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E&P 2012, 36 (1 EPdiMezzo) gennaio, p. 1-1
DOI: —
A proposito di condizione militare e morbosità per cancro
Riassunto
L'intervento di M.S. Peragallo su militari e cancro pubblicato nello scorso numero di E&P ha suscitato perplessità, pubblichiamo un commento di Benedetto Terracini e la replica dell'autore.
Commenti: 5
4.
Centro Studi e Ricerche di Sanità e di Veterinaria dell'Esercito
Ancora a proposito dello scambio di lettere sul tema del rischio cancerogeno per chi ha prestato servizio militare nei Balcani
Le principali critiche esplicitate con chiarezza e forza da Benedetto Terracini nei confronti dell’intervento del Dr Peragallo (inaffidabili stime di rischio derivate da campioni di rappresentatività incerta; diagnosi di cancro raccolte attraverso non meglio specificate segnalazioni (anziché ricerca attiva), e dell’editoriale di Roberta Pirastu (confrontabilità con altri studi e conclusioni che “I risultati preliminari non supportano l’ipotesi che l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”),[1] non vengono attenuate dalla risposta del Dr Peragallo, che in parte recepisce ma al contempo persevera.[2]
Infatti, il dr Peragallo circoscrive il suo primo intervento a finalità descrittiva generica della “morbosità per cancro nel contesto militare” e concorda sulla caratteristica di passività del sistema di sorveglianza in opera, con relative limitazioni di mancata rilevazione di parte della casistica, per poi concludere che comunque è l’unica fonte possibile dei dati.
Questo elemento in qualche modo sembra supportarlo nel ribadire le sue due proposizioni principali: a) che il “numero stimato dei casi incidenti non sembra essere superiore di quello dei casi attesi; b) che non pare essere azzardato sostenere che i risultati preliminari non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio militare nei Balcani.
La discussione dunque non muta la sostanza del primo intervento.
Ritengo che, trattandosi di un sistema di registrazione passivo e limitato con finalità descrittive, non sia appropriato operare un confronto tra osservati e attesi in assenza di dati solidi sull’entità della sottonotifica (diversità di affidabilità tra fonte degli attesi e fonte degli osservati). Conseguentemente le conclusioni avrebbero dovuto essere solo descrittive e non inferenziali. Tuttavia, anche accettando la forzatura verso un giudizio statistico, anziché scegliere per le conclusioni una formulazione consona agli studi valutativi, sarebbe stato più appropriato ed anche opportuno (per le conseguenze comunicative) optare per una proposizione più cauta, del tipo “i risultati preliminari non sono in grado di apportare avanzamenti conoscitivi affidabili sull’associazione tra l’aver servito nell’area dei Balcani e insorgenza di tumori”.
Quindi, diversamente da quanto ribadito dal dr Peragallo, far conseguire da uno studio dichiaratamente non-eziologico una ipotesi di causalità a me pare azzardato.
Inoltre mi preme far notare che “non essere in grado di apportare…” ha senso bidirezionale nei confronti della formazione dell’evidenza, mentre “non supportare una ipotesi” ha senso unidirezionale, di freccia scagliata contro l’ipotesi che “l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”.
Una ipotesi peraltro rovesciata rispetto alla “classica” ipotesi zero o nulla, che avrebbe voluto l’assunzione di un equi-rischio per chi ha lavorato nei Balcani e chi non ci ha lavorato, e l’inferenza statistica per decidere se accettare o rifiutare l’ipotesi nulla.
Questa non è una distinzione di lana caprina ma sostanziale, non solo per il rispetto di aspetti formali, ma per ciò che il dispositivo evoca, mentre non può e quindi non dovrebbe: l’assenza di evidenza non significa evidenza dell’assenza.
