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Ho conosciuto Eva fin dai tempi dell’Università, alla metà degli anni Sessanta. Eva, da studentessa, si faceva notare non solo per la sua vivace intelligenza e per il suo impegno nello studio – era bravissima – ma anche per la sua forte passione politica, per il suo impegno civile. Erano gli anni antecedenti il 68. Nella facoltà di medicina si era acceso il dibattito sul diritto allo studio, sulle inefficienze e iniquità dei servizi sanitari e sui metodi d’insegnamento, arretrati e non adeguati a favorire l’acquisizione di strumenti e metodologie d’indagine sia in ambito clinico sia di ricerca biologica. Eva era molto attiva nel proporre occasioni di riflessione sui problemi dell’Università e su questioni di politica più generali. Si poteva non essere d’accordo con lei, ma valeva sempre la pena conoscere il suo punto di vista. Laureata, dopo un breve periodo di lavoro presso l’Istituto di farmacologia dell’Università di Firenze, agli inizi degli anni Settanta, fece la scelta di lavorare al Centro di medicina sociale della Provincia di Firenze, diretto dal professor Luciano Gambassini che la chiamò per aiutarlo a sviluppare progetti e programmi di prevenzione. Eva si occupò in particolare della prevenzione negli ambienti di lavoro e iniziò alcuni studi sulle patologie da lavoro (le neuropatie da solventi e poi i tumori professionali) saldando così il suo interesse per la medicina di collettività al suo altrettanto forte interesse per il metodo scientifico. Cominciai a lavorare con Eva agli inizi degli anni Ottanta, quando stava delineando i progetti, i programmi e i percorsi che avrebbero dato avvio allo sviluppo dell’epidemiologia dei tumori in Toscana presso l’allora Centro per lo studio e la prevenzione oncologica (CSPO) oggi ISPO. L’epidemiologia toscana, cui senz’altro molti hanno contribuito, ha visto in Eva l’artefice. Fu davvero un’innovatrice e per questo seppe attrarre numerosi colleghi che si appassionarono e che seguirono la strada della ricerca e dell’epidemiologia. Molti, credo, non sarebbero diventati epidemiologi senza la spinta di Eva. Io senz’altro sono fra questi. Pensava in grande, senza alcuna timidezza intellettuale. Fin dagli inizi degli anni Ottanta aveva stabilito rapporti di collaborazione con molti centri di ricerca, in particolare con l’Agenzia di ricerca sul cancro di Lione (IARC), con Lorenzo Tomatis, e con il US National Cancer Institute di Bethesda. Questa sua facilità a tessere rapporti di lavoro fu un importante viatico allo sviluppo di studi epidemiologici e per l’avvio del Registro tumori della Provincia di Firenze. Eva è stata una donna creativa grazie a una grande passione per la conoscenza e alla forte tensione intellettuale, e grazie ad alcune importanti qualità che la caratterizzavano e che le hanno permesso di dare gambe alle idee e tradurle in progettualità: innanzi tutto saper riconoscere le cose importanti e poi sapere analizzare i problemi con lucidità, individuare gli strumenti e le strade da percorrere. Questo modo di procedere nel lavoro era davvero una sua straordinaria dote naturale, davvero la sua peculiare forma d’intelligenza. La sua carriera professionale s’intreccia con il suo profilo umano. Per brevi periodi, Eva lavorò anche per la IARC. Ricordo, fra gli altri, il progetto di collaborazione con i paesi dell’America Latina sulla prevenzione del tumore della cervice uterina. Ma, nonostante avesse avuto l’opportunità di lavorare a Lione, non volle mai trasferirvisi e non volle lasciare Firenze. E credo che questa sua scelta fosse dovuta non solo ai legami affettivi familiari, che erano fortissimi, ma anche al suo forte senso d’appartenenza alla comunità; aveva molti amici e conoscenze in ambienti assai diversi, molte amicizie iniziate in anni importanti della giovinezza e maturità. La sua comunità, la sua gente le stavano a cuore e il suo impegno politico fu una costante della sua vita. Iscritta al Partito Comunista per alcuni anni, ha sempre militato nella sinistra. Ricoprì anche la carica di consigliere per l’Amministrazione comunale di Firenze. Negli ultimi anni, fece la scelta di dedicarsi alla sanità pubblica. Lavorò prima presso l’Agenzia sanitaria dell’Emilia Romagna poi presso quella della Toscana, lasciando la ricerca sui tumori, ambito nel quale aveva spaziato e che avrebbe potuto continuare a sviluppare con successo. Credo che fra i diversi motivi di questa scelta, ci fosse anche quello di volere essere ‘in trincea’. Eva era una combattente. Persona di grande autorevolezza, poteva incutere qualche soggezione per quel suo modo di esporre le sue ragioni e le sue valutazioni senza mediazione, molto convinta della giustezza del suo punto di vista. Apertamente consapevole delle sue doti e capacità e non sempre incline a essere criticata, era però sempre disponibile a lavorare con tutti e non si tirava mai indietro. Una donna con una personalità complessa, una mescolanza di autorevolezza, dolcezza, razionalità e passione. Aveva un bel volto e un bellissimo sorriso; ma raramente l’ho vista ridere. A chi ha lavorato con lei ha dato un messaggio forte, l’idea cioè che ‘si può fare’ contando sulla forza del ragionamento, sul metodo, sul rigore, senza alcuna concessione a qualsiasi forma di superficialità.

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