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  1. SSD Epidemiologia clinica e valutativa, SC Epidemiologia dei tumori, AOU Città della salute e della scienza di Torino – CPO Piemonte, Torino

Oltre ad avere avuto poco tempo da dedicare a queste riflessioni, mi ha anche trattenuto una certa difficoltà a rispondere alle domande che avete posto come nodi principali sui quali riflettere, che sono importanti, ma forse non centrali. Chiedersi se l’epidemiologia stia documentando in modo adeguato l’impatto negativo sulla salute della popolazione determinato dai problemi del SSN mi sembra certamente utile, e anche doveroso per gli epidemiologi, ma temo che sia un impegno scarsamente efficace per tentare di contrastare questa deriva ormai molto chiara. In altre parole, migliorare la capacità di monitorare gli scompensi di un organismo malato non serve, da sola, a modificarne la prognosi. Penso che, anche come epidemiologi, sia necessario contribuire all’analisi delle cause e suggerire possibili interventi terapeutici per cercare di invertire il declino. Ho trovato molto condivisibili le considerazioni espresse chiaramente da Maffei nel suo contributo su E&P, ho solo il timore che la sua proposta di intervenire sul SSN con un cacciavite per registrare meglio alcuni meccanismi sia insufficiente.

Dopo queste premesse, provo ad indicare alcune questioni che credo richiedano delle riflessioni molto serie, non solo da parte degli epidemiologi, ma di tutti i professionisti impegnati nella sanità, dei politici e dei cittadini che hanno interesse a mantenere un SSN che, nonostante i malfunzionamenti, ha rappresentato un grande esempio di civiltà e di impegno a trasformare un diritto costituzionale alla salute in un bene reale.

Siccome il tema è molto vasto e complesso, e non ho le competenze sufficienti per fare un’analisi sistematica dei problemi, mi limito ad elencare alcune questioni, esprimendole soprattutto come dubbi o interrogativi, sulle quali ho avuto occasione di imbattermi, sia attraverso l’esperienza lavorativa, sia come cittadino/utente del SSN.

Comincio dal progressivo sottofinanziamento perché è tra le questioni più frequentemente oggetto di polemiche. È certamente una delle cause dell’indebolimento del SSN, ma non credo che un ipotetico cambiamento di questo trend, da solo, sia in grado di modificare sostanzialmente i problemi in atto, perché penso che alcune distorsioni del sistema non verrebbero eliminate dalla maggiore disponibilità di spesa, anzi, potrebbero addirittura aumentare l’inefficienza e gli sprechi.

Una scelta sulla quale ci sarebbe seriamente bisogno di ripensamenti è la progressiva disgregazione del SSN, frantumato in 20 sistemi regionali, in oltre 200 tra aziende territoriali e ospedaliere pubbliche/IRCCS ed in un numero molto elevato di strutture private, molte delle quali accreditate. Servirebbe un’inversione di questa deriva, investendo su un governo sanitario centrale con solide competenze in grado di ridefinire le regole delle interazioni e delle finalità spesso contrastanti di questi soggetti. Mi rendo conto però che intervenire su questo livello potrebbe richiedere revisioni della costituzione, già ampiamente, e malamente, manomessa su questo tema.

Altra questione delicata è la troppo pesante dipendenza delle figure responsabili della gestione del SSN ai vari livelli, a cominciare dalle direzioni delle ASL/ASO, e a cascata dei responsabili delle strutture assistenziali, dai condizionamenti politici dei partiti, che in modi diretti e indiretti utilizzano tutte le opportunità per l’occupazione del potere nella pubblica amministrazione. Anche su questa materia gli interventi non sono banali e, seppure con qualche riserva, la proposta di legge presentata dal senatore Crisanti rappresenta un utile spunto di discussione.

Un altro tema molto delicato, e ampiamente dibattuto, è il rapporto tra pubblico e privato nella sanità, che ha molte facce. Mentre è ormai consolidato il ruolo del privato sul versante della produzione di prestazioni, soprattutto in alcune regioni e in specifici settori, tipicamente le prestazioni ambulatoriali e gli interventi in elezione (ad esempio le cure dentali, gli interventi oculistici, quelli ortopedici, ecc…) sta crescendo anche il ruolo del privato come assicurazione sulla salute, accanto a quello del SSN. Quanto queste dinamiche stiano determinando disuguaglianze di accesso (e di risultato) sui cittadini e distorsioni nel funzionamento complessivo (con il settore privato che si muove con maggiore libertà sui rapporti di lavoro e sceglie su cosa investire in base a logiche di mercato e il pubblico che deve occuparsi del resto con regole di funzionamento molto stringenti e a volte inefficienti) dovrà essere documentato (qui c’è molto lavoro per gli epidemiologi), ma intanto sarebbe opportuno chiedersi se questa tendenza sia ormai inarrestabile o se ci siano dei rimedi.

