Attualità minuti di lettura - EpiChange
E&P 2019, 43 (2-3) marzo-giugno, p. 121-123
DOI: https://doi.org/10.19191/EP19.2-3.P121.046
Biostatistica - Metodi
Smettiamola di fingere: quantificare non è un’operazione neutrale
Drop the act: quantification is never neutral
Riassunto
Ogni quantificazione che prescinda o che non specifichi in che contesto e a che fine viene prodotta, fatalmente oscura, piuttosto che illuminare.
Nell’esercizio di qualsiasi attività di quantificazione, la metodologia non è mai neutrale, dato che non è mai interamente possibile separare l’esercizio di quantificazione dai desideri e dalle aspettative di chi quantifica.
ERRATA-CORRIGE: P. 122 «valore del p test è maggiore di 0,5» e «p minore di 0,5» diventano rispettivamente: «valore del p test è maggiore di 0,05» e «p minore di 0,05».
Ogni quantificazione che prescinda o che non specifichi in che contesto e a che fine viene prodotta, fatalmente oscura, piuttosto che illuminare.
Nell’esercizio di qualsiasi attività di quantificazione, la metodologia non è mai neutrale, dato che non è mai interamente possibile separare l’esercizio di quantificazione dai desideri e dalle aspettative di chi quantifica. Paradossalmente però la forza argomentativa, o retorica, di una quantificazione risiede esattamente nella sua presupposta obiettività e neutralità: «i numeri parlano chiaro», e «il modello non sbaglia» sono espressioni di uso corrente.
Benché il dubbio sulla neutralità della quantificazione sia oggi molto praticato in relazione all’uso di algoritmi per prendere decisioni quali promuovere o bocciare, imprigionare o lasciare in libertà, concedere o non concedere credito,1 il dubbio è generale. La convergenza dei fenomeni big data e intelligenza artificiale rendono le frontiere fra diversi tipi di quantificazione molto permeabili. Il nascente campo della sociologia della quantificazione si chiede:2 «Quali qualità sono specifiche di un ranking, di un indicatore, di un modello o di un algoritmo?» In realtà, questa nuova consapevolezza del fatto che ogni numero presupponga una narrazione, una visione del mondo e un possibile obiettivo da conseguire, non riguarda solo l’esempio degli algoritmi, ma si è manifestata in modo molto evidente nel campo della statistica applicata. Qui, l’esistenza di una vera e propria disciplina – la statistica appunto – ha reso la crisi nell’uso e l’abuso dei metodi al tempo stesso meglio compresa e più visibile. Le diagnosi legate all’impiego scorretto dei test di significatività, nei suoi aspetti metodologici e normativi, nutrono le attuali letture degli addetti ai lavori.3,4
Un esempio lampante dell’intreccio esistente fra tecnica e valori è proprio offerto dalla discussione sulla significatività:5 non sarebbe meglio abolire del tutto il concetto, sostengono alcuni autori,4 che spingono la loro iniziativa fino a sollecitare il pubblico supporto per questa abolizione, suscitando in molti la domanda legittima: «È appropriato raccogliere centinaia di firme in supporto di un editoriale scientifico?». Per alcuni commentatori, le questioni scientifiche vanno risolte su publicazioni scientifiche, non con petizioni. Altri notano che numerosi articoli scientifici dedicati a illustrare il cattivo uso del concetto di significatività lungo l’arco di più di tre decenni non hanno portato a nessun cambiamento, da cui la necessità di un’azione collettiva di propaganda per affrontare quello che sembra essere un problema di sociologia della scienza.
I contendenti abitano mondi diversi
Nella discussione sulla significatività di confrontano mondi alternativi. Il primo mondo è pieno di effetti importanti che vengono scartati, perché il relativo valore del p test è maggiore di 0,05.
Il secondo mondo è pieno di risultati fasulli passati nella letteratura grazie a un p minore di 0,05.