Infine, il ritardo nell’aggiornare l’incidenza attraverso una registrazione attiva dei nuovi casi (suggerito da Benedetto Terracini nel 2006),[3] e nella divulgazione dei risultati dello studio Signum (attesi da oltre quattro anni), prima ancora di rappresentare un problema di uso o mis-uso di risorse finanziarie, costituisce un rilevante problema di etica pubblica perché nell’attesa di registri e studi eziologici a regola d’arte si continuano a “contare” casi di malattia. Dobbiamo essere tutti consapevoli, ed è giusto il richiamo al dibattito del Dr Peragallo, che approcci e dati incerti contribuiscono per lo più a lasciare inalterate le convinzioni pre-concette, poco scientifiche ma molto diffuse per tanti motivi, di chi – sulla base di conoscenza, percezione, consapevolezza e talvolta di interessi - è convinto dell’esistenza o dell’assenza del rischio.
Una tipica situazione che costituisce notevole difficoltà per comunicatori della scienza e giornalisti scientifici, e ancora di più per giornalisti d’inchiesta e per decisori, e che richiama ad un forte impegno dei ricercatori a migliorare conoscenza, percezione, consapevolezza e trasparenza sui conflitti di interessi.
Fabrizio Bianchi
Unità di ricerca “Epidemiologia ambientale e registri di patologia”
Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa
Referenze
[1] Terracini B. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro. Epidemiol Prev 2012; 36 (1 EPdiMezzo), Periodo: gennaio, pagine: 1-1.
[2] Peragallo MS. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro: la risposta dell’autore. Epidemiol Prev 2012; 36 (1 EPdiMezzo), Periodo: gennaio, pagine: 1-1.
[3] Terracini B. I veterani della Guerra dei Balcani e l’uranio impoverito: ciò che gli epidemiologi italiani vorrebbero sapere. Epidemiol Prev 2006; 30 (45): 214-215.
Prima di rispondere alle osservazioni del Dr Bianchi, a costo di essere ripetitivo, mi preme ribadire e precisare alcune considerazioni in parte già trattate in una precedente risposta.[1]
Secondo il Dr Bianchi, il sottoscritto “...concorda sulla caratteristica di passività del sistema di sorveglianza...” In realtà non si tratta di una concordanza, ma della riaffermazione di concetti già espressi, in quanto gli autori avevano in precedenza già evidenziato come la sorveglianza fosse essenzialmente passiva, con tutte le limitazioni che ne conseguono.[2] Va tuttavia precisato, a questo proposito, che l'attività di sorveglianza non è basata esclusivamente sull'iniziativa dei potenziali segnalatori e non è quindi limitata alla mera raccolta e registrazione delle segnalazioni pervenute; essa è infatti integrata da una costante e capillare opera di ricerca dei casi, sia mediante la revisione sistematica degli archivi delle strutture sanitarie militari (nei primi anni effettuata episodicamente, ma ora con cadenza annuale), sia attraverso l'incrocio delle segnalazioni ufficiali con altre possibili fonti informative, come ad esempio le richieste di risarcimento presentate da militari affetti da patologie tumorali. Ben lungi dal conseguire risultati esaustivi, queste procedure “attive” consentono tuttavia di recuperare una quota non indifferente di casi che normalmente sfuggono alla sorveglianza.[2]
Infine, vorrei ancora sottolineare che le diagnosi di cancro sono raccolte non attraverso segnalazioni “non meglio specificate”, ma in maniera standardizzata, tramite questionario compilato dal medico segnalatore e secondo procedure codificate.[3]
Il Dr Bianchi ritiene inappropriato effettuare un confronto tra casi osservati ed attesi in assenza di dati solidi sull'entità della sottonotifica; pertanto, le conclusioni dovrebbero essere solo descrittive e non inferenziali. Il confronto tra casi osservati ed attesi, che consente di evidenziare con immediatezza eventuali eccessi di morbosità, è frequentemente utilizzato nei sistemi di sorveglianza, purché naturalmente sia possibile identificare e controllare i principali fattori di confondimento.[4] Nel caso specifico, a causa della perdita del 25% della coorte di studio, le dimensioni della sottonotifica sono indubbiamente rilevanti e pertanto la critica del Dr Bianchi è assolutamente fondata. Questo limite dei risultati tuttavia non è mai stato sottaciuto, essendo discusso a proposito dei limiti dello studio.