Salute e lavoro tra precarietà e incertezza
All'inizio del secolo scorso, Luigi Devoto preferì chiamare l'istituzione da lui fondata (e destinata ad attuare la più prestigiosa medicina del lavoro nell'accademia italiana) “Clinica del lavoro” piuttosto che “Clinica delle malattie da lavoro”. Similmente (e più modestamente), il presente numero di E&P è rivolto all'epidemiologia del lavoro piuttosto che a quelle che venivano chiamate malattie professionali.
Come espresso chiaramente dai due editoriali di apertura, diventa sempre più sfumato il confine tra malattia, stress, disturbi psichici minori (bel termine usato da Conway et al.), disagio eccetera. Questo numero di E&P ci dice che, nel complesso, il mondo degli epidemiologi del lavoro ha risposto assai positivamente all'invito a scrivere interventi e articoli originali che la rivista ha lanciato un anno fa. Grazie al contributo di Francesco Carnevale e Lucia Miligi, ci dimostra anche che, lungo i decenni, il cinema italiano ha contribuito alla comprensione di cosa siano le esposizioni nocive nell'ambiente di lavoro. Infine, con l'intervento di Carrozzi et al. si apre una prospettiva di indagine sulla trasparenza nella trasmissione dell'informazione sui rischi lavorativi, un principio sacrosanto enunciato in un decreto del Presidente della Repubblica fin dal 1956, ma la cui applicazione sul campo finora è stata raramente analizzata.
Dall'ottimo insieme dei contributi, comprese le presentazioni di Giovanni Costa e Dario Consonni ed Enzo Merler, non emerge l'impegno che molti epidemiologi del lavoro italiani svolgono in tribunale, sia nel condurre indagini nuove e originali, sia nella presentazione – a un ambiente diverso, come è quello della magistratura – del metodo e del significato degli studi compiuti. L'argomento è destinato a essere ripreso dalla rivista e dall'AIE, dopo essere stato oggetto di un interessante seminario tenutosi a Bari nell'autunno scorso (e ancora accessibile sul sito di E&P).
Che i tribunali siano una particolare sede d'integrazione tra ragionamento scientifico, compreso quello epidemiologico, e la società emerge molto bene dal contributo di Bruna De Marchi sulla sentenza del processo di L'Aquila. Nonostante la diversità di expertise (e di esperti), è ovvia l'attinenza del contesto in cui si esprime la previsione del rischio geologico al corrispondente contesto relativo alla previsione del rischio sanitario (da causa ambientale, genetica, comportamentale eccetera). Quest'ultimo, ovviamente, è caratterizzato dal lungo periodo di latenza della malattie, ma il contesto comune è quello del rapporto tra scienza, potere politico e fruitori dell'una e dell'altro.
Per una curiosa coincidenza, il dispositivo della sentenza di L'Aquila è stato contemporaneo alla pubblicazione dell'aggiornamento del ben noto rapporto Late lessons from early warnings: science, precaution, innovation, curato dall'Agenzia ambientale europea. Tra l'altro, esso richiama due principi, imparati dagli episodi descritti nella prima edizione, da seguire nel processo decisionale. Uno è l'utilizzo delle conoscenze “locali” e di quelle “laiche”, e non soltanto quelle degli esperti specialisti; l'altro riguarda la considerazione dei diversi valori che possono caratterizzare i vari gruppi sociali. Sarebbe importante dibattere se e come sia pertinente a questa prospettiva l'HealthTechnology Assessment, richiamato da Paolo Giorgi Rossi a proposito della responsabilità dei decisori nell'avvio di grandi programmi di sanità pubblica.
Questo numero è accompagnato dalla monografia AIRTUM, che aggiorna le stime di incidenza, sopravvivenza e mortalità delle persone affette da cancro in età giovanile in Italia. Si tratta di dati altamente affidabili prodotti con molta accuratezza. Nel nostro Paese, lo standard di cura dei tumori di bambini e adolescenti è molto elevato; credo, invece, che ci sia molto da fare nel campo della prevenzione (primaria). Un filone rispetto al quale i pediatri italiani e le associazioni di genitori sono particolarmente sensibili.
Benedetto Terracini
Indice
Editoriali
Articoli scientifici
Interventi
Rubriche
Manca qualcosa: cosa c’è di sbagliato nell’usare l’età alla diagnosi/decesso o la latenza nei casi
La sentenza di L’Aquila riaccende il dibattito sul rapporto tra scienza e potere politico
Informare i lavoratori in merito alla sicurezza serve!
Sono 800.000 gli italiani di 75 anni o più che vivono dopo una diagnosi di tumore (15% della popolazione di pari età)
100 esercizi per evitare gli errori più diffusi in epidemiologia
Il lavoro degli italiani al cinema
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