Rubriche
11/01/2009

Un comitato per accedere alle terapie in modo consapevole

L’Italian Community Advisory Board (I-CAB) è un organismo consultivo nato nel dicembre 1999 con l’intento di salvaguardare l’eticità delle sperimentazioni e il diritto all’informazione e alla libera scelta delle persone sottoposte a sperimentazioni cliniche in campo di HIV/AIDS. In un panorama che vede una richiesta continua e pressante di nuovi medicinali, le case farmaceutiche e i gruppi internazionali di ricerca hanno impostato e continuano a disegnare i trial e i protocolli sperimentali sulla base di un riconosciuto “stato di necessità”, spesso dimenticando la centralità del diritto di scelta delle persone a cui la sperimentazione viene offerta. Ciò avviene nonostante in Italia e in tutta Europa siano in vigore le Good Clinical Practice, un complesso di prescrizioni generali nelle quali si prendono in esame i passi per la realizzazione di una corretta sperimentazione scientifica e per la formulazione di un consenso informato che rispetti i principi di autodeterminazione e di libera scelta della persona che verrà coinvolta. La discrepanza tra l’eticità descritta dalle Good Clinical Practice e la scarsa applicazione delle stesse ha reso indispensabile il coinvolgimento delle persone sieropositive nel dialogo, da sempre esclusivo, tra ricercatori, produttori di farmaci e clinici.

L’esperienza dello European Community Advisory Board (E-CAB)

Non si può parlare del neonato I-CAB senza descrivere l’esperienza europea da cui ha preso le mosse. A livello comunitario esisteva già, infatti, un gruppo di lavoro sui trattamenti antiretrovirali rivolti alle persone sieropositive che si incontrava una volta all’anno (European AIDS Treatment Group, EATG). Sulla scorta dell’esperienza di alcune case farmaceutiche, dove a intervalli si riunivano dei comitati rappresentativi delle comunità dei malati, l’EATG si è voluto dotare di un “braccio” scientifico in grado di valutare i protocolli sperimentali sia da un punto di vista tecnico, sia da un punto di vista etico. Così è nato l’E-CAB i cui membri sono volontari, indipendenti, ognuno di loro è tenuto al rispetto della confidenzialità su dati riservati che potrebbero essere rivelati e discussi durante gli incontri mensili con le case farmaceutiche coinvolte nelle sperimentazioni più attuali. Ogni nazione europea ha diritto a essere rappresentata a seconda dell’importanza epidemiologica dell’infezione nel proprio paese. Tale organismo, unico nel suo genere, ha dato vita a un importante momento di mediazione e dialogo tra i produttori dei farmaci che hanno come primo obiettivo il profitto della propria azienda, i ricercatori direttamente coinvolti nella creazione dei protocolli di ricerca rivolti a persone con HIV, di cui non conoscono la realtà quotidiana, e i veri protagonisti delle sperimentazioni, i rappresentanti della comunità dei malati che, per esperienza diretta o per esperienza di lavoro, conoscono i problemi nella loro dimensione reale. La preziosità dell’incontro tra i tre protagonisti delle sperimentazioni sta proprio nel riportare la discussione su livelli di realtà quotidiana, sulla centralità del paziente, sul diritto alla salute e alla autodeterminazione individuale. Se per la comunità dei malati il beneficio è evidente, non minore appare il vantaggio per le aziende farmaceutiche che si occupano di HIV/AIDS. Il contatto con rappresentanti della comunità permette loro di comprendere meglio il target a cui vengono indirizzati i prodotti e soprattutto di anticipare gli ostacoli che potrebbero presentarsi nelle diverse nazioni durante il cammino della sperimentazione. Là dove l’azienda farmaceutica comprende l’importanza della collaborazione con E-CAB, è possibile ridiscutere i protocolli di ricerca, i criteri di inclusione ed esclusione, le modalità del consenso informato, si può spingere per l’esecuzione di studi più approfonditi sugli effetti collaterali delle terapie, sulle interazioni tra farmaci e sulla qualità della vita dei pazienti, si punta l’attenzione sulle esigenze delle minoranze e delle persone poco rappresentate nei trial quali le donne, si può fare pressione per estendere le sperimentazioni a quanti più centri possibili garantendo lo standard di assistenza e l’accesso ai test diagnostici più vantaggiosi per i pazienti arruolati. Il lavoro tuttavia è ostacolato dall’ostinata sordità di alcune case farmaceutiche e dalle diversità politiche ed economiche delle nazioni dell’Unione. Le difficoltà burocratiche e amministrative, la mancanza di comunicazione tra la casa madre e le filiali locali delle aziende farmaceutiche, sono gli ostacoli che impediscono la creazione di una politica comune in tutte le nazioni. I rallentamenti delle sperimentazioni, le diseguaglianze sul monitoraggio e la gestione dei pazienti, le disparità di informazione, possono vanificare il lavoro svolto dai rappresentanti dell’E-CAB. Ecco quindi l’esigenza di creare dei CAB nazionali che permettano di riportare l’esperienza europea al livello della singola nazione per garantire la continuità del lavoro svolto durante gli incontri mensili e soprattutto per garantire un’attuazione pratica dello sforzo di cooperazione europea.