[3] Inoltre, come già precedentemente sottolineato, il confronto tra casi osservati ed attesi è stato effettuato anche includendo la stima dei casi che sfuggono alla sorveglianza: neppure in questo caso il numero totale dei casi incidenti di cancro sembra essere significativamente superiore a quello dei casi attesi. Analoghe conclusioni possono essere tratte anche per il linfoma di Hodgkin (che rispetto agli altri è il tumore caratterizzato dalla minore entità della sottonotifica), nonostante il progressivo incremento della sensibilità della sorveglianza. Anche mantenendo un profilo puramente descrittivo nel commentare i risultati della sorveglianza, è possibile pertanto affermare che non sono evidenziabili differenze significative nelle stime di morbosità per cancro tra esposti e non esposti al contesto operativo balcanico.[2] L'affermazione secondo la quale non vi sono al momento indizi sufficienti dell'esistenza di uno specifico rischio di cancro associato al servizio prestato nei Balcani, non mi sembra possa essere interpretata come “evidenza di assenza” (valutazione attribuitami dal Dr Bianchi), ma semmai proprio come “assenza di evidenza”.
Infine, le considerazioni del Dr Bianchi relativamente al ritardo nella divulgazione dei risultati del progetto Signum sono del tutto condivisibili, ma a questo proposito non posso che ribadire quanto già precedentemente detto.[4]
Referenze
1 Peragallo MS. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro: la risposta dell’autore. Epidemiol Prev 2012; 36 (1 EPdiMezzo), Periodo: gennaio, pagine: 1-1.
2 Peragallo MS, Urbano F, Lista F, Sarnicola G, Vecchione A. Evaluation of cancer surveillance completeness among the Italian army personnel, by capture-recapture methodology. Cancer Epidemiol 2011; 35: 132-138.
3 PeragalloMS, Lista F, Sarnicola G, Marmo F, Vecchione A. Cancer surveillance in Italian army peacekeeping troops deployed in Bosnia and Kosovo, 1996-2007: preliminary results. Cancer Epidemiol 2010; 34: 47-54.
4 Beehler JW. Surveillance. In: Modern Epidemiology, by Rothman KJ & Greenland S eds. Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia, 2nd ed, 1998: 435-457.
3.
Past Director di Epidemiologia e Prevenzione
Mi è difficile conciliare l’affermazione del dott. Peragallo che “lo scopo (del lavoro) …. non è quello di presentare stime di rischio “ con l’inclusione, nel lavoro stesso, dei dati italiani in ben tre tabelle di rischi relativi (quelli la cui funzione piu si approssima alla inferenza causale). Il dott. Peragallo ritiene che “ … non è azzardato considerare che i risultati (del loro studio) non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio prestato nei Balcani”. Personalmente, penso che finora lì’ipotesi di un rischio cancerogeno legato al servizio prestato nei Balcani rimanga soltanto una ipotesi, ma ritengo che – data l’ incompletezza della rilevazione di casi - l’intervento di Peragallo et al non porta alcun contributo a favore o contro l’ipotesi stessa. Deploro quindi che dieci anni dopo la relazione Mandelli gli italiani siano ancora privi di qualsiasi forma di epidemiologia sull’occorrenza di tumori nei reduci dai Balcani. Prendo nota che secondo il dott. Peragallo la registrazione dei tumori nelle forze armate ha avuto un costo trascurabile. Un finanziamento ad hoc, tuttavia, c’era. Nel 12°resoconto stenografico (29 settembre 2005) della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle malattie che hanno colpito i militari italiani impiegati nelle missioni internazionali di pace, viene riportato che “Il nuovo (a quei tempi, ndr) studio del registro tumori (nei militari ndr) gode di un finanziamento e di un incarico del Ministero della salute; e` sotto la responsabilita` dell’Istituto Superiore di Sanita”. La storia della medicina è piena di circostanze in cui viene avviato un progetto che poi risulta impraticabile. Ma alla (tuttora valida) mia domanda sull’entità del finanziamento si aggiunge ora la mia esortazione a produrre un resoconto piu dettagliato del modo come il progetto è diventato impraticabile. Sbagliando si impara, ma a condizione che si capisca dove si è sbagliato.
