Tutte le persone con cui ho parlato in questi giorni e che avevano avuto il privilegio di conoscere Giovanni Bissoni sono state profondamente scosse dalla sua rapida e prematura scomparsa.

Solo pochi mesi prima aveva in programma di scalare l’Etna in bicicletta e per questo avrebbe anche mancato un importante evento istituzionale celebrativo. Non era un uomo da celebrazioni, anzi, tendeva a evitarle. La bicicletta, l’arte, il bello e la Romagna erano le sue passioni più personali. Quante discussioni sul fatto che il pesce migliore per lui fosse quello dell’Adriatico, non c’era storia, non avrebbe mai cambiato idea.

Ma è stata certamente la politica la passione a cui ha dedicato gran parte della sua vita. La politica come cosa seria, la politica come impegno per un mondo migliore, per un mondo più giusto. Ha avuto la fortuna di nascere e fare politica in una Regione, l’Emilia-Romagna, dove la cultura, il senso civico, il senso di responsabilità e la laboriosità rappresentano un patrimonio genetico molto radicato. Lo dico a ragion veduta, avendo avuto una straordinaria madre emiliana. Lui era romagnolo e attenzione a confondere!

Molti articoli sono stati pubblicati subito dopo la sua scomparsa e molto abbiamo letto dei suoi numerosi incarichi nazionali e regionali ricoperti. Nei 15 anni di governo della sanità regionale in Emilia-Romagna, Giovanni ha studiato una materia che non era la sua, ha ascoltato e si è impegnato per sviluppare l’esperienza più innovativa di promozione di un sistema sanitario pubblico veramente universalistico. Ha investito sulla infrastruttura tecnica dell’assessorato, sull’Agenzia Sanitaria Regionale e sullo sviluppo delle competenze tecniche a supporto della programmazione sanitaria. Ha accolto Alessandro Liberati e gli ha fatto gestire la più innovativa esperienza di promozione della ricerca pubblica in sanità. Come assessore alla sanità dell’Emilia-Romagna ha sempre lavorato affinché a tutte le cittadine e i cittadini della regione fossero garantite le cure più efficaci e sicure. In un bellissimo articolo scritto in occasione della sua scomparsa, Daniela Minerva ricorda che a lui non interessava un sistema sanitario fatto di “star”, di eccellenze, a cui potevano accedere in pochi, ma un sistema di cure efficaci per tutti indipendentemente dall’ospedale dove ci si ricoverava o dal comune dove si viveva. Ed è per questo che appena nominato Presidente di AgeNaS, ha subito sostenuto le attività del Programma Nazionale Esiti, come strumento di governo trasparente, sulla base del quale riorientare e migliorare il sistema sanitario. Insieme a lui, a Carlo Perucci, a Fulvio Moirano abbiamo girato per tutte le regioni d’Italia per far conoscere PNE e promuoverne l’utilizzo. Non ha aspettato un minuto per dimettersi da Presidente di AgeNaS, quando la Ministra Lorenzin non rinnovò l’incarico a Fulvio Moirano.

Non era un uomo di potere, era un uomo che credeva in quello che faceva con l’obiettivo sempre chiaro in mente, se non poteva andare dove riteneva fosse giusto andare, lasciava. Quando è stato nominato sub commissario per il rientro di bilancio nella Regione Lazio abbiamo sognato di poter fare anche solo una parte di quello che era stato fatto in Emilia-Romagna. Abbiamo lavorato fianco a fianco con Flori De Grassi e Alessio D’Amato cercando di catturare anche solo briciole del suo pensiero visionario sulla sanità. Era interessato a capire quali dati epidemiologici potessero aiutare la programmazione e passò mezza giornata al nostro Dipartimento per capire come potevamo contribuire a produrre informazioni utili per migliorare il sistema. Oltre ad avere una visione lucida e competente che ha mantenuto fino alla fine, aveva anche uno spiccato senso critico. Non ha mai nascosto, per esempio, la sua scarsa fiducia sul ruolo delle case della salute come soluzione dei problemi della sanità territoriale. Come ha ricordato anche Alessio D’Amato, era “il migliore tra di noi”.

L’anno scorso in un intervento al Forum del Risk Management in Sanità, di cui è stato assiduo frequentatore, ha parlato di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Ha ricordato che è si importante il governo dell’innovazione, la promozione dell’appropriatezza e la riduzione degli sprechi, ma il tempo della resilienza per la sanità è finito, sono necessarie più risorse e la priorità è la riduzione delle disuguaglianze di salute. Se la malattia non l’avesse fermato, così come ha spalato il fango dopo il recente alluvione in Romagna, sarebbe stato in prima fila nella battaglia per sostenere il Servizio Sanitario Nazionale universalistico.

Non voglio ricordarlo solo per i suoi importanti incarichi e per il contributo che ha dato in sanità, ma per la ricchezza e pienezza della sua persona. Il tempo passato con lui è sempre stato un tempo ricco, abbiamo discusso, condiviso letture, visto mostre, riso e scherzato, grazie alla sua spiccata ironia.

Si è fatto accompagnare in questi pochi e drammatici mesi di malattia, senza nascondere né a lui né agli altri le sue condizioni di salute, ha accolto nella sua amatissima casa di Bertinoro gli amici che hanno voluto salutarlo. Ha condiviso e scelto consapevolmente il livello di cure compatibile con quella che lui riteneva una qualità di vita accettabile e l’ha fatto grazie a quel sistema sanitario regionale che ha contribuito a costruire. Abbiamo perso molto, ma abbiamo imparato tanto.

Marina Davoli,

Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio

 

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