Riassunto

Il primo approfondimento della rubrica "60 giorni di epidemiologia italiana" è dedicato allo studio «Efficacy of human papillomavirus testing for the detection of invasive cervical cancers and cervical intraepithelial neoplasia: a randomised controlled trial» di Guglielmo Ronco et al. pubblicato quest'anno su The Lancet Oncology. Leggi la scheda di presentazione e l'intervista al primo autore.

Scheda dello studio NTCC

Efficacy of human papillomavirus testing for the detection of invasive cervical cancers and cervical intraepithelial neoplasia: a randomised controlled trial

Guglielmo Ronco, Paolo Giorgi-Rossi, Francesca Carozzi, Massimo Confortini, Paolo Dalla Palma, Annarosa Del Mistro, Bruno Ghiringhello, Salvatore Girlando, Anna Gillio-Tos, Laura De Marco, Carlo Naldoni, Paola Pierotti, Raffaella Rizzolo, Patrizia Schincaglia, Manuel Zorzi, Marco Zappa, Nereo Segnan, Jack Cuzick, and the New Technologies for Cervical Cancer screening (NTCC) Working Group.

Lancet Oncol  2010; 11(3): 249-57

Sintesi

Che il test molecolare per la ricerca di DNA Human Papilloma Virus (HPV-DNA), responsabili della maggior parte dei tumori della cervice uterina, sia più sensibile del tradizionale esame citologico (Pap-test) nel rivelare la presenza di alterazioni displastiche di alto grado prima che diventino invasive è un dato già avvallato da vari studi condotti negli ultimi anni. La sperimentazione clinica realizzata in Italia dai ricercatori del New Technologies for Cervical Cancer Screening Working Group mostra per la prima volta in un paese industrializzato una maggiore efficacia nel prevenire i tumori invasivi, precisando i limiti di applicazione del test nella prospettiva di un suo utilizzo come indagine di primo livello nello screening di popolazione.

Obiettivi dello studio

Obiettivi dello studio sono stati quello di verificare la superiorità del test molecolare per gli HPV rispetto alla citologia tradizionale come strumento di diagnosi precoce delle lesioni precancerose e quindi di prevenzione dello sviluppo delle forme invasive, e quello di determinare l'efficacia di diversi protocolli di applicazione del test per lo screening primario e la relativa appropriatezza nelle diverse fasce di età.

Metodologia

Lo studio ha coinvolto in totale quasi 95.000 donne di età compresa tra i 25 e i 60 anni, attingendo alla popolazione invitata all'interno dei programmi istituzionali di screening per il tumore della cervice uterina attivati in nove città italiane.

La sperimentazione è stata divisa in due parti, utilizzando due diverse modalità di applicazione del test HPV-DNA.

Nella prima parte 47.000 donne sono state assegnate per metà al solo esame citologico (con metodologia convenzionale) e per metà sia all'esame citologico (in strato sottile) sia al test HPV-DNA. Alle donne di entrambi i gruppi con esame citologico positivo (con esito ASCUS, L-SIL o di grado maggiore) è stata prescritta un'indagine colposcopica per eventuale trattamento, mentre alle donne del gruppo di intervento con esame citologico negativo e test HPV-DNA positivo è stata prescritta la colposcopia se di età superiore a 35 anni e, invece, la ripetizione dei due esami a distanza di un anno se di età inferiore a 35 anni (seguita da colposcopia in caso di persistente positività del test virale oppure di positivizzazione dell'esame citologico). L'approccio diversificato a seconda dell'età è stato motivato dalla maggiore probabilità nella popolazione giovane che l'infezione da HPV vada incontro a risoluzione spontanea.

Nella seconda parte altre 47.370 donne sono state assegnate per metà al solo esame citologico (con metodologia convenzionale) e per metà al solo test HPV-DNA, e in caso di positività di uno o dell'altro esame avviate all'indagine colposcopica in prima istanza, indipendentemente dall'età.

A 3 anni dalla conclusione di questo primo round di screening le partecipanti sono state invitate per un secondo round di screening, con esame citologico per entrambe le tranches.

Risultati

Al primo round di screening il test HPV-DNA ha portato all'identificazione, attraverso le indagini colposcopiche prescritte nei casi di positività, di un numero di lesioni precancerose di alto grado (CIN3) due volte più alto di quello rilevato con la sola citologia, anche quando è stato utilizzato come unico esame. Il fatto che l'aumentata sensibilità diagnostica sia da attribuire pressoché in toto al test molecolare, piuttosto che alla sua combinazione con la citologia, ne fa un candidato ideale per lo screening primario e per la prevenzione delle forme invasive che possono svilupparsi da quelle precancerose sfuggite all'indagine citologica.

Effettivamente, al secondo round di screening il numero di forme invasive e anche di lesioni precancerose riscontrate è stato drasticamente minore nel gruppo di donne inizialmente sottoposte al test HPV-DNA che nelle donne inizialmente sottoposte a citologia. Tale risultato da un lato depone a favore dell'ipotesi che l'anticipazione della diagnosi delle lesioni precancerose, garantita dal test virale, consenta di prevenirne l'evoluzione e dall'altro che il test virale assicuri un periodo prolungato di basso rischio.

