Nelle ultime settimane, il dibattito sull’uso del paracetamolo in gravidanza ha suscitato preoccupazioni diffuse, alimentate da dichiarazioni pubbliche e, soprattutto, da una ribalta mediatica in cui la propaganda politica si appropria di tematiche di salute pubblica.1 Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha affermato in modo controverso che l’uso del paracetamolo durante la gravidanza è collegato all’autismo, cercando in questa esposizione una risposta semplicistica all’incremento di una patologia i cui criteri e strumenti diagnostici si sono evoluti nel tempo. Sorge quindi spontaneo chiedersi quali siano oggi le nuove evidenze scientifiche a sostegno di queste affermazioni, quali risposte abbiano fornito le autorità regolatorie e quali siano le implicazioni per la comunicazione del rischio. 

Alla luce dei dati attuali, il paracetamolo rimane il farmaco di riferimento per la febbre e il dolore lieve-moderato in gravidanza, se usato correttamente. Nonostante ciò, vale la pena di riflettere su come le evidenze scientifiche possano alle volte diventare strumentali per campagne di comunicazione che cercano di iper semplificare problematiche complesse, arrivando a proclamare di aver “finalmente” individuato la causa di malattie che, in realtà, non possono che essere multifattoriali. 

Viene da chiedersi il perché proprio il paracetamolo – che da decenni è il farmaco analgesico e antipiretico più utilizzato in gravidanza – sia salito sul banco degli imputati. Una possibile risposta potrebbe risiedere nel fatto che si tratta di un medicinale facilmente accessibile alla popolazione generale e che numerosi studi di farmacoutilizzazione hanno documentato l’ampio impiego del paracetamolo in gravidanza. Negli Stati Uniti, per esempio, uno studio condotto da Mitchell et al. ha mostrato che oltre il 65% delle donne in gravidanza ha assunto paracetamolo almeno una volta durante la gestazione.2 In Europa, lo studio multinazionale di Lupattelli et al. ha rilevato una prevalenza di utilizzo tra il 43% e l’86%, con picchi nel primo trimestre.3 Anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), nel confermare l’assenza di rischi malformativi o tossici, dichiara che il paracetamolo è ampiamente utilizzato nel nostro Paese per il trattamento della febbre e del dolore in gravidanza.4 

Nuove e vecchie evidenze scientifiche

La principale evidenza scientifica presentata a supporto di chi ha dichiarato “guerra” al paracetamolo in gravidanza è una recente revisione, pubblicata su Environmental Health nell’agosto 2025, che ha riesaminato il potenziale legame tra esposizione prenatale al paracetamolo e disturbi del neurosviluppo.5 Colpisce innanzitutto la scelta della rivista, specializzata in ambiente e salute, per la pubblicazione di dati che solitamente trovano spazio su riviste di ginecologia, ostetricia o salute materno-infantile. L’obiettivo principale della revisione era quello di valutare in modo sistematico l’associazione tra l’uso di acetaminofene (paracetamolo) in gravidanza e l’insorgenza nei bambini di disturbi del neurosviluppo (NND), tra cui il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e il disturbo dello spettro autistico (ASD), utilizzando la metodologia Navigation Guide. Anche queta scelta metodologica risulta peculiare, trattandosi di un approccio più comunemente adottato nella ricerca di tipo ambientale.6 Nella revisione sono stati inclusi 46 studi osservazionali: 25 hanno riportato associazioni positive (14 per ADHD, 5 per ASD e 7 per altri disturbi neuroevolutivi, NDD); 7 non hanno evidenziato alcuna associazione (3 per ADHD, 2 per ASD e 2 per altri NDD); 6 hanno mostrato associazioni inverse (2 per ADHD e 4 per altri NDD); infine, 8 studi hanno riportato risultati misti. Le evidenze più solide derivano da studi prospettici e da biomarcatori (meconio, sangue cordonale, plasma materno), che indicano un aumento del rischio di ADHD (RR medio: 1,34) e ASD (RR medio: 1,19), con relazioni dose-risposta.7 Gli stessi autori sottolineano correttamente le limitazioni metodologiche degli studi esaminati, tra cui la misclassificazione dell’esposizione, cioè l’uso del paracetamolo riportato in modo impreciso; il confondimento da indicazione, per cui il paracetamolo viene assunto in risposta a sintomi o patologie (febbre, dolore, infezioni) che di per sé possono influenzare il rischio di disturbi del neurosviluppo; il confondimento residuo, dovuto a fattori non misurati o non controllati, come per esempio specifiche condizioni materne; l’eterogeneità tra studi, legata a differenze nei disegni, nelle popolazioni incluse o nelle modalità di raccolta dei dati e di definizione degli esito. Inoltre, gli studi condotti su fratelli all’interno della stessa famiglia (sibling-controlled) non hanno trovato associazioni significative, suggerendo che fattori genetici e ambientali possano spiegare gran parte del segnale.8 Va però precisato che anche questi studi presentano limiti, tra cui la ridotta numerosità campionaria che comporta una bassa potenza statistica e il rischio di confondenti non condivisi.

