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  1. Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri“

Una risposta precisa e puntuale alle domande è ovviamente impossibile: coinciderebbe con una discussione generale sul ruolo dell'epidemiologia nella salute pubblica, che è trasversale a tutto lo scenario internazionale, e sostanzialmente, da anni, ripetitivo. I punti che seguono provano perciò soprattutto a tradursi in ipotesi di pensiero-lavoro che sembrano più urgenti per la pratica/ricerca.

1. Il bias di fondo dell'epidemiologia (e delle tante discipline che si intrecciano per produrre conoscenza sulla vita delle popolazioni) è quello di darsi prevalentemente una identità/ruolo di descrizione-narrazionè di ciò che succede, con un'ulteriore preferenza per uno sguardo al passato , e sostanzialmente indifferente al se e come i suoi dati saranno utilizzati, e da chi, e quando, e su che scala, … per obiettivi di salute pubblica.

2. La tematica "diseguaglianza", in tutte le sue forme è esemplare: è divenuta una parola dominante a livello internazionale (e in Italia…), spesso associata alla inequità (purché questo ovvio effetto non venga "attribuito" a qualcuno che se ne può avere a male). Si dà per acquisito che la "variabilè economia è strutturale , e la logica della "evitabilità" che dovrebbe essere tipica della epidemiologia deve rimanere nell"ambito delle raccomandazioni generali/generiche, e  parte obbligata di discussioni formali. E nient'altro.

3. La seconda osservazione è vecchia, dal primo GBD, ma sempre purtroppo (e sempre più con big data e la RWE) valida: le popolazioni reali, grandi o piccole, sono state eliminate, nella sostanza della loro vita (di cui fa parte ed è espressione parzialissima  anche la salute/sanità) per essere sostituite dai dati amministrativi relativi alle malattie, alle prestazioni, ai loro costi. Con un bias ulteriore: si assicura un privilegio assoluto, nella politica e nella  cultura, ad aspetti/stime complessive statistico quantitative delle realtà che nascondono tutte le loro variabilità-eterogeneità, anche di common sense, che richiedono considerazioni e interventi assolutamente specifici. L'epidemiologia delle popolazioni anziane è esemplare: si parte ancora da una ovvia falsità che unifica il >65, per poi concedersi stratificaziioni, ancor più raramente incroci con il sociale-economico, per poi fermarsi a livello applicativo di pianificazione-intervento perché si toccano realtà gestionali-economiche e politiche intoccabili.

4. AGENAS (od agenzie simili) dovrebbe in questo senso essere un "bene comune" di ricerca epidemiologica, da utilizzare intensivamente per pubblicazioni, insegnamento, pianificazioni  locali specifiche, oltre che per valutazioni epidemiologiche generali. Queste ultime sono imprescindibili (se disponibili ed accessibili) per valutare andamenti di patologie rare/gravi, con una componente clinica prevalente, ma sostanzialmente poco rilevanti o fuorvianti per le popolazioni-patologie il cui "outcome" (unica misura di "impatto" del dato epidemiologico: ragionevole, macroscopica : più o meno integrata, su sotto popolazioni,  con dati "qualitativi",  non solo clinici, ma assistenziali e di contesto) deve essere considerato con logiche e metodologie molto differenziate, per tutto: dimensioni, durata, coinvolgimento dei soggetti…: e anche così/accessibilità.

5. Nulla di nuovo nei punti precedenti, dal punto di vista epidemiologico (solo l'eterno richiamo al ruolo che deve essere "dipendente" da obiettivi precisi e definiti, e non "dominante-guida" della pretesa oggettività delle evidenze numericamente definite): basterebbe rendere trasparente, pubblico, indipendente, finanziato l'uso integrale dei dati. Sapendo bene le difficoltà della incomunicabilità istituzionale: ma come una "deviazionè da denunciare ( come i PFAS: una volta scoperti, diventano anche "accountable": e grazie a strategie profondamente "locali"…) e di cui promuovere l'eliminazione. Una  epidemiologia invece  tutta da fare in modo innovativo (sempre tenendo conto dei punti precedenti) è quella che riguarda l'area comunitaria: invocata in tutti i modi nella pandemia, ma  a tutt'oggi  esempio perfetto di "presa in giro", più ancora che di negazione-abbandono: il  parlarne sostituisce qualsiasi intervento serio. Una sezione molto forte, con voglia di innovazione, con forte partecipazione di medici di base, delle società di epidemiologia sarebbe un passo importante, culturale e metodologico: una  epidemiologia fatta di progetti-protocolli multicentrici, molto differenziati per territori, così da essere rappresentativi; chi  partecipa riceve tutti gli ECM. Sarebbe una vera sperimentazione, al di là della descrizione: testare comparativamente "attese" rispetto a variabili pre-definite come importanti… Non è qui il luogo per elaborare. Ma sarebbe anche uno dei modi per ricordarsi (non solo dottrinalmente) della strettissima, ma rigorosamente dimenticata, continuità/complementarietà tra la produzione della conoscenza epidemiologica e quella sperimentale. Specialmente per la salute pubblica. E sarebbe anche lo strumento per lavorare nella logica di una "epidemiologia di cittadinanza", in gruppi fortemente ed istituzionalmente collaboranti anche con economisti e giuristi che sono di fatto le competenze che decidono in tutto ciò che ha a che fare con la "sostenibilità", e perciò anche i contenuti critici e l'accessibilità della salute pubblica.

G.T.

Riletto più volte, con attenzione, gli "appunti" sopra riportati, con una crescente condivisione su tutti i contenuti e non solo; condividendo anche lo stile e il tono diretti, asciutti e densi. In questi giorni ho provato ad integrare e aggiungere qualcosa di mio ma, ogni volta, mi ritrovavo a ripetere un concetto già (e meglio) formulato. Non resta altro che provare a entrare in scenari concreti e credere ancora che sia possibile una strada diversa.

Comunque, per non sottrarmi all"invito, ho scritto anch'io un breve commento eventualmente da aggiungere ma che sostanzialmente non modificano il contributo principale.

L'invito ad una riflessione/ripensamento sul ruolo dell'Epidemiologia nella vasta area della salute pubblica nasce dalla consapevolezza di un aggravamento della crisi del nostro SSN o, in altre parole, dalla costatazione di un "danno".

Liste di attese sempre più lunghe, costi crescenti, frequente ricorso al privato, non sono più e non solo priorità o indicatori di non meglio definiti risultati, ma esperienza quotidiana di vita vissuta.

La centralità delle popolazioni/persone è vitale perché richiama l"essenza stessa della Epidemiologia, fatta si di strumenti e metodi ma, soprattutto di contenuti, cultura, etica, ricerca, conoscenza.

La proposta più ragionevole e attrattiva offerta dalla Associazione Italiana di Epidemiologia e rivista E&P per la costruzione di una rete collaborativa ampia e aperta ai contributi, alle esperienze e competenze non solo sanitarie, è benvenuta e da testare subito in scenari operativi concreti.

V.L.

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