Scienziati di professione e scienziati di comunità

Negli studi di epidemiologia collegiale, cioè che prevede la partecipazione di soggetti che non fanno parte della comunità di ricercatori professionisti, la lista degli autori non contiene solo un nome collettivo che identifica il gruppo di ricerca, ma elenca anche i nomi di singoli. Nello stendere il paragrafo sul contributo dato al lavoro da ciascun autore, può sorgere qualche difficoltà nel dire quale sia l’apporto dei non professionisti, come pure si può cadere nella trappola di scegliere frasi generiche e stereotipate. È facile definire in dettaglio un contributo tecnico, meno scontato descrivere un contributo politico. È quanto accaduto nel lavoro sulla mortalità cardiovascolare e tumorale nella popolazione residente nell’area contaminata da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto.1 Il lavoro è stato oggetto di una testimonianza al processo di Vicenza2 e il giudice ha posto la domanda cruciale sul perché sono stati inclusi alcuni cittadini nella lista degli autori e che contributo essi hanno dato al lavoro, qual è stato il valore aggiunto. Gli avvocati hanno voluto chiarimenti sulla possibile mancanza di oggettività che la presenza tra gli autori di esponenti della comunità esposta o danneggiata potrebbe aver provocato.2

Rispondere che hanno portato il loro vissuto e quello della comunità degli esposti, ma non hanno contribuito alla parte tecnica lascerebbe tutti tranquilli – giudici, avvocati ed epidemiologi. In realtà, come discusso in un lavoro relativo a un’esperienza diversa,3 parlare di “cittadini” non è accurato, si è quindi optato per un termine nuovo: “scienziati di comunità”. Il termine sottolinea come questi cittadini siano portatori di conoscenza specifica sul fenomeno indagato, anche se non espressa per mezzo del linguaggio tecnico della disciplina. Il vissuto della catastrofe subìta dalla comunità degli esposti fa sì che gli elementi di conoscenza specifica vengano ricomposti in un quadro globale, denso di significato.

Analisi e sintesi

Il sapere tecnico è necessariamente analitico e decompone il quadro generale nelle differenti specialità, nessuna delle quali da sola può ricomprendere la complessità di quanto accaduto. Dal punto di vista metodologico, si è parlato di transdisciplinarità e si è sottolineato come non sia da vedere in opposizione alle singole discipline, ma come recupero di una dimensione unitaria nell’ambito di un fenomeno complesso.4,5   

In questo editoriale, si vuole suggerire che il contributo degli scienziati di comunità è anche quello di ricostruire una cornice di senso alla ricerca, iniziando dalla definizione dei quesiti di ricerca e arrivando alle implicazioni di sanità pubblica. Alcuni epidemiologi ambientali hanno chiamato in causa la consequential epidemiology,6 anche se quest’ultima si esplica tutta all’interno della comunità dei ricercatori. 

Mi spiego meglio usando il lavoro summenzionato sulla mortalità nella popolazione veneta esposta alla contaminazione delle acque da sostanze perfluoroalchiliche.1 In un recente convegno sui PFAS, è stato detto che in fondo il lavoro pubblicato non mostra novità rilevanti, che quanto riportato è ben noto alla comunità scientifica. L’aumento di decessi cardiovascolari non desta sorpresa. Tuttavia, la scienza si interroga sui nessi causali, l’epidemiologia molecolare cerca i correlati, le variabili intermedie, il colesterolo buono e quello cattivo eccetera. Una molecular burocracy7 immemore del fatto che per stabilire che il fumo di sigaretta provoca il tumore polmonare e adottare misure di sanità pubblica, non abbiamo aspettato prima di chiarire tutti i passaggi dall’esposizione alla mutazione, all’induzione neoplastica e via dicendo; per dirla con A. Bradford Hill: non abbiamo aspettato di “mettere i trattini sulle t”.8,9 Il quadro generale e le implicazioni di sanità pubblica sono confusi in una miriade di questioni particolari e tecniche e, su tutte, domina il paradigma biochimico-molecolare. Sono gli scienziati di comunità che, privi di linguaggio tecnico, ricompongono la figura. Ne hanno ben donde, perché quello è il loro territorio, in senso ecologico ed etologico.

