nella realtà, a mio parere, si tratta del primo documento in cui considerazioni scientifiche entrano in gioco sul tema della trasmissione delle infezioni da patogeni respiratori. È un passo importante, un inizio, con una terminologia concordata da tutti i membri anche se non tutti ne sono usciti soddisfatti.
Oltre a introdurre la trasmissione aerea come “modalità fisica”, quindi sempre presente, nel documento si introduce il concetto di particelle respiratorie, si abbandona la dicotomia tra droplet e aerosol e si elimina l’aberrazione scientifica dei 5 micrometri. Un soggetto infetto emette particelle respiratorie a ogni atto respiratorio: queste particelle possono infettare un soggetto esposto per inalazione o per deposizione diretta sulle mucose.
Altro concetto scientifico introdotto è la possibilità di trasmissione aerea nella prossimità, a causa della presenza di concentrazioni più elevate del patogeno. In un ambiente poco ventilato, il rischio è elevato per la concentrazione del patogeno, ma diventa ancora più grande per un soggetto esposto che inala le particelle in prossimità del soggetto infetto.
Nella realtà, l’importanza del documento riguarda il possibile cambio di paradigma richiesto dal gruppo dei 36 a inizio pandemia, con l’abbandono del contagio di prossimità e l’introduzione della trasmissione aerea degli agenti patogeni respiratori nella gestione degli ambienti indoor.8 
Due fattori, in particolare, hanno contribuito al nostro approccio relativamente debole alla lotta contro la trasmissione delle malattie infettive per via aerea rispetto a quella per via idrica e alimentare. 
In primo luogo, è molto più difficile rintracciare le infezioni trasmesse per via aerea. La contaminazione di alimenti e acqua proviene quasi sempre da una fonte puntuale facilmente identificabile con un serbatoio discreto, come una tubatura, un pozzo o una confezione di cibo. 
In secondo luogo, un malinteso di lunga data e la mancanza di ricerche sulla trasmissione per via aerea degli agenti patogeni hanno influito negativamente sul riconoscimento dell’importanza di questa via. 
La maggior parte degli edifici è stata costruita in un periodo di declino della convinzione dell’importanza degli agenti patogeni trasmessi per via aerea.
È necessario pertanto un cambiamento di paradigma come quello che si verificò quando il rapporto sanitario di Chadwick nel 1842 portò il governo britannico a incoraggiare le città a organizzare forniture di acqua pulita e sistemi fognari centralizzati. Nel XXI secolo, dobbiamo stabilire le basi per garantire che l’aria nei nostri edifici sia pulita, con un numero di agenti patogeni sostanzialmente ridotto, contribuendo alla salute degli occupanti degli edifici, proprio come ci aspettiamo per l’acqua che esce dai nostri rubinetti.
Quindi, invece di aspettare di combattere le malattie all’interno del corpo umano, l’ingegneria può stabilire linee di difesa più lontane, intercettando e neutralizzando gli agenti patogeni prima che raggiungano l’uomo o diluendoli a tal punto da non poter causare un’infezione.9

La prevenzione si fa con l’impiantistica

Gli ingegneri sono stati responsabili di molti dei progressi più significativi nel campo della salute. Le epidemie di colera e dissenteria della storia sono state fermate da sistemi idrici e fognari che hanno impedito la trasmissione delle malattie attraverso l’acqua. La malaria è stata eliminata in molti luoghi grazie all’uso di zanzariere per finestre e all’uccisione delle zanzare portatrici del parassita. Le malattie di origine alimentare sono state notevolmente ridotte grazie ai progressi della tecnologia di cottura, confezionamento e congelamento. Le soluzioni ingegneristiche che hanno impedito la trasmissione di malattie attraverso l’acqua, gli insetti e il cibo hanno portato al più grande aumento delle aspettative di vita nella storia dell’umanità. La maggior parte di questi progressi è avvenuta nell’ultima metà del XIX secolo e nella prima metà del XX secolo. Certo, non tutte le malattie sono state eliminate, ma con il lavoro degli ingegneri nell’erigere le difese sembrava che fosse solo una questione di tempo prima che l’aria sicura seguisse l’acqua sicura. Tuttavia, negli anni Sessanta, con i primi successi di alcuni interventi farmacologici, l’area medica ha ritenuto di rappresentare l’unico baluardo a difesa della sanità pubblica. Affidarsi solamente a interventi farmacologici, come per esempio i vaccini, non può essere la soluzione a lungo termine. Infatti, come dimostrato dalla pandemia, questa strategia ci lascia completamente esposti a nuovi patogeni, perché, invece di prevenire la trasmissione delle malattie alle persone e tra le persone, l’idea è quella che gli individui possano infettarsi, ma non ammalarsi. 