Nasce l’Italian Community Advisory Board (I-CAB)

Nel dicembre 1999 i membri italiani dell’EATG e dell’E-CAB decidono di dare vita all’Italian Community Advisory Board. Il gruppo non si propone di rappresentare l’intera comunità italiana, né di sviluppare un’azione politica che si sostituisca a quella delle associazioni di lotta all’AIDS, con le quali intende stabilire un rapporto di collaborazione e di partecipazione attiva. L’ambito entro il quale I-CAB si propone di agire è quello relativo ai criteri che governano le sperimentazioni cliniche, i programmi di accesso allargato e di uso compassionevole relativi ai trattamenti all’infezione da HIV-1, HIV-2 e patologie correlate. Operando sulla base dei principi ispiratori forniti dal codice di Norimberga, dalla dichiarazione di Helsinki e dalla carta che regola i comitati etici italiani, il gruppo ha delineato i suoi obiettivi:

• Supervisionare i protocolli clinici;

• Promuovere le Good Clinical Practice e l’accesso paritetico alle sperimentazioni a livello italiano;

• Rivedere i moduli di consenso informato;

• Ricevere informazione sui risultati intermedi della sperimentazioni in atto;

• Interagire con altri soggetti istituzionali e non;

• Essere visibile rispetto alla comunità dei pazienti e rispetto alle associazioni di lotta all’AIDS allo scopo di disseminare informazioni non soggette a confidenzialità e metterle a disposizione di tutti gli enti o persone operanti sul territorio nazionale per favorire le iniziative che vadano nell’interesse dei pazienti e delle persone sieropositive.

