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E&P 2017, 41 (2) marzo-aprile, p. 80-80
DOI: https://doi.org/10.19191/EP17.2.P80.023
Biostatistica - Metodi
Parole e cambiamento
Quando un’indagine epidemiologica può far danniWhen an epidemiological survey may be damaging
Certo, se l’idraulico vi raccomanderà di cambiare il rubinetto e il gommista vi convincerà che ci vuole uno pneumatico nuovo, come volete che risponda l’epidemiologo alla domanda (dell’amministratore, del politico, del cittadino) «in caso di inquinamento ambientale è necessario iniziare un nuovo studio epidemiologico?». «Certo che sì! con investimenti adeguati, poliennale e di alto profilo scientifico!».
David Savitz, epidemiologo statunitense di grande esperienza, lo scorso novembre ha proposto sulla rivista Epidemiology un ragionamento semplice per suggerire che non sempre un’indagine epidemiologica è opportuna; anzi, spesso può essere dannosa. Dannosa? Sì, specie quando la nocività dell’esposizione è già nota e l’eventuale indagine non fa gli interessi delle persone colpite, ma ritarda l’azione preventiva e la rimozione dei fattori nocivi.
Ne parla in modo esteso l’editoriale di Magnani alle pagine 78-79 di questo numero di E&P. I fattori in discussione sono ovviamente molti: le conoscenze che già abbiamo, la fattibilità dell’indagine, la presenza di dati di esposizione adeguati, i tempi, la potenza dello studio, l’utilità dell’indagine nel guidare gli interventi di prevenzione o prevenire futuri episodi, le nuove conoscenze scientifiche che possono essere acquisite.
Questi elementi vanno considerati insieme alle conseguenze possibili, come il ritardo nell’avvio degli interventi necessari (per esempio, le bonifi che) o l’aumento della preoccupazione della popolazione in attesa dei risultati... Accedi per continuare la lettura
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