Premessa
Giustizia o ingiustizia? era il titolo di un convegno organizzato a Roma nel settembre 2016 dalle associazioni delle vittime di amianto in Italia. Le motivazioni che avevano spinto a indire quell’evento sono purtroppo ancora valide: nel nostro paese quasi tutti i procedimenti penali per casi di patologie professionali o decessi dovuti a esposizione all’amianto continuano a concludersi con assoluzioni, per la pretesa impossibilità di individuare i soggetti a garanzia responsabili dell’esposizione professionale o ambientale che ha causato l’insorgenza della malattia. Come sia possibile che questo continui ad accadere è stato argomento di dibattito anche durante il più recente convegno Amianto e Mesotelioma: tutti innocenti? Aspetti biologici ed epidemiologici dell’esposizione ad amianto e conseguenze giuridiche tenutosi a Roma in una Sala Capitolare del Senato il 13 maggio 2022, promosso dalla senatrice Tatjana Rojc in collaborazione con AIEA, AFEVA, AICA, ARASIS, Federazione Nazionale Pro Natura, Gruppo Aiuto Mesotelioma, ISDE, Legambiente, Medicina Democratica ed Epidemiologia & Prevenzione. Gli amianti sono noti e utilizzati da migliaia di anni anche se il loro impiego industriale risale solo agli ultimi 150 anni.
La prima malattia messa in relazione all’esposizione agli amianti è stata l’asbestosi, un tipo di pneumoconiosi inguaribile causata da polveri e fibre del minerale che, secondo il Global Burden of Disease, causa circa 3.500 decessi ogni anno. Le ancor più letali malattie tumorali causate dagli amianti sono note dalla fine degli anni ’30 del Novecento, ma nonostante le evidenze di forte cancerogenicità per tutti i tipi di amianto, compreso il crisotilo, questi sono ancora ampiamente estratti, lavorati e commercializzati a livello globale. Su scala mondiale le fibre di amianto sono la causa del maggior numero (63 %) dei decessi per cancerogenesi occupazionale. Secondo le stime dall’OMS e dall’ILO il numero di decessi per tumori globalmente causati dall’amianto è compreso fra 107.000 e 112.000 ogni anno, ma si tratta di una sottostima: nonostante gli sforzi normativi e di prevenzione sono circa 255.000 ogni anno i morti per amianto nel mondo, di cui più del 90 % legati a esposizione lavorativa.
Mentre la sofferenza e la perdita di vite umane sono impossibili da quantificare, nell’UE, negli USA e in altre economie ad alto reddito per ogni decesso per cancro si stima un costo di 4 milioni di euro; in base a questa valutazione risulta che i costi diretti e indiretti per malattie, prepensionamenti e assenze dal lavoro a causa dei tumori professionali siano pari allo 0,70 % del PIL (114 miliardi di dollari negli USA). L’uso degli amianti, seppure vietato in 55 paesi, è ancora ampiamente praticato: ogni anno sono prodotte circa 2.030.000 tonnellate. Mediamente, a 20 tonnellate di amianto prodotto corrisponde una persona deceduta. Acquistarne 1 kg in Asia costa 40 centesimi di dollaro; 20 tonnellate costano 8000 dollari. Questi numeri riassumono la sproporzione fra profitto e costo per la collettività dell’uso dell’amianto. Eppure in Italia i processi che vedono imputati i dirigenti che hanno esposto all’amianto gruppi di lavoratori con conseguenti patologie gravissime come i tumori del mesotelio pleurico o del polmone, si concludono quasi sempre con assoluzioni in Corte di Cassazione che smentiscono i giudizi di condanna più frequentemente espressi in primo e secondo grado di giudizio. Talvolta, in identiche circostanze, accade che due sezioni della Cassazione emettano giudizi contrapposti. Per le vittime ciò è intollerabile: la colpevolezza o l’assoluzione non possono dipendere dal grado di giudizio penale o dalla Sezione che affronta la revisione del processo in Cassazione.
Nessun organo della Magistratura ha finora affrontato questa anomalia della giurisprudenza accogliendo, per esempio, l’istanza di emettere un argomentato giudizio a Corti di Cassazione riunite. Tuttavia, va detto che questa situazione si regge anche per opera di un esiguo numero di consulenti che attraverso interpretazioni singolari dei risultati di ricerca o riproponendo opinioni scientifiche già smentite mettono in atto una strategia del dubbio sostenendo nei tribunali italiani tesi minoritarie e contrarie a quanto è affermato e condiviso dalla comunità scientifica sulle correlazioni fra esposizione e insorgenza delle malattie da amianto. Ne è stato esempio l’espediente della trigger dose – un’unica fibra di amianto inalato presumibilmente a inizio esposizione – avvalorata addirittura come singolo fattore causale d’insorgenza del mesotelioma pleurico. Già screditata dalla comunità scientifica, poi rigettata anche dalla comunità giuridica, l’affermazione della trigger dose ha infine rivelato solo la malafede di chi la sosteneva; eppure fra il 2000 e il 2003 fu decisiva per diverse sentenze di assoluzione per tumori professionali dovuti all’amianto. Una pronuncia della Cassazione nel 2003 sembrò risolvere la questione dell’individuazione del soggetto a garanzia con la seguente formulazione:
“Il problema di imputazione appena descritto viene risolto dalla giurisprudenza applicando, sulla base delle consulenze e delle perizie, una legge scientifica nota come modello multistadio della cancerogenesi. Tale legge descrive il processo di formazione del cancro come un’evoluzione a più stadi, la cui progressione è favorita dalle successive esposizioni al fattore cancerogeno: con la conseguenza che l’aumento della dose di amianto inalata (dove la dose dipende dalla durata e dall’intensità dell’esposizione; e l’intensità, a sua volta, dipende dalla concentrazione di fibre nell’aria), è in grado di accorciare la latenza della malattia e di aggravare gli effetti della stessa. Secondo la teoria multistadio, dunque, il tumore rappresenta una patologia dose-correlata, ossia il cui sviluppo, in termini di rapidità e gravità, è condizionato dalla quantità di fattore cancerogeno inalato. Ciò permette ai giudici di affermare che, a prescindere dal momento esatto in cui la patologia è insorta, tutte le esposizioni successive e tutte le dosi aggiuntive devono essere considerate concause poiché abbreviano la latenza e dunque anticipano l’insorgenza della malattia” (Cassazione, Sezione IV penale, sentenza n. 988 del 14 gennaio 2003).