2.
Epidemiologia, IFC CNR, Pisa
Ancora a proposito dello scambio di lettere sul tema del rischio cancerogeno per chi ha prestato servizio militare nei Balcani
Le principali critiche esplicitate con chiarezza e forza da Benedetto Terracini nei confronti dell’intervento del Dr Peragallo (inaffidabili stime di rischio derivate da campioni di rappresentatività incerta; diagnosi di cancro raccolte attraverso non meglio specificate segnalazioni (anziché ricerca attiva), e dell’editoriale di Roberta Pirastu (confrontabilità con altri studi e conclusioni che “I risultati preliminari non supportano l’ipotesi che l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”),[1] non vengono attenuate dalla risposta del Dr Peragallo, che in parte recepisce ma al contempo persevera.[2]
Infatti, il dr Peragallo circoscrive il suo primo intervento a finalità descrittiva generica della “morbosità per cancro nel contesto militare” e concorda sulla caratteristica di passività del sistema di sorveglianza in opera, con relative limitazioni di mancata rilevazione di parte della casistica, per poi concludere che comunque è l’unica fonte possibile dei dati.
Questo elemento in qualche modo sembra supportarlo nel ribadire le sue due proposizioni principali: a) che il “numero stimato dei casi incidenti non sembra essere superiore di quello dei casi attesi; b) che non pare essere azzardato sostenere che i risultati preliminari non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio militare nei Balcani.
La discussione dunque non muta la sostanza del primo intervento.
Ritengo che, trattandosi di un sistema di registrazione passivo e limitato con finalità descrittive, non sia appropriato operare un confronto tra osservati e attesi in assenza di dati solidi sull’entità della sottonotifica (diversità di affidabilità tra fonte degli attesi e fonte degli osservati). Conseguentemente le conclusioni avrebbero dovuto essere solo descrittive e non inferenziali. Tuttavia, anche accettando la forzatura verso un giudizio statistico, anziché scegliere per le conclusioni una formulazione consona agli studi valutativi, sarebbe stato più appropriato ed anche opportuno (per le conseguenze comunicative) optare per una proposizione più cauta, del tipo “i risultati preliminari non sono in grado di apportare avanzamenti conoscitivi affidabili sull’associazione tra l’aver servito nell’area dei Balcani e insorgenza di tumori”.
Quindi, diversamente da quanto ribadito dal dr Peragallo, far conseguire da uno studio dichiaratamente non-eziologico una ipotesi di causalità a me pare azzardato.
Inoltre mi preme far notare che “non essere in grado di apportare…” ha senso bidirezionale nei confronti della formazione dell’evidenza, mentre “non supportare una ipotesi” ha senso unidirezionale, di freccia scagliata contro l’ipotesi che “l’aver servito nell’area dei Balcani possa costituire uno specifico rischio cancerogeno”.
Una ipotesi peraltro rovesciata rispetto alla “classica” ipotesi zero o nulla, che avrebbe voluto l’assunzione di un equi-rischio per chi ha lavorato nei Balcani e chi non ci ha lavorato, e l’inferenza statistica per decidere se accettare o rifiutare l’ipotesi nulla.
Questa non è una distinzione di lana caprina ma sostanziale, non solo per il rispetto di aspetti formali, ma per ciò che il dispositivo evoca, mentre non può e quindi non dovrebbe: l’assenza di evidenza non significa evidenza dell’assenza.