In generale, la revisione è condotta con criteri metodologici che appaiono validi, sebbene non riporti né una valutazione complessiva della qualità né una metanalisi quantitativa. La rivista in cui è stata pubblicata adotta un metodo di peer-review trasparente e i dati mostrati suggeriscono un’associazione tra esposizione prenatale al paracetamolo e aumento del rischio di disturbi neuroevolutivi. A sostegno della plausibilità biologica, si evidenzia che il paracetamolo attraversa la placenta e può indurre stress ossidativo, alterazioni epigenetiche, disregolazione endocrina e immunitaria, nonché modificazioni nei sistemi prostaglandinici ed endocannabinoidi. Studi su animali e cellule staminali umane confermano effetti neurotossici e alterazioni dello sviluppo cerebrale. 

Tuttavia, gli autori, consapevoli dei possibili bias presenti negli studi primari, riconoscono che i dati non consentono di stabilire una causalità definitiva, ma al tempo stesso affermano che le evidenze disponibili sono coerenti con un’associazione tra esposizione prenatale al paracetamolo e disturbi del neurosviluppo, raccomandando un uso prudente del farmaco in gravidanza, alla dose minima efficace e per il tempo più breve possibile. In particolare, nell’abstract arrivano a richiedere “passi immediati” per limitare l’uso del paracetamolo in gravidanza, una formulazione che conferisce al messaggio scientifico un’urgenza non del tutto giustificata dall’incertezza delle evidenze disponibili. In questo contesto, le dichiarazioni pubbliche del presidente Trump amplificano e semplificano il messaggio, rischiando di produrre conseguenze concrete sulla salute delle donne in gravidanza, esposte ai pericoli di febbre e dolore non trattati. Inoltre, tali semplificazioni rischiano di danneggiare la credibilità della comunità scientifica, poiché la richiesta di evidenze basate su disegni metodologici più rigorosi e la comunicazione dell’incertezza possono essere percepite non come strumenti per evitare errori di interpretazione, ma come un tentativo di negare i “fatti” o di nascondere il presunto “colpevole”.

Bisogna sottolineare che non siamo davanti a quesiti nuovi o inesplorati. Non è la prima volta, infatti, che i ricercatori provano a fare la sintesi degli studi osservazionali che hanno indagato l’associazione tra paracetamolo e disturbi del neurosviluppo. Già nel 2021, l’esposizione prenatale e postnatale (fino a 18 mesi) al paracetamolo era stata associata a un aumento del rischio di sintomi borderline o clinici di ASD e ADHD in età infantile, utilizzando dati da sei coorti europee per un totale di 73.881 coppie madre-bambino.9 In particolare, l’esposizione prenatale è risultata associata a un aumento del 19% del rischio di sintomi borderline/clinici di ASD (OR: 1,19; IC95% 1,07-1,33) e del 21% del rischio di sintomi borderline/clinici di ADHD (OR: 1,21; IC95% 1,07-1,36). L’associazione si è mostrata leggermente più forte nei maschi, ma non significativamente diversa tra i sessi. Al contrario, l’esposizione postnatale non ha messo in evidenza nessuna associazione significativa con ASD o ADHD. Anche in questo caso, i limiti della revisione comprendevano la diversità degli strumenti di valutazione dei sintomi tra gli studi analizzati, la mancanza di dati armonizzati su dose e frequenza d’uso del farmaco e il possibile confondimento residuo o di indicazione in alcune coorti. Dati relativi alla potenziale associazione, anche in forma di revisione sistematica, sono quindi disponibili da tempo e si sommano ad altre analisi che continuano a presentare, con lo stesso grado di incertezza, un rischio potenziale. Perché, dunque, tutto questo clamore proprio ora? E soprattutto, che tipo di impatto può avere in termini di salute pubblica presentare tutto ciò come una “nuova scoperta”?

Un articolo pubblicato su Nature nel settembre 2025 ha messo in luce i rischi di una comunicazione distorta. In particolare, sottolinea come il dibattito scientifico, se riportato dai media in maniera semplicistica, possa alimentare un eccesso di allarme e una controindicazione assoluta all’uso del paracetamolo in gravidanza. Un’eventualità tutt’altro che priva di rischi: le febbri elevate in gravidanza sono associate a un aumento del rischio di aborto spontaneo, parto prematuro, difetti cardiaci e malformazioni cranio-facciali nel bambino. Inoltre, Temperature superiori a 39,1°C possono interferire con lo sviluppo cerebrale fetale, aumentando il rischio di disturbi neuropsichiatrici.10

Come hanno reagito a questi dati gli enti regolatori

Innanzitutto, visto da dove è partito l’allarme, vale la pena di registrare quanto avvenuto sulla sponda americana dell’atlantico. La Food and Drug Administration (FDA) ha richiesto la modifica delle schede tecniche e dei foglietti illustrativi dei medicinali contenenti paracetamolo, al fine di tenere conto delle evidenze che indicano una possibile associazione tra l’uso di paracetamolo in gravidanza e un aumentato rischio di disturbi neurologici nei bambini. L’agenzia, inoltre, ha inviato una comunicazione ufficiale ai professionisti sanitari a livello nazionale, al fine di sensibilizzarli sull’argomento.11 Al contrario, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’AIFA hanno ribadito che non esistono nuove evidenze tali da giustificare modifiche alle raccomandazioni correnti. Entrambe hanno precisato che gli studi osservazionali che suggeriscono associazioni con ASD e ADHD presentano limiti metodologici importanti, tra cui confondimento da indicazione e mancanza di controlli familiari. Inoltre, non è stato osservato un aumento del rischio di malformazioni congenite con l’uso appropriato del farmaco,4 un dato che, pur riferendosi a esiti diversi da quelli neurocognitivi, contribuisce a delineare un profilo di sicurezza complessivo più rassicurante per l’impiego del paracetamolo in gravidanza.