I criteri con i quali sono stati individuati i membri fondatori dell’I-CAB sono la competenza, l’esperienza in ambito nazionale e internazionale, l’interesse e la sensibilità rispetto a un progetto che ha come principale obiettivo la tutela dei pazienti nell’ambito della comunità scientifica, il senso etico e la capacità di operare all’interno di un impegno di confidenzialità con le case farmaceutiche. Fatte salve le competenze di base, il gruppo ritiene che una quota significativa dei propri membri debba essere composta da persone sieropositive. Tutti i membri sono volontari e non è previsto alcun vantaggio economico derivante dall’appartenenza al gruppo di lavoro. A tutti i membri dell’I-CAB è richiesto di rispettare un impegno di confidenzialità stipulato tra ogni singolo membro e gli interlocutori che di volta in volta lo richiederanno, specificando gli argomenti precisi soggetti al vincolo. Lo scopo è incoraggiare le case farmaceutiche a condividere, durante la riunione, informazioni di carattere commerciale, o non ancora pubbliche, in modo da potere ampliare il dibattito e garantire la massima efficacia dell’incontro. L’obiettivo è quello di comprendere le strategie di lavoro migliori e più vantaggiose per il raggiungimento degli obiettivi comuni. I-CAB, quindi, colloca il suo lavoro su tre livelli ben delineati. Un primo livello è la salvaguardia dell’eticità delle sperimentazioni offerte alle persone con HIV. In questo modo I-CAB sopperisce all’assenza di persone della comunità dei pazienti sieropositivi all’interno dei comitati etici degli ospedali che si trovano a dovere decidere su sperimentazioni rivolte a persone con HIV. La difficoltà della materia impone la presenza di persone che conoscano il punto di vista del paziente con HIV e abbiano consapevolezza di come le stesse sperimentazioni sono condotte nel resto del mondo. Un secondo livello è la promozione della mediazione culturale fra i tre protagonisti principali dell’universo sanità: i pazienti, i terapeuti e i produttori di farmaci. Essendo il bene del paziente l’obiettivo di tutti, il lavoro in comune non può far altro che agevolare il compito di ognuno, mettendo in luce gli ostacoli e permettendo una maturazione culturale nel rapporto tra utente, sanità pubblica e azienda privata, utilizzabile anche in campi. Lo sforzo delle associazioni diventa anche un invito per i ricercatori e i direttori dei centri clinici italiani, che si occupano di HIV/AIDS, a creare delle basi di collaborazione attiva per rispondere all’estrema anarchia gestionale di questa malattia nei diversi centri italiani. Il terzo livello di lavoro consiste nel tentativo di superare la mancanza di informazioni. La LILA nazionale ha esperienza quotidiana di richiesta di spiegazioni chiare, precise e aggiornate sulle terapie, gli effetti collaterali, le sperimentazioni in corso nel mondo. In queste richieste di aiuto è evidente il desiderio delle persone di poter scegliere consapevolmente e di non essere, spesso, messi in condizione per farlo. Grazie a un organismo come I-CAB, la raccolta del materiale di informazione e la sua divulgazione attraverso le reti associative già esistenti potrebbe diventare più agevole ed efficace. L’esperienza di I-CAB dovrebbe essere ripetuta in altri settori della medicina. Se da un lato ci si interessa delle questioni legate alle malattie per ragioni inerenti all’etica, alla sopravvivenza e alla qualità di vita, quindi ai diritti umani, dall’altra le motivazioni che spingono la ricerca sono meramente economiche. Il benessere e il diritto delle persone malate non interessa a nessuno se non alla persone malate stesse ad alle associazioni che salvaguardano il loro diritti. Per tale motivo l’atto di nascita di un Italian Community advisory Board è un segnale prezioso che tenta di avviare un modo nuovo di percepire e di fare la sanità pubblica.

LILA -Lega italiana per la lotta contro l’AIDS

La Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS è un’associazione senza scopo di lucro nata nel 1987 per promuovere e difendere il diritto alla salute, per affermare principi e relazioni di solidarietà, per lottare contro ogni forma di violazione dei diritti umani, civili e di cittadinanza delle persone sieropositive o malate di AIDS. È costituita da una federazione di associazioni e gruppi di volontariato composti da persone sieropositive e non, volontari e professionisti. Ha una sede nazionale che opera per uno sviluppo delle politiche sociosanitarie e per la crescita delle sedi che operano territorialmente. Le sedi locali agiscono a livello regionale, provinciale e cittadino su temi di formazione, informazione e prevenzione. Aderisce alla LILA un Centro Studi che si occupa di ricerca-intervento, anche in campo internazionale. Sono attive collaborazioni con altre associazioni non governative italiane ed europee e con le principali istituzioni nazionali. La LILA collabora con l’Unione Europea e con la International Organization of Migration (IOM). La LILA nazionale ha sviluppato cinque diverse aree tematiche che si occupano di terapia, comunicazione, formazione, ricerca psicosociale e documentazione.

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