La questione dei piccoli ospedali e il fattore epidemiologico
Ovvero come è possibile decidere la chiusura/riconversione di un piccolo ospedale senza uno studio epidemiologico approfondito della popolazione e del territorio
Era il 1988 quando l’allora Ministro della Sanità, Carlo Donat Cattin, in applicazione della Legge Legge 8/aprile/1988 n. 109, disponeva una “complessa manovra di riequilibrio dei posti letto nel territorio nazionale che comprende la soppressione dei presidi con meno di 120 posti letto e che vede interessati 257 istituti per un totale di 18.443 posti letto da disattivare o riaccordare”. Fu il primo tentativo di affrontare la cosiddetta questione dei “piccoli ospedali”.
Da allora alcuni ospedali sono stati chiusi, altri dovranno essere chiusi o riconvertiti nel prossimo futuro, in relazione a quanto previsto dal discusso D.M.70/2015 che in applicazione della L.135/2012 (“standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie”) ha portato il SSN ad un livello di posti letto tra i più bassi in UE, come si è drammaticamente evidenziato durante la pandemia.
In seguito alla recente esperienza qualche correttivo in termini di incremento di posti letto è stato apportato. Ma la questione dei Piccoli Ospedali e dei Pronto Soccorso giace diffusamente irrisolto, senza una visione globale, favorendo la contrapposizione tra popolazioni locali, amministrazioni regionali, aziendali.
Non c’è dubbio che alcune strutture ospedaliere e dei loro servizi siano prive dei requisiti necessari per fornire prestazioni specialistiche soprattutto per aver subìto negli anni un abbandono sotto i più diversi profili: del personale, delle apparecchiature, della manutenzione, dell’edilizia.
Abbandono deciso in modo prevalente, per non dire totalmente, in base a fattori economici e di spending review, senza la minima attenzione al profilo sanitario della popolazione di quell’ambito territoriale, senza tracciarne la mappa dei rischi, analizzare l’età anagrafica, i bisogni di salute, i flussi di accesso o quelli di migrazione. In pratica senza quello studio epidemiologico fondamentale e insostituibile che dovrebbe indicare e guidare ogni decisione sanitaria, in termini di prevenzione, assistenza e conseguentemente di allocazione di risorse.
E, infatti, la riconversione/chiusura dei piccoli ospedali, laddove effettuata, è stata fin qui dettata non tanto dal necessario riequilibrio tra offerta sanitaria e domanda assistenziale per renderla più appropriata e coerente ai cambiati bisogni della comunità. Bensì dall’esigenza di contenimento della spesa operando tagli lineari e indiscriminati, vale a dire un’operazione centrale che costringe alla chiusura/riconversione mediante la restrizione o negazione di risorse.
In pratica una condanna a morte per asfissia di una struttura ospedaliera contro la cui esecuzione si mobilitano spesso popolazioni e istituzioni locali a partire dai Comuni, venendo ad innescare un braccio di ferro il cui risultato dipende in gran parte dal livello di forza politica e dagli interessi elettorali.
In realtà dovrebbero essere le funzioni di una struttura a determinare l’utilizzo delle risorse e non il contrario.
Ma questo processo non può essere attuato senza una analisi e un approfondimento dei fattori epidemiologici e di quelli correlati per procedere a scelte motivate e decidere il destino dei servizi sanitari di un territorio. In particolare:
- La definizione del numero di abitanti del bacino di utenza dell’Asl o Azienda Ospedaliera
- Il profilo anagrafico ed epidemiologico della popolazione
- Il censimento degli Ospedali e delle Unità Operative Specialistiche presenti nel territorio,
- L’esame della casistica storica, in urgenza e in elezione
- La presenza di Pronto Soccorso e servizi per l’emergenza-urgenza
- Le apparecchiature e la tecnologia in funzione
- L’analisi delle competenze professionali del personale medico, infermieristico e tecnico
- Lo studio dei flussi di prestazioni verso l’interno del territorio e verso l’esterno
- Il controllo delle infrastrutture territoriali, le strade di accesso, i trasporti, la vicinanza o meno ai centri abitati, ecc.
- ed infine, ma non certo per ultimo, il controllo della struttura dal punto di vista edilizio, della sicurezza, dei servizi igienici, delle camere di degenza., ecc.
Dopo questa analisi in primis epidemiologica, ma anche sociale, tecnica e territoriale, seguirà il disegno di una rete assistenziale con relativa informazione alla cittadinanza e alle sue istituzioni rendendo con tutta probabilità più facilmente accettabile la rinuncia alla struttura sanitaria sotto-casa. Ma sarà un procedimento scientifico e non puramente economico.
In assenza di questo processo l’operazione di chiusura/riconversione del piccolo ospedale, pur presentata sotto il profilo della razionalizzazione, ottimizzazione e miglioramento degli standard di sicurezza, nasconderà l’ennesimo “taglio” di risorse al Servizio Sanitario in base al solo criterio economico.