Nelle donne più giovani, di età tra 25 e 34 ani, lo screening virale ha portato, al primo round, all'identificazione di un numero molto elevato di lesioni precancerose di grado moderato (CIN2) che l'esame citologico non compensato da un’adeguata riduzione al secondo  round. Ciò fa ritenere che una parte rilevante di queste lesioni sarebbe regredita spontaneamente e di conseguenza a trattamenti inutili.  

Questo costituisce, tra i risultati dello studio, l'aspetto più critico, soprattutto in considerazione del fatto che gli interventi di escissione delle lesioni cervicali aumentano il rischio di insorgenza di complicanze nelle successive gravidanze. Pertanto gli autori ritengono che lo screening con HPV non debba essere utilizzato nelle donne con meno di 35 anni.


Intervista a Guglielmo Ronco primo firmatario dello studio italiano NTCC sull’efficacia del test HPV nell’identificazione dei tumori cervicali invasivi

1. Che cosa aggiungono i risultati del vostro studio rispetto alle conoscenze precedenti sull'efficacia del test per l'HPV?

Il nostro è il primo studio che ha dimostrato direttamente una riduzione significativa dei tumori invasivi del collo dell'utero dopo lo screening con l'HPV rispetto alle donne che avevano avuto screening con il solo Pap-test in un Paese sviluppato.

Esiste uno studio precedente condotto in India che ha dimostrato una riduzione di incidenza di tumori di grosse dimensioni e di mortalità per tumori della cervice nelle donne che hanno fatto screening con l'HPV. Questo era un contesto un po' diverso perché era un Paese in via di sviluppo e in cui sostanzialmente le donne non erano mai state screenate prima e sono state screenate una volta sola. Quindi credo sia importante avere dato una dimostrazione diretta.

Gli altri trial dei paesi sviluppati hanno dimostrato una riduzione di CIN3 che è considerato un proxy buono della riduzione dei tumori invasivi. Chiaramente avere una dimostrazione diretta è meglio. Il motivo per cui gli altri studi non hanno dimostrato una riduzione significativa dei tumori è probabilmente legato alla dimensione degli studi stessi: il nostro era uno studio più grosso. E' in progetto e faremo, spero a breve, una pooled analysis di tutti gli studi randomizzati per confermare questo punto.

Credo che l'altra questione importante sia che avendo appunto dimensione piuttosto ampia il nostro studio ha dato una indicazione,, anche comparativamente agli altri studi, sui modi migliori di fare lo screening con l'HPV. Per esempio noi abbiamo avuto una prima fase in cui le donne facevano tutte lo screening primario con citologia e HPV ed una seconda in cui facevano solo il test HPV come test primario e i risultati sono stati molto simili in termini di protezione, addirittura migliori nella seconda fase, mentre i costi in termini di invio in colposcopia erano più alti facendo entrambi i test. Ciò indica che il solo test HPV dev'essere usato come test primario; inoltre ha dato indicazioni sulle età, l'effetto per età di cui magari parleremo dopo.

 2. A quali conclusioni portano rispetto all’opportunità di adottare test per l’HPV come test di primo livello nello screening per le neoplasie della cervice uterina?

Credo che ci sia evidenza chiara che il testHPV sia più protettivo del test con la citologia per fare lo screening primario. I nostri dati (e quelli di altri studi) dimostrano che è necessario che si seguano determinati protocolli di screening.  L’opportunità è legata alla possibilità che vengano messi in atto protocolli appropriati

Altro punto, si sanno alcune cose su costi /benefici, ma occorrono alcuni approfondimenti , una messa a punto. In questo momento è  necessario partire con studi pilota anche di grandi dimensioni che valutino i costi e la fattibilità in una situazione routinaria e che sino fatti  in situazioni controllate che consentano un’applicazione rigorosa dei protocolli appropriati.

3. Alla luce dei risultati dello studio,  ritiene appropriato e praticabile un approccio diversificato per fasce di età?

La cosa più importante è che il nostro studio ha messo in evidenza che nelle donne giovani, di età inferiore ai 35 anni, l’uso del test HPV 

individua un numero alto di lesioni precancerose cin2 che sarebbero regredite spontaneamente. Non bisognerebbe usare il test hpv sotto i 35, ma solo sulle donne dai 35. Adesso non sappiamo distinguere i casi di cin2 che progrediscono da quelli destinati a regredire spontaneamente. Il trattamento dei cin2 aumenta il rischio di complicanze in gravidanza, cosa importante nelle donne giovani.  Non bisognerebbe cominciare con le donne giovani. Gli altri studi non erano chiari su  questo perché non erano stati disegnati a questo scopo e anche perché non avevano la dimensione adeguata. Adesso è in progetto un’analisi pooled di tutti i trial , ma per ora in via precauzionale è opportuno cominciare dopo i 35.

Altro punto: ci sono indicazioni che il periodo a basso rischio dopo un test hpv negativo tende ad aumentare con l’età, il che può significare che si possono usare intervalli più prolungati per le donne in menopausa e forse sospendere prima lo screening, ma al momento i dati non sono sufficienti per raccomandare ciò.