Ma c’è un’ulteriore osservazione che vorrei portare alla discussione. Nella storia di queste catastrofi antropiche, c’è sempre un punto cieco, una domanda su cui non si cessa di tornare: come è potuto accadere? Catastrofi annunciate, sì, ma nella sequenza degli eventi c’è un momento, un evento, un comportamento di cui non siamo in grado di spiegare la genesi. Quando e come si è lasciato che la salute pubblica passasse in secondo piano? E sempre – nel caso veneto, come a Manfredonia,3 come altrove – ci si trova di fronte alla difficoltà di misurare la dimensione della catastrofe, perché vi è una sorta di negazione cui la frammentazione delle discipline e dei saperi ha certamente contribuito.

Andare oltre la frammentazione disciplinare e la compartimentazione organizzativa

Secrets at work. The Hidden Architecture of Organizational Life,10 scritto da due sociologi statunitensi, è un libro che mostra come viene mantenuto il segreto industriale, e non solo, e come questo possa alla fine risultare disfunzionale per la società. Gli autori non si limitano a denunciare l’evidente comportamento doloso del mantenere segreta la tossicità di alcuni composti, come i PFAS, come il cloruro di vinile, come le aniline eccetera. Al di là del dolo, è la struttura organizzativa che agisce come un’istituzione totale attraverso la compartimentazione del lavoro grazie al sapere tecnico-scientifico, generando un’attitudine al segreto. Ognuno isolato nella propria mansione/compito/disciplina perde la conoscenza del processo produttivo/obiettivo/significato generale di quello che sta facendo. 

Come in fabbrica fu il sapere operaio a ricostruire le informazioni sulla nocività in fabbrica, così in epidemiologia ambientale sono gli scienziati di comunità a recuperare le informazioni sulla nocività degli ambienti di vita, a ricostruire il senso. Gli epidemiologi, come tecnici, distinguono e specificano, frammentano e, perdendo consequentiality, possono essere fraintesi dalla popolazione, perderne la fiducia ed essere vissuti come parte delle élite dominanti. Ma in realtà non nascondono l’evidenza empirica, semplicemente non sono più in grado di coglierla.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia e note

  1. Biggeri A, Stoppa G, Facciolo L et al. All-cause, cardiovascular disease and cancer mortality in the population of a large Italian area contaminated by perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances (1980-2018). Environ Health 2024;23(1):42. doi: 10.1186/s12940-024-01074-2
  2. Tribunale di Vicenza, Sezione penale Corte d’Assise. Procedimento penale numero 1943/16 r.g.n.r.; Procedimento penale numero 1/21 r.g.; Udienza del 14/12/2023, pagg. 37-52 del verbale stenotipico P2023209308645
  3. Malavasi G, De Marchi B, Ficorilli A, Biggeri A. Epidemiologia ambientale ben temperata: etica, sociologia e storia in un progetto di citizen science. In: Etica & Politica 2023;XXV(2):35-54.
  4. Belmont forum. Disponibile all’indirizzo: https://www.belmontforum.org/
  5. Funtowicz S, Ravetz J. Science for the post-normal age. Futures 1993;25(7):739-55.
  6. Frumkin H. Work that matters: toward consequential environmental epidemiology. Epidemiology 2015;26(2):137-40. doi: 10.1097/EDE.0000000000000240
  7. Hepler-Smith E. Molecular Bureaucracy: Toxicological Information and Environmental Protection. Environmental History 2019;24(3):1-27.
  8. Upshur RE. Principles for the justification of public health intervention. Can J Public Health 2002;93(2):101-3. doi: 10.1007/BF03404547
  9. Hill AB. The Environment and Disease: Association or Causation? Proc R Soc Med 1965;58(5):295-300. A pag. 300: «I would, however, repeat emphatically that this does not imply crossing every ‘t’, and swords with every critic, before we act».
  10. Costas J, Grey C. Secrecy at Work. The Hidden Architecture of Organizational Life. Stanford CA, Stanford University Press, 2016.

 

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