Le evidenze permettono quindi di individuare i soggetti a garanzia, ovvero – tenendo conto della lunghissima latenza delle patologie tumorali causate dall’amianto – tutti gli imprenditori e/o i dirigenti incaricati della tutela della salute dei lavoratori nel periodo compreso fra l’inizio e la fine dell’esposizione all’agente cancerogeno. Nonostante ciò, la contestazione dei principi scientifici riassunti nella sentenza sopra citata è proseguita negli ultimi due decenni riscontrando seguito quasi esclusivamente nei tribunali – o in pubblicazioni sovente inficiate dal conflitto di interesse degli autori – senza alcuna evoluzione o osservazione innovativa, portando infine al clima di arbitrarietà e incertezza di giudizio già sottolineato. Fra gli argomenti portati in aula e – solo lì – sostenuti da un ristretto gruppo di consulenti dell’industria, ricordiamo:
- L’affermazione che la teoria multistadio della cancerogenesi non è valida.
- L’affermazione che le fibre cancerogene inalate dopo il periodo di induzione della malattia non peggiorano la salute degli esposti.
- La conseguente osservazione che la relazione inversa fra dose e latenza non esiste.
- L’affermazione che i concetti statistici dell’epidemiologia non possono essere applicati al singolo caso.
- L’affermazione che l’accelerazione del processo di cancerogenesi, legata alla dose cumulata, non sussiste.
Ridotte all’essenziale, sono questi i principali temi in discussione nei processi per patologie da amianto – come per altre sostanze tossiche e/o cancerogene – che in questo Quaderno di Epidemiologia & Prevenzione vengono affrontati da autorevoli esperti alla luce delle evidenze raccolte dall’epidemiologia e delle più recenti scoperte della biologia molecolare. Queste, sostanzialmente, confermano la teoria multistadio mostrando come la cancerogenesi non sia un processo né puntiforme né lineare, ma costituito da una fase di iniziazione cellulare (trasformazione di una cellula normale in tumorale) e da una di promozione e completamento evolutivo delle cellule tumorali per azione di hallmarks, senza i quali la carcinogenesi non proseguirebbe. In quest’ottica vanno interpretati, per esempio, il concetto di induzione – artatamente introdotto come sinonimo di iniziazione, ovvero del primo stadio della teoria multistadio, da rigettare se inteso nell’accezione di processo completo di cancerogenesi – e l’osservazione che le dosi iniziali di cancerogeno inalato risultano più impattanti perché hanno più tempo a disposizione per produrre la mutazione cellulare. Mentre l’accumulo di fibre nel polmone, funzione di durata e intensità di esposizione, aumenta la probabilità di sviluppo della malattia (rischio, incidenza) e ne accelera l’esito clinico (anticipazione dell’evento), in funzione della dose globale assorbita nel tempo per cui è durata l’esposizione.
Allo stesso modo, con riferimento alle leggi fondamentali delle scienze mediche, biologiche e dell’epidemiologia, possono essere giudicati i singoli casi in giudizio. Questi ultimi, sulla base della probabilità logica e della credibilità razionale, non possono costituire eccezioni a modelli di copertura universali che stabiliscono come a ogni incremento di esposizione a sostanze tossiche o cancerogene corrisponda sia un aumento di incidenza (rischio), sia una anticipazione d’insorgenza della malattia associata. Perfino eventi a causa singola come gli infortuni sul lavoro accadono con frequenza proporzionale ai diversi gradi di protezione e alla sicurezza dell’ambiente in cui si opera, mentre i concetti di latenza e anticipazione assumono significato se si confrontano gli andamenti statistici degli infortuni di situazioni di lavoro con diverso livello di rischio.
Crediamo che il confronto su questi argomenti sulla base di contributi autorevoli e non influenzati da interessi di parte, come quelli raccolti in questo Quaderno, possa aiutare a far luce sulle interpretazioni scientifiche da adottare nei procedimenti penali in corso e in quelli futuri riguardanti le malattie e i decessi causati dall’amianto o dall’esposizione ad altri agenti nocivi negli ambienti di lavoro e di vita.
Fulvio Aurora, Marco Caldiroli, Elisabeth Cosandey, Maura Crudeli, Enzo Ferrara
Indice
Introduzione
Prima parte - Consensus biologico ed epidemiologico consolidato
Seconda parte - Le evidenze scientifiche sulle malattie da amianto nelle aule di giustizia