Scavando un po’, non è difficile capire che il motivo del contendere è normativo, per non dire politico. Alcuni temono l’immissione nel mercato di farmaci inefficaci, altri che un effetto epidemiologico importante che collega un inquinante a un danno per la salute non possa essere comprovato. I primi vorrebbero ovviamente un p più selettivo, i secondi uno meno. Tutto ciò non è nuovo. Il filosofo Richard Rudner lo aveva già scritto nel 1953: è impossibile usare un test di significatività senza sapere di cosa si sta parlando, cioè senza dare un giudizio di valore.6
In tutta questa discussione i modelli matematici godono al momento di una relativa immunità, forse proprio in ragione del fatto di non essere racchiusi all’interno di una disciplina. Non mancano, tuttavia, segnali di una situazione verosimilmente peggiore di quella registrata per i modelli statistici.7 Quantificazioni implausibili dell’effetto del cambiamento climatico sul prodotto interno lordo di un Paese nell’anno 21008 o della sicurezza di un deposito geologico di scorie radioattive di qui a un milione di anni7 non sono che esempi estremi. Decisioni politiche, per esempio nel campo dei trasporti, possono risultare basate su modelli i cui dati di ingresso includono variabili fantastiche, quali il numero medio di occupanti di un’autovettura alcune decadi nel futuro.9
Studiosi dell’uso della scienza per la società10 lamentano l’uso spesso spregiudicato di metodi – quali il calcolo delle esternalità, l’analisi di impatto o costo-beneficio – usati per convincere l’osservatore della bontà, per esempio, di una data politica energetica o di un dato standard di salute o di sicurezza. L’uso di termini quali “analisi di utilità”, “teoria della decisione”, “analisi del ciclo di vita”, “servizi ecosistemici”, “sound scientific decision” può così rivelarsi retorico. La cosiddetta politica basata sull’evidenza può risultare nella generazione di numeri tanto servizievoli quanto illusoriamente precisi, al servizio di tesi o interessi precostituiti.
L’uso della politica basata sull’evidenza soffre inoltre di importanti asimmetrie di potere,11 laddove la produzione di dati avvantaggia chi dispone dei mezzi per procurarseli, un fenomeno noto agli studiosi dei sistemi di lobby, sia in Europa12 sia negli Stati Uniti.13 A queste asimmetrie si oppongono da sempre pulsioni per democratizzare la conoscenza, come l’epidemiologia popolare,14 nonché varie forme di auto-organizzazione di cittadini e scienziati che ambiscono a porre la scienza al servizio degli esclusi.15
La principale vittima della numericizzazione forzata causata dalle pratiche di quantificazione sopra descritte è l’incertezza, concetto espresso nel noto principio di precauzione, che rammenta che la mancanza di prove di un possibile danno non è la stessa cosa che la prova di assenza del danno medesimo. Proprio contro l’espressione di questo principio, importanti attori industriali hanno messo in campo il cosiddetto “principio di innovazione”, il quale stabilisce che la Commissione europea dovrà tener conto degli effetti che ogni nuova iniziativa legislativa produrrà sull’innovazione.16,17
Quali strategie adottare per contrastare quantificazioni strumentali o fantastiche? La scienza post normale ha fin dai suoi primi passi insistito su un legame molto stretto fra qualità e incertezza nell’uso della scienza per la politica,18 come ricordato su questo stessa rivista.19,20
In particolare, l’uso di matrici di pedigree per definire la qualità di un’informazione quantitativa (NUSAP),21 nonché l’adozione di sistemi di comunità estesa in atti di deliberazione e analisi, possono essere utilmente combinati per generare una valutazione multi-attributo della bontà di un dato numerico. Questa informazione include l’incertezza del dato, indicazioni su come è stato prodotto, da quale team e con quali risorse. Nel campo della modellizzazione matematica, principi quali l’auditing della sensitività suggeriscono di guardare alla costruzione di un’analisi in relazione al suo inquadramento all’interno di un sistema di potere e della sottostante narrazione, rintracciando ipotesi implicite, il possibile uso retorico o rituale del metodo e le possibili narrazioni, gli interessi e i valori lasciati a margine.22
Produrre numeri richiede delicatezza di modi e onestà di fini. Purtroppo, questa non sembra essere la regola.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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