Rubriche
11/01/2009

Studi epidemiologici caso-controllo: implicazioni per i soggetti coinvolti e responsabilità dei ricercatori

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Il fatto

Quando si parla di tutela dei soggetti che partecipano a uno studio osservazionale, si considerano principalmente, se non esclusivamente, le questioni legate alla confidenzialità dei dati sensibili raccolti nel corso dello studio. In realtà tutte le ricerche epidemiologiche che comportino un contatto diretto con i soggetti possono avere sulle persone ricadute che spesso non sono considerate nella fase di realizzazione del protocollo e non sono rilevate o adeguatamente gestite nella fase di conduzione della ricerca.
Questi problemi assumono particolare rilevanza negli studi epidemiologici di tipo caso-controllo, in cui anche il solo rispondere a un questionario, per esempio, può attivare dubbi e paure, magari illogici, ma che possono creare disagio o sofferenza. Inoltre, quando si tratta di uno studio ambientale che prevede misure dirette, si possono mettere in luce situazioni anomale (per esempio esposizioni sopra i limiti di legge o comunque preoccupanti). In questo caso, pur non essendoci una responsabilità diretta del ricercatore (non è la conduzione dello studio che ha creato il problema, anche se lo ha fatto emergere), si pone la questione di se e come gestire queste situazioni all’interno di studi che hanno fondamentalmente finalità conoscitive.

Il questito

1 IL RICERCATORE DEVE RISPONDERE ALLE EVENTUALI RICHIESTE DI INFORMAZIONE O RASSICURAZIONE DA PARTE DEI SOGGETTI ARRUOLATI? DEVE FARSI CARICO DELLE INQUIETUDINI CHE SONO STATE PROVOCATE DALLA PARTECIPAZIONE ALLO STUDIO?
2 COSA SI DEVE FARE QUANDO EMERGONO RISULTATI ANOMALI CHE POSSONO SOLLEVARE PREOCCUPAZIONI? DEVONO ESSERE COMUNICATI AI SOGGETTI INTERESSATI? E SE SÌ, IN CHE MODO? I RICERCATORI HANNO ANCHE L’OBBLIGO DI AIUTARE LE PERSONE AD AFFRONTARE OPERATIVAMENTE LE SITUAZIONI PREOCCUPANTI CHE LO STUDIO HA MESSO IN LUCE?

Il commento 1
Il caso SETIL

Vorremmo presentare un caso concreto avvenuto nel corso di SETIL (studio multicentrico caso-controllo sull’eziologia della leucemia, del linfoma non-Hodgkin e del neuroblastoma nel bambino). Questo studio prevedeva che ai genitori dei bambini venisse somministrato un corposo questionario sulle possibili esposizioni a fattori di rischio certi o sospetti per le patologie considerate, e che fossero eseguite una serie di misurazioni dei campi elettromagnetici nelle abitazioni. Data la complessità e la durata delle misure e delle interviste, e trattandosi di patologie oncologiche dell’infanzia, il coinvolgimento delle persone arruolate è stato particolarmente forte e gli intervistatori, che hanno passato parecchio tempo nelle case dei soggetti, hanno avuto un ruolo centrale. Ciò ha favorito la comunicazione aumentando la possibilità dei soggetti partecipanti allo studio di esprimere le inquietudini su possibili rischi per la salute dei bambini; e ha permesso anche di affrontare alcune situazioni anomale che sono state rilevate nel corso delle misurazioni.Il caso che vorremmo presentare ha riguardato la famiglia di un bambino malato. Nel corso delle misurazioni è stato rilevato un campo elettromagnetico particolarmente elevato nell’abitazione. Dato il buon rapporto che si era instaurato con gli intervistatori, i genitori, che erano in ansia non solo per il bambino malato ma anche per il fratellino  appena nato, hanno potuto esprimere queste preoccupazioni e non sono stati lasciati soli ad affrontarle. È stato richiesto l’intervento dell’ARPA della Toscana, che ha confermato il dato rilevato dagli intervistatori e ha individuato la causa di questa anomalia nella cattiva realizzazione dell’impianto elettrico dell’abitazione. In questo caso, data la buona collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti (le persone arruolate nello studio, intervistatori, ricercatori, ARPAT), è stato relativamente facile affrontare la situazione. Ma riflettendo su questa e su altre simili esperienze, sono emersi gli interrogativi più generali che sono stati presentati sopra, e sui quali vorremmo proporre qualche risposta e qualche riflessione. Se nel corso di uno studio che prevede misure dirette emergono risultati anomali – magari addirittura al di fuori dei limiti previsti dalla legislazione vigente – riteniamo che gli interessati debbano essere avvertiti. È fondamentale però farlo con modalità adeguate, evitando di lasciare le persone sole con le paure e le ansie che il dato può suscitare. Questa esperienza che abbiamo presentato mostra che partecipare a uno studio caso-controllo può avere ricadute sul benessere dei soggetti, che possono essere anche positive, ma per questo è necessario essere in grado di “vedere” – innanzitutto – e quindi di affrontare, anche le situazioni problematiche che lo studio può rivelare o creare. Da questo punto di vista è centrale il ruolo degli intervistatori e il loro rapporto con chi ha la responsabilità dello studio, in un sistema di feedback continuo. Inoltre, le eventuali richieste dei casi o dei controlli (o dei loro familiari) dovrebbero essere affrontate in modo condiviso da chi sta svolgendo lo studio, per non presentare difformità che potrebbero creare sfiducia nelle istituzioni che conducono la ricerca. Da questo punto di vista forse è necessaria l’elaborazione di una strategia della comunicazione per gli studi caso-controllo, in particolare riguardo ai rischi ambientali. Infine, ci sembra che sia necessario riflettere su una questione ancora più generale: la definizione di cosa si deve o non si deve fare nei casi problematici deve tenere conto anche di ciò che si aspettano i soggetti arruolati? Va sottolineato, infatti, che la persona che partecipa allo studio può crearsi delle aspettative, contando sul fatto che gli operatori con cui entra in contatto in qualche modo presteranno attenzione alla sua salute e risponderanno ai suoi dubbi (cosa che tra l’altro probabilmente a volte favorisce il reclutamento). Bisogna tenere conto di queste aspettative? E come lo si può fare senza andare contro le finalità fondamentalmente conoscitive dello studio? Ci sembra comunque necessario riflettere su come affrontare questi aspetti, di cui è opportuno tenere conto già nell’ambito del disegno dello studio, e aprire un confronto su come si possa porre la questione degli interessi dei soggetti anche all’interno di studi osservazionali – con finalità fondamentalmente conoscitive – e nell’ambito di una loro corretta conduzione.

