Riassunto

Tony Judt, uno dei grandi politologi del secolo scorso (morto prematuramente nel 2010) ha scritto alcune delle pagine più chiare ed esplicite sui mali che affliggono le democrazie odierne: «Conosciamo il prezzo delle cose ma non abbiamo nessuna idea di quanto valgano. Non ci chiediamo più della sentenza di un tribunale o di un atto legislativo: è buono? È giusto? Ci aiuterà a migliorare la società o il mondo? Queste sono le vere domande politiche, anche se non hanno necessariamente risposte semplici. Dobbiamo reimparare a porcele». Una delle ultime battaglie di Judt è stata quella intorno al “ripensamento dello Stato”. Dopo il federalismo, i tea party e i movimenti antifiscali, Judt va controcorrente ricordandoci che se non pensiamo rapidamente a come riformare e rafforzare lo Stato le nostre democrazie possono avviarsi verso esiti imprevedibili.

Tony Judt, uno dei grandi politologi del secolo scorso (morto prematuramente nel 2010) ha scritto alcune delle pagine più chiare ed esplicite sui mali che affliggono le democrazie odierne: «Conosciamo il prezzo delle cose ma non abbiamo nessuna idea di quanto valgano. Non ci chiediamo più della sentenza di un tribunale o di un atto legislativo: è buono? È giusto? Ci aiuterà a migliorare la società o il mondo? Queste sono le vere domande politiche, anche se non hanno necessariamente risposte semplici. Dobbiamo reimparare a porcele».1 Una delle ultime battaglie di Judt è stata quella intorno al “ripensamento dello Stato”. Dopo il federalismo, i tea party e i movimenti antifiscali, Judt va controcorrente ricordandoci che se non pensiamo rapidamente a come riformare e rafforzare lo Stato le nostre democrazie possono avviarsi verso esiti imprevedibili.

Nel testo che segue presento solamente alcuni aspetti di quanto può succedere se un serio ripensamento del significato dello Stato (e una rivalutazione del suo ruolo) non avverrà. Come dice Judt, non è più accettabile che le tasse siano viste da molti solo come una perdita di reddito a fondo perduto, come accade negli Stati Uniti.

Crisi economica e crisi della salute

La Grecia è un ovvio “laboratorio” involontario per studiare gli effetti recenti della crisi economica, in parte per la rapidità con cui essa vi si è manifestata. Per esempio, la disoccupazione negli uomini è salita dal 6,6% nel 2008 al 26,6% nel 2010, e tra i giovani dal 19% al 40%. Ricordo solamente alcune delle conseguenze sullo stato di salute, ampiamente descritte e ormai ben note: un aumento del 14% (dopo il 2008) della frequenza di persone che descrivono la loro salute come “cattiva” o “molto cattiva”; un aumento dei suicidi del 17%, e degli omicidi quasi del 100%; ancora più preoccupante è l’aumento della frequenza di infetti dall’HIV (52% in più nel 2011 rispetto al 2010, soprattutto tra i consumatori di droghe). Nei primi 7mesi del 2011 vi è stato un incremento di 10 volte delle infezioni nei consumatori di droghe, e la frequenza di uso di eroina è aumentata del 20% nel 2009.2

Come mostra il caso della Grecia, il declino può essere più rapido della crescita, sia in economia sia nello stato di salute della popolazione. La crisi economica ha molti insegnamenti anche per il futuro della sanità. La creazione della Comunità europea dopo la caduta del comunismo e l’unificazione della Germania venne avviata, come è ben noto, su una base prevalentemente monetaria ma con ampie carenze istituzionali. In particolare, venne creata una Banca centrale, ma non una Finanza centrale che potesse emettere obbligazioni europee (gli Eurobond).Questo avvenne perché si ritenne che la politica avrebbe ovviato a questa macroscopica carenza in caso di necessità. Nella settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, nel 2008, l’intero mondo della finanza collassò e richiese di essere sottoposto a un «mantenimento in vita artificiale», per esprimersi con le parole di George Soros.3 Questo consistette nel sostituire il “credito sovrano” (basato su garanzie da parte delle banche centrali e di un crescente deficit nel bilancio dei singoli Stati) al credito delle istituzioni finanziarie nazionali, non più accettato dai mercati.