Le azioni per affrontare la questione della qualità dell’aria negli ambienti indoor (IAQ) comporteranno costi aggiuntivi nel breve termine e potrebbero non essere considerate prioritarie da molti Paesi a causa dei costi. Tuttavia, se alcuni Paesi daranno l’esempio, gli standard di IAQ si normalizzeranno sempre più. I benefici sociali ed economici in termini di salute pubblica, benessere, produttività e prestazioni saranno probabilmente di gran lunga superiori ai costi di investimento per ottenere un’aria indoor pulita.10 Rendendo gli standard di IAQ una realtà, oltre a risparmiare denaro, miglioreremo la nostra salute e il nostro benessere.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. World Health Organization. Infection prevention and control of epidemic and pandemic prone acute respiratory infections in health care. Geneva, WHO, 2014. Disponibile all’indirizzo: https://www.who.int/publications/i/item/infection-prevention-and-control-of-epidemic-and-pandemic-prone-acute-respiratory-infections-in-health-care
  2. Jimenez JL, Marr LC, Randall K et al. What were the historical reasons for the resistance to recognizing airborne transmission during the COVID-19 pandemic? Indoor Air 2022;32(8):e13070. doi: 10.1111/ina.13070
  3. Lewis D. Why the WHO took two years to say COVID is airborne. Nature 2022;604(7904):26-31. doi: 10.1038/d41586-022-00925-7
  4. Morawska L, Bahnfleth W, Bluyssen PM et al. Coronavirus Disease 2019 and Airborne Transmission: Science Rejected, Lives Lost. Can Society Do Better? Clin Infect Dis 2023;76(10): 1854-59. doi: 10.1093/cid/ciad068
  5. Yu IT, Li Y, Wong TW et al. Evidence of airborne transmission of the severe acute respiratory syndrome virus. N Engl J Med 2004;350(17):1731-39. doi: 10.1056/NEJMoa032867
  6. World Health Organization. Transmission of SARS-CoV-2: implications for infection prevention precautions. Scientific Brief. Geneva, WHO, 2020. Disponibile all’indirizzo: https://www.who.int/news-room/commentaries/detail/transmission-of-sars-cov-2-implications-for-infection-prevention-precautions
  7. World Health Organization. Global technical consultation report on proposed terminology for pathogens that transmit through the air. Geneva, WHO, 2024. Disponibile all’indirizzo: https://www.who.int/publications/m/item/global-technical-consultation-report-on-proposed-terminology-for-pathogens-that-transmit-through-the-air
  8. Morawska L, Allen J, Bahnfleth W et al. A paradigm shift to combat indoor respiratory infection. Science 2021;372(6542):689-91. doi:10.1126/science.abg2025
  9. Forsberg , Charles W., 2022. Public Health is a Job for Engineers, Mechanical Engineering. 144 (002), 36. DOI: 10.1115/1.2022-MAR2
  10. Lidia Morawska et al., Mandating indoor air quality for public buildings. Science 383,1418-1420(2024). DOI:10.1126/science.adl0677
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