Nel tentativo di limitare la diffusione del Coronavirus, a partire dalla primavera del 2020, molti Paesi hanno imposto la chiusura totale delle scuole. La durata della chiusura è variata notevolmente tra Paesi, in relazione all’andamento della curva dei contagi e alle scelte attuate dai diversi governi.1 Come è noto, in Italia le scuole sono state chiuse molto a lungo: da inizio marzo 2020 fino alla fine dell’anno scolastico e, successivamente, a intermittenza, con l’alternanza di periodi di chiusura totale, apertura totale, e chiusura limitata alle regioni a elevata diffusione dei contagi, in base all’occorrenza di casi in ciascuna classe/scuola secondo le regole vigenti. A partire da novembre 2020, le chiusure hanno interessato in particolare la scuola media superiore.2

La didattica in presenza è stata sostituita da varie forme di didattica a distanza, per le quali gli insegnanti erano inizialmente poco preparati.3,4 Inoltre, ragazze e ragazzi spesso non disponevano di attrezzature informatiche adeguate o di connessione affidabile, specie nelle regioni del Mezzogiorno.5 Si noti che, prima dello scoppio della pandemia, l’Italia aveva uno dei punteggi più bassi nel Digital Economy and Society Index (DESI).6 Sebbene la situazione sia migliorata con il progredire della pandemia, è rimasta critica.7

Fin dall’inizio, gli studiosi a livello internazionale concordavano sul fatto che la pandemia avrebbe causato una perdita importante negli apprendimenti, più elevata tra le fasce sociali deboli. Tra i canali si annoverano:8 la didattica a distanza (vi è evidenza diffusa che questa sia meno efficace di quella in presenza, specie in assenza di formazione specifica), difficoltà di accesso alla DAD, maggiori assenze di bambini e insegnanti dovute al contagio stesso, necessità di supporto da parte dei genitori, assenza di rapporti e collaborazione con i compagni, difficoltà di concentrazione, perdite socioemotive... Accedi per continuare la lettura

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