Il ruolo centrale che è venuto a giocare il “credito sovrano” ha rivelato un difetto di fondo nell’intera costruzione, che non era stato chiaramente riconosciuto in precedenza. Trasferendo alla Banca centrale quello che era il diritto di stampare moneta a livello nazionale (che creava inflazione interna, ma aumentava la competitività sui mercati internazionali attraverso la svalutazione), gli Stati espongono il loro credito sovrano al rischio di fallimento (default). Questa situazione ha creato un’Europa, come si dice abitualmente, a due velocità, divisa tra creditori (in particolare la Germania) e debitori. I Paesi debitori che prendono denaro a prestito devono pagare “premi” che riflettono il rischio di default; addirittura, il mercato finanziario induce questi Paesi al default attraverso la speculazione. La creazione di un debito pubblico enorme fa scattare quelle politiche di contenimento o di “austerità”, definite anche riforme strutturali, che ora appaiono chiaramente come politiche depressive, che conducono cioè a una depressione economica perdurante. Nel 1982 avvenne qualcosa di simile quando si verificò una grave crisi delle banche, e il Fondo monetario internazionale salvò le istituzioni bancarie prestando una quantità di denaro appena sufficiente ai Paesi maggiormente indebitati per consentire loro di evitare il default, ma a costo di spingerli verso una depressione di lunga durata. L’America Latina, in particolare, soffrì della depressione economica per un decennio.

Insomma, la crisi è dovuta certo allo strapotere delle banche e agli errori degli economisti, ma anche largamente alle carenze e alle degenerazioni della politica. È possibile che la crisi economica conduca alla fine di un’era anche in settori lontani dall’economia. Come abbiamo visto la fine di Bretton Woods e delle istituzioni finanziarie ispirate alle teorie di Keynes, possiamo trovarci a fronteggiare la progressiva erosione di istituzioni come l’Organizzazione mondiale della sanità. In vari modi la crisi attuale conduce a cambiamenti materiali, psicologici ed etici che possono avere conseguenze a lungo termine per lo stato sociale e l’uguaglianza. È possibile che l’efficacia di agenzie centrali come l’OMS, che rilascia linee guida generali, venga completamente vanificata dalla mancanza di istituzioni politiche nazionali abbastanza efficaci che possano coordinare e rendere effettive le misure preventive. Bisogna ricordare che per ogni dollaro speso dall’OMS per la prevenzione delle malattie causate dall’alimentazione occidentale, più di 500 vengono spesi dall’industria dell’alimentazione per promuovere quelle stesse diete.4 Vedo molte analogie tra la crisi economica e quanto è successo in alcuni settori della salute, e con quanto può succedere in futuro se non intervengono in modo energico entità nazionali e sovranazionali. Analogamente alla dissociazione tra la moneta unica e l’assenza di un controllo efficace della finanza a livello locale e sovranazionale, la Framework Convention on Tobacco Control si sta rivelando inefficace per motivi non così diversi, riconducibili a uno strapotere dell’economia (la World Trade Organization - WTO) rispetto alla politica (le Nazioni unite, l’OMS). La convenzione è uno schema generale mirante a limitare il commercio e i consumi di sigarette, ma è stata fortemente avversata dalla WTO sulla base della violazione della libertà di commercio. Come afferma il sito web della WTO: «Al meeting del Comitato sulle barriere tecniche al commercio della WTO del 24-25 marzo 2011 in totale sono state sollevate contestazioni a 45 violazioni del diritto al commercio. [...]Mentre i membri della WTO non mettono in discussione la finalità di protezione della salute, essi contestano che il disegno di tale regolamentazione delle vendite del tabacco può avere un impatto inutilmente negativo sui commerci».5 Un linguaggio contorto e legalistico per dire che la libertà di commercio ha la priorità sulla protezione della salute. È probabile che qualcosa di molto simile avverrà con le ambiziose politiche come “25x25” (l’abbattimento della mortalità da malattie croniche del 25%entro il 2025, sancito nel 2011 dalle Nazioni unite), e si estenderà dalle sigarette ai prodotti alimentari.

Cosa succede in Inghilterra?

Quanto sta succedendo in Inghilterra in seguito alla riforma di Lansley del 2012 è semplicemente sconcertante. Secondo alcuni commentatori autorevoli6 non è altro che l’ultimo atto di una strategia preparata da tempo, almeno da quando il British Medical Journal pubblicò nel 2002 il famoso articolo che prendeva a modello la managed care della Kaiser permanente. La recente riforma ha sostanzialmente (e legalmente) sottratto al Ministro della sanità la responsabilità della fornitura dell’assistenza sanitaria alla totalità dei cittadini, modificando uno dei principi costitutivi del National Health Service (NHS). Ma prima di essa si è avviato un processo di privatizzazione profondo e apparentemente inarrestabile: nel 2010, 227 ambulatori di general pratictioner (GP) erano gestiti da compagnie private, e Virgin Care amministrava circa 1.500 GP per circa 3 milioni di pazienti. Il prossimo passo sarà probabilmente il passaggio dal finanziamento attraverso le tasse a un sistema di assicurazioni private, o almeno tutto sembra andare in quella direzione. Già ora i servizi forniti dall’NHS si stanno riducendo qualitativamente al minimo, e i pazienti sono invitati a top-up (integrarli) con assicurazioni private. Il modello delle assicurazioni integrative è una china scivolosa in un contesto in cui la parola d’ordine è “ridimensionare lo Stato”, dunque ridurre progressivamente i servizi erogati gratuitamente. Vi sono anche alcuni conflitti di interesse patenti (un problema sempre più comune in sanità), come il fatto che dopo una rapida carriera nel Ministero della sanità come responsabile della strategia, Penny Dash (una delle maggiori ispiratrici della riforma Lansley) sia passata a lavorare per la McKinsey, un gigante americano della gestione sanitaria. Il glorioso sistema dei GP inglesi è ora sostituito da una rete di trust che possono scegliere i pazienti, e dunque respingere quelli più a rischio e più costosi.6