4. Quali effetti potrebbe avere sulle pratiche di screening, in termini di rapporto costi/benefici, la sostituzione del test per l'HPV alla tradizionale citologia?

Attualmente il costo del test HPV è in diminuzione perché viene usato su grandi numeri. Poi plausibilmente, per motivi di concorrenza, diminuirà ancora. Io spero che l’ingresso sul mercato di nuovi protagonisti avrà effetti positivi. Adesso la questione deve essere valutata attentamente. Ora sono partiti studi pilota proprio su questo il punto. È importante soprattutto valutare i costi con protocolli adeguati. Questo significa mandare in colposcopia solo le donne mitologicamente positive e per le altre ripetere il test a distanza di un anno, inviandolo in colposcopia quelle che restano HPV positive. In questo modo si limitano le colposcopie. Confrontando i nostri risultati che aveva un invio diretto in colposcopia con quelli degli altri con approccio di questo tipo, la protezione è simile.

Con l’approccio che ho descritto prima il valore predittivo positivo  è molto simile se non addirittura migliore che con la citologia. Il problema è che tutti i dati sul valore predittivo positivo riguardano donne screenate per la prima volta per il test l’HPV. Questo tende a identificare anche infezioni che sono lì da molto tempo e queste hanno più probabilità di progredire a lesioni precancerose. Allora il punto molto importante per i costi/benefici è l’intervallo di screening. Tutti i dati indicano che si possono prolungare gli intervalli di screening a 5 anni, forse in futuro anche di più ma per ora con sicurezza a 5 anni. Ciò migliora molto il rapporto costi/benefici, ovviamente.

Per vedere il video dell'ultima parte di intervista clicca sul triangolo.

5. E quali ripercussioni si possono prevedere nel contesto della sanità pubblica?

 Chiaramente c’è un problema di riconversione di strutture. Esisteva un numero cospicuo di citologi che sta andando in crisi. Si tratta di mettere in piedi nuovi servizi che fanno HPV. È soprattutto importante avere sistemi centralizzati di per motivi di qualità e di costo. Avere laboratori che fanno numero elevato di HPV permette di avere economie di scala e di utilizzare  sistemi robotizzati. Occorre realizzare sistemi di controllo di qualità, centralizzare la lettura del test HPV, avere training adeguato per la lettura della citologia come screening,  perché la situazione è chiaramente diversa, in cui la probabilità dei avere lesioni è molto più alta che nella popolazione generale. Però bisogna anche evitare che i citologi siano troppo ampi nei loro giudizi, essendo influenzati dal fatto che sanno che la donna ha una infezione da HPV. Tutto ciò richiede la messa a punto di sistemi di monitoraggio adeguati. L’altro punto molto importante è avere dei protocolli molto ben definiti e la garanzia che vengano seguiti per evitare effetti collaterali.

6. Come pensa potrà incidere, nel lungo periodo, sulle pratiche di screening la profilassi vaccinale?

La vaccinazione attualmente disponibile riguarda i tipi  16 e 18, che sono i tipi più aggressivi di HPV e che coprono il 70 percento dei tumori invasivi, ma non sono in grado di prevenire tutti i tumori invasivi, Sicuramente le donne vaccinate con questi vaccini dovranno continuare a sottoporsi a screening. Come dicevo la probabilità che un’infezione da tipi diversi da quelli vaccinali porti a lesioni precancerose è più bassa.  Ciò significa che si potranno allungare gli intervalli fra gli screening , ma ciò richiede altri studi per essere confermato. Certamente è oggetto di ricerca il modo migliore di fare lo screening alle donne vaccinate. Credo che sia  molto importante, per avere un effetto del vaccino, avere una copertura vaccinale molto alta. Il vantaggio dei vaccini è soprattutto per le donne che non fanno lo screening. Per quelle che lo fanno non aggiunge molto, ma è importante che queste ultime sappiano che devono continuare a fare lo screening.

7. Quali riflessi avranno, a suo parere, i risultati di questo studio sulla prossima revisione delle linee guida europee?

La revisione è in corso. L’importanza è alta perché come dicevo lo studio è grosso e ha dimostrato una riduzione dell’incidenza di tumori invasivi. Soprattutto, avere studi fatti con protocolli diversi ha permesso di valutare comparativamente la protezione data da questi diversi approcci e i costi e questo porta a definire dei modi appropriati di fare lo screening con l’HPV. Usare il test HPV da solo, non cominciare lo screening prima dei 35 anni e non inviare le donne direttamente a fare la colposcopia se positive al test, ma usare sistemi di triage. Quello che ho descritto prima è il più studiato e certamente efficace. Ha un problema legato alla necessità di ripetere il test con intervalli brevi. Ciò porta disturbo alle donne e possibile perdita al follow up, che può essere rilevante perché queste donne non sono seguite  mentre possono avere un rischio maggiore di sviluppare un tumore. È in corso  parecchio di lavoro di ricerca nostro e di altri gruppi per sviluppare il modo migliore di triage delle donne HPV positive .

 

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