Pertanto, al di qua dell’oceano, le raccomandazioni attuali basate sulle linee guida rimangono invariate:

  • il paracetamolo è indicato per febbre e dolore lieve-moderato in gravidanza, se clinicamente necessario;
  • deve essere usato alla dose minima efficace e per il tempo più breve possibile;
  • e sconsigliato l’uso cronico o combinato con altri medicinali contenenti paracetamolo.

Conclusioni

Il fenomeno dell’infodemia, che è apparso a tutti così evidente durante l’ultima pandemia, non sembra averci insegnato niente. Addirittura lo scenario appare ancora più preoccupante se, all’incapacità di una corretta comunicazione sui dati di efficacia e sicurezza di un medicinale usato da una popolazione così vasta, si aggiunge il cortocircuito generato dal tentativo maldestro di trovare risposte semplici a problematiche complesse. 

Il paracetamolo, se usato correttamente, rimane un’opzione sicura durante la gravidanza. La sorveglianza scientifica prosegue, ma ad oggi non vi sono motivi per modificare le raccomandazioni. È essenziale contrastare la disinformazione con una comunicazione efficace e basata su evidenze solide. Ancora una volta, il ruolo di chi valuta i rischi associati alle diverse esposizioni, tra cui i farmaci, si conferma cruciale, così come la capacita di non lasciarci trascinare in narrazioni sensazionalistiche che trascurano le conseguenze di una comunicazione approssimativa e potenzialmente rischiosa per i pazienti.

Bibliografia

  1. Pearson H, Ledford H. Trump links autism and Tylenol: is there any truth to it? Nature 2025;646(8083):13-14. doi: 10.1038/d41586-025-02876-1
  2. Mitchell AA, Gilboa SM, Werler MM et al. Medication use during pregnancy, with particular focus on prescription drugs: 1976-2008. Am J Obstet Gynecol 2011;205(1):51.e1-8. doi: 10.1016/j.ajog.2011.02.029
  3. Lupattelli A, Spigset O, Twigg MJ et al. Medication use in pregnancy: a cross-sectional, multinational web-based study. BMJ Open 2014;4(2):e004365. doi: 10.1136/bmjopen-2013-004365
  4. Agenzia Italiana del Farmaco. Comunicato n. 45/2025 – Uso del paracetamolo in gravidanza: confermate le raccomandazioni europee. Roma, AIFA, 23.09.2025. Disponibile all’indirizzo: https://www.aifa.gov.it/-/uso-del-paracetamolo-in-gravidanza-confermate-le-raccomandazioni-europee
  5. Prada D, Ritz B, Bauer AZ, Baccarelli AA. Evaluation of the evidence on acetaminophen use and neurodevelopmental disorders using the Navigation Guide methodology. Environ Health 2025;24(1):56. doi: 10.1186/s12940-025-01208-0
  6. Woodruff TJ, Sutton P. The Navigation Guide systematic review methodology: a rigorous and transparent method for translating environmental health science into better health outcomes. Environ Health Perspect 2014;122(10):1007-14. doi:10.1289/ehp.1307175
  7. Masarwa R, Platt RW, Filion KB. Acetaminophen use during pregnancy and the risk of attention deficit hyperactivity disorder: A causal association or bias? Paediatr Perinat Epidemiol 2020;34(3):309-17. doi:10.1111/ppe.12615
  8. Ahlqvist VH, Sjöqvist H, Dalman C et al. Acetaminophen use during pregnancy and children’s risk of autism, ADHD, and intellectual disability. JAMA 2024;331(14):1205-14. doi: 10.1001/jama.2024.3172
  9. Alemany S, Avella-García C, Liew Z et al. Prenatal and postnatal exposure to acetaminophen in relation to autism spectrum and attention-deficit and hyperactivity symptoms in childhood: meta-analysis in six European population-based cohorts. Eur J Epidemiol 2021;36(10):993-1004. doi: 10.1007/s10654-021-00754-4
  10. Fieldhouse R. What happens if pregnant women stop taking Tylenol? Nature 2025. doi: 10.1038/d41586-025-03138-w. Online ahead of print.
  11. U.S. Food and Drug Administration. FDA responds to evidence of a possible association between autism and acetaminophen use during pregnancy. 22.09.2025. Disponibile all’indirizzo: https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-responds-evidence-possible-association-between-autism-and-acetaminophen-use-during-pregnancy

 

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