La salute morale

Ci sono vari modi indiretti attraverso i quali la crisi economica e il clima sociale possono influire sulla salute. La maggior parte delle malattie non trasmissibili possono essere affrontate con successo con la prevenzione. La prevenzione ha diversi vantaggi sulle terapie: il principale è il fatto che i suoi effetti possono durare indefinitamente, essa non deve cioè essere rinnovata a ogni generazione come le terapie. Bandire un cancerogeno ambientale o occupazionale ha un effetto risolutivo, mentre senza prevenzione a ogni generazione si presentano nuovi malati che richiedono terapie. Inoltre, spesso gli interventi preventivi sono dotati di efficacia per più di una malattia (la dieta e l’esercizio fisico hanno un effetto positivo su diversi tipi di tumori, sulle malattie cardiovascolari, sul diabete, sull’ipertensione, e verosimilmente sulle malattie neurologiche), a differenza delle terapie e degli screening genetici. Tuttavia, per essere efficace la prevenzione deve essere basata su interventi a livello societario, mentre sono largamente inefficaci gli approcci strettamente individuali, la cui utilità è in genere circoscritta alle classi sociali più elevate. Ma il clima economico e politico attuale non facilita uno sforzo collettivo per la prevenzione. La tendenza a privatizzare la sanità, come si vede in Inghilterra, significa che i medici avranno meno tempo e interesse a promuovere la salute. Già ora la proporzione della spesa pubblica destinata alla prevenzione del cancro (inclusi gli screening) è meno del 4% nel Nord America e in Europa. La privatizzazione della sanità rende la prevenzione scarsamente appetibile, perché essa non genera profitti (con alcune eccezioni).

Sul piano morale, la solidarietà era radicata nella società europea a partire dal secondo dopoguerra, se non prima, ma appare ora come un concetto obsoleto. Di nuovo, Judt ha dedicato pagine molto belle a «quello che abbiamo perduto».1 La divisione dei Paesi in creditori e debitori oggi getta una luce negativa sui secondi (la parola tedesca Schuld significa sia debito sia colpa). Più in generale, la crisi incrementa le spinte localistiche (lo dimostrano, per esempio, le manifestazioni a Barcellona per l’autonomia da Madrid), e l’enfasi sui consumi privati piuttosto che sui servizi pubblici, con il duplice obiettivo di sostenere la produzione industriale e diminuire la spesa pubblica. Ma ci sono anche giganteschi cambiamenti nella moralità pubblica che minano alla base la solidarietà. Quale può essere la reazione morale alle forme di ingiustizia estreme e ovvie che ogni giorno vengono commesse? Per esempio, i contribuenti americani hanno versato 6 miliardi di dollari per salvare laGoldman Sachs, che l’anno dopo ne ha spesi 2,6 in bonus per i suoi top manager. Walmart in un anno accumula una quantità di denaro (166miliardi di dollari) superiore a tre volte l’intero PIL del Bangladesh. Qual è il posto della sanità pubblica e della responsabilità individuale in un contesto simile? Che l’aumentata mobilità del capitale ha reso impraticabili le politiche di welfare è una convinzione diffusa tra certi economisti paladini del libero mercato, in particolare in Europa. Lo spettro del default mantiene i governi sintonizzati sulle richieste del capitale speculativo.7 Come possiamo aspettarci che le persone contribuiscano al welfare in questo scenario? In effetti, se l’Europa fallisce e la sua unione politica si sbriciola, una delle conseguenze può essere la privatizzazione di parte dei servizi sanitari nazionali e l’introduzione di un sistema a due velocità: assicurazioni private per i ricchi e un servizio pubblico impoverito e di bassa qualità per i poveri, sottofinanziato con le tasse. Sarebbe una regressione grave, e di questo dobbiamo convincere la maggioranza dei cittadini. Serve innanzitutto un’opera di informazione enorme per contrastare chi costantemente getta discredito sul ruolo dello Stato.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno

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