Infine, il ritardo nell’aggiornare l’incidenza attraverso una registrazione attiva dei nuovi casi (suggerito da Benedetto Terracini nel 2006),[3] e nella divulgazione dei risultati dello studio Signum (attesi da oltre quattro anni), prima ancora di rappresentare un problema di uso o mis-uso di risorse finanziarie, costituisce un rilevante problema di etica pubblica perché nell’attesa di registri e studi eziologici a regola d’arte si continuano a “contare” casi di malattia. Dobbiamo essere tutti consapevoli, ed è giusto il richiamo al dibattito del Dr Peragallo, che approcci e dati incerti contribuiscono per lo più a lasciare inalterate le convinzioni pre-concette, poco scientifiche ma molto diffuse per tanti motivi, di chi – sulla base di conoscenza, percezione, consapevolezza e talvolta di interessi - è convinto dell’esistenza o dell’assenza del rischio.
Una tipica situazione che costituisce notevole difficoltà per comunicatori della scienza e giornalisti scientifici, e ancora di più per giornalisti d’inchiesta e per decisori, e che richiama ad un forte impegno dei ricercatori a migliorare conoscenza, percezione, consapevolezza e trasparenza sui conflitti di interessi.
Fabrizio Bianchi
Unità di ricerca “Epidemiologia ambientale e registri di patologia”
Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa
Referenze
[1] Terracini B. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro. Epidemiol Prev 2012; 36 (1 EPdiMezzo), Periodo: gennaio, pagine: 1-1.
[2] Peragallo MS. A proposito di condizione militare e morbosità per cancro: la risposta dell’autore. Epidemiol Prev 2012; 36 (1 EPdiMezzo), Periodo: gennaio, pagine: 1-1.
[3] Terracini B. I veterani della Guerra dei Balcani e l’uranio impoverito: ciò che gli epidemiologi italiani vorrebbero sapere. Epidemiol Prev 2006; 30 (45): 214-215.
1.
Penso anch'io che, per quanto
Penso anch'io che, per quanto non esatta, l'epidemiologia debba il più possibile avvicinarsi alla realtà
Alcuni miei studi, non pubblicati, confermano la mancanza di rapporti sicuri tra armi e tumori. cccordiamente
Pierfranco Biddau
5.
Centro Studi e Ricerche di Sanità e di Veterinaria dell'Esercito
Mi è difficile conciliare l’affermazione del dott. Peragallo che “lo scopo (del lavoro) …. non è quello di presentare stime di rischio “ con l’inclusione, nel lavoro stesso, dei dati italiani in ben tre tabelle di rischi relativi (quelli la cui funzione piu si approssima alla inferenza causale). Il dott. Peragallo ritiene che “ … non è azzardato considerare che i risultati (del loro studio) non supportano l’ipotesi di uno specifico rischio cancerogeno legato al servizio prestato nei Balcani”. Personalmente, penso che finora lì’ipotesi di un rischio cancerogeno legato al servizio prestato nei Balcani rimanga soltanto una ipotesi, ma ritengo che – data l’ incompletezza della rilevazione di casi - l’intervento di Peragallo et al non porta alcun contributo a favore o contro l’ipotesi stessa. Deploro quindi che dieci anni dopo la relazione Mandelli gli italiani siano ancora privi di qualsiasi forma di epidemiologia sull’occorrenza di tumori nei reduci dai Balcani. Prendo nota che secondo il dott. Peragallo la registrazione dei tumori nelle forze armate ha avuto un costo trascurabile. Un finanziamento ad hoc, tuttavia, c’era. Nel 12°resoconto stenografico (29 settembre 2005) della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle malattie che hanno colpito i militari italiani impiegati nelle missioni internazionali di pace, viene riportato che “Il nuovo (a quei tempi, ndr) studio del registro tumori (nei militari ndr) gode di un finanziamento e di un incarico del Ministero della salute; e` sotto la responsabilita` dell’Istituto Superiore di Sanita”. La storia della medicina è piena di circostanze in cui viene avviato un progetto che poi risulta impraticabile. Ma alla (tuttora valida) mia domanda sull’entità del finanziamento si aggiunge ora la mia esortazione a produrre un resoconto piu dettagliato del modo come il progetto è diventato impraticabile. Sbagliando si impara, ma a condizione che si capisca dove si è sbagliato.