Ma la commistione di interessi pubblici e privati è presente, e potenzialmente dannosa, anche all’interno delle strutture stesse del SSN. Non conosco organizzazioni aziendali che consentano ai propri dirigenti, dotati di ampia autonomia professionale e gestionale, di operare contemporaneamente, come dipendenti e come liberi professionisti, nello svolgimento degli stessi compiti. Se le stesse prestazioni possono essere erogate sia nell’ambito del SSN, sia come libera professione (con un forte incentivo economico per il personale a favore di questa seconda modalità) e lo stesso professionista ha responsabilità gestionali sul funzionamento del servizio, è lecito ipotizzare che il sistema possa squilibrarsi, con un incremento delle liste d’attesa da un lato e un aumento di riflesso del ricorso al privato dall’altro. I conflitti di interesse nella sanità sono pervasivi e non solo di tipo economico. Intervenire su questo tema è molto difficile, ma almeno sarebbe già un passo avanti porre alcune questioni, come ad esempio proporre per i professionisti dipendenti del SSN l’incompatibilità tra incarichi gestionali (ad es. direzione di dipartimenti o di strutture) e attività libero professionali, commistione che costituisce un evidente conflitto di interessi. Proseguendo su questo tema ci si potrebbe anche chiedere se sia una scelta razionale affidare a personale dipendente di un’altra istituzione (ad es. dell’Università, che ha come finalità principali la didattica e la ricerca) responsabilità gestionali nell’ambito del SSN (che ha come finalità principale la salute). Oppure interrogarsi su quali misure realistiche siano in grado di rimediare al fatto che molti professionisti dipendenti del SSN con responsabilità gestionali sono pesantemente condizionati nella loro attività di ricerca e di prescrizione da attori esterni dotati di grandi possibilità economiche, in grado di determinare anche la loro carriera scientifica, la visibilità e il prestigio.

Se questi problemi sono particolarmente presenti nel mondo degli specialisti, soprattutto nei grandi ospedali, ci sono aspetti che meriterebbero attenzione anche nell’ambito della medicina territoriale. Almeno in parte, l’affollamento e l’uso inappropriato dei pronto soccorso da un lato e la difficoltà di dimissioni protette dall’altro dipendono da lacune organizzative sul territorio, e anche qui è necessario interrogarsi sulle possibili cause e sui rimedi. Le case della salute o di comunità rappresentano un interessante progetto che dovrebbe migliorare l’integrazione tra ospedale e territorio (altro tema di ricerca per gli epidemiologi), ma in quest’ottica sarebbe utile anche ripensare se la forma della convenzione sia la modalità più efficiente e corretta per definire il rapporto lavorativo tra il SSN e i MMG, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali.

Gli interventi ad alta priorità sono molti: bisognerebbe investire innanzitutto sul personale, migliorando il trattamento economico, utilizzando incentivi virtuosi per il sistema e meccanismi di gratificazione; investire sulla ricerca per il SSN, sulle infrastrutture e sul personale con adeguate competenze in grado di gestire programmi di ricerca/intervento e di audit nazionali. Infine, dovrebbero essere potenziate le capacità di valutazione delle tecnologie sanitarie in senso lato da parte di strutture centrali (AIFA, rete HTA, PNLG, …) per indirizzare le scelte in modo informato, ponendo maggiore attenzione al reale valore per la salute e alla sostenibilità del sistema, con adeguati investimenti e una robusta protezione nei confronti di interferenze politiche, corporative o di mercato.

La possibilità di intervenire efficacemente su questi (e su altri) problemi è fortemente condizionata dalla capacità di coinvolgere i cittadini nella difesa di un SSN universalistico ed efficiente e di spostare l’attuale lamentela per i disservizi e i ritardi, e la scelta del privato come soluzione, verso un atteggiamento positivo di rilancio del SSN, che non può fare a meno di un forte consenso popolare e di soggetti politici che abbiano coraggio e capacità di tradurre questi bisogni in soluzioni efficaci.

 

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