La proposta di istituzione di un registro tumori militare risale al 2005, quando il Ministero della Salute ne affidò lo studio e la realizzazione all'Istituto Superiore di Sanità. Per la costituzione e l'operatività del registro era previsto un finanziamento ad hoc da parte del Ministero della Salute. Non sono tuttavia a conoscenza del relativo importo, anche perché non erano comunque previsti trasferimenti di fondi alla Difesa, ma solo la fornitura dell'"expertise" necessaria (reperimento di personale con esperienza nel campo della registrazione di tumori su basi di popolazione, di ricercatori statistici con esperienza nell'uso e nell'analisi dei dati dei registri tumori, consulenza scientifica e attività formativa).
La proposta di costituzione del registro, del quale era previsto il collegamento con la rete dei registri tumori italiani, tuttavia non ha mai superato la fase di studio. Le motivazioni della mancata realizzazione del registro sono costituite da una serie di difficoltà che ne hanno prima rallentato e quindi arrestato l'iter costitutivo. Inizialmente, ostacoli di natura burocratico-amministrativa hanno impedito all'Istituto Superiore di Sanità di assumere il necessario personale idoneo a svolgere l'attività di rilevazione e registrazione; questi ostacoli furono poi superati con il coinvolgimento nel progetto di alcune istituzioni nazionali operanti nel campo della ricerca oncologica, che misero a disposizione il proprio personale. Ulteriori difficoltà furono poi incontrate nella disponibilità dei dati informatizzati della popolazione oggetto del registro, rappresentata inizialmente dall'intera popolazione militare (incluso il personale di leva) in servizio a partire dal 1996. Poiché l'informatizzazione dei dati del personale militare è stata completata solo posteriormente a tale anno e comunque non comprende i contingenti a suo tempo chiamati a prestare il servizio di leva (sospeso nel 2004), la popolazione "target" è stata necessariamente ristretta alla coorte dei militari impiegati nella ex-Yugoslavia a partire dal 1996 (costituita da circa 60.000 individui nel 2006). Ma l'ostacolo che fino ad ora si è rivelato insormontabile è rappresentato dalla impossibilità di mettere a punto, stante la vigente normativa in tema di "privacy", le procedure idonee per la realizzazione dei "record-linkage" individuali tra la popolazione oggetto del registro e le basi di dati sanitari nazionali (registri tumori, mortalità ISTAT, dimissioni ospedaliere). Per effettuare tali procedure (che ritengo sarebbero le uniche in grado di colmare il deficit informativo legato alla sottonotifica dei casi) è infatti indispensabile ottenere il consenso informato da parte dei singoli interessati e ciò è impossibile da attuare per un numero così elevato di individui. Informazioni più precise in merito a questa problematica sono reperibili nel 1° resoconto stenografico (6 ottobre 2010) della Commissione Parlamentare “sull'uranio impoverito” della XVI Legislatura.
La deplorazione del Professor Terracini circa la mancanza di uno studio epidemiologico condotto a regola d'arte sui reduci del Balcani è del tutto condivisibile. Purtroppo, senza le opportune modifiche alla normativa vigente sulla privacy, temo che i risultati della sorveglianza pubblicati nell'intervento in questione resteranno ancora, a distanza di dieci anni dalla relazione finale della “Commissione Mandelli”, gli unici dati disponibili sulla morbosità per cancro nei militari.
Mario Stefano Peragallo
Centro Studi e Ricerche di Sanità e di Veterinaria dell'Esercito