Corrispondenza: Lucia Miligi, e-mail: l.miligi@cspo.it

Bibliografia
1. Magnani C, Assennato G, Bisanti L et al. Studio multicentrico SETIL sulla eziologia della leucemia, del linfoma non-Hodgkin e del neuroblastoma in Italia. Disegno e stato di avanzamento. In: Epidemiologia ed Ambiente: dalla identificazione al controllo dei rischi ambientali. Atti della XXV riunione annuale della Associazione Italiana di Epidemiologia, Venezia 2001.

Commento 2
Consenso e coinvolgimento

Il caso e le domande che Lucia Miligi espone con mirabile chiarezza e motivata partecipazione aprono più di uno spiraglio di luce sul rapporto che si instaura fra ricercatori e partecipanti a uno studio o a una sperimentazione e pongono l’accento sulla necessità di chiarire quale e quanta sia, o dovrebbe essere, la responsabilità di un ricercatore nei confronti dei partecipanti a uno studio, nella fattispecie del tipo caso-controllo, ma certamente non limitato a questo. Lucia Miligi afferma giustamente che i responsabili di uno studio devono essere in grado di «vedere» e quindi affrontare anche le situazioni problematiche che lo studio può rivelare o creare. Se ne deduce che del loro coinvolgimento, con il doppio aspetto di obbligo morale e obbligo professionale, devono essere consci già prima dell’inizio dello studio. È ben possibile che i ricercatori non siano in grado di soddisfare tutte le aspettative, dato che queste potrebbero espandersi su campi non di loro competenza, nel qual caso però rimarrebbe pur sempre l’impegno di assistere per quanto possibile i partecipanti a trovare congrue soluzioni. Il consenso informato può realmente assumere un ruolo centrale nei rapporti che si istituiscono fra ricercatore e partecipante allo studio, contribuendo a farlo uscire dall’isolamento e dai timori nei quali rischia di farlo precipitare la percezione d’avere un ruolo puramente passivo. Ciò può accadere ovviamente solo se il consenso viene raggiunto in un incontro ad armi pari. In genere, lo squilibrio di forze fra ricercatore e partecipante è così notevole1 da generare inevitabilmente un dominio quasi assoluto del primo sul secondo. È necessario invece che si arrivi a un equilibrio, in modo che il partecipante comprenda pienamente motivi, rischi e benefici dello studio, e che da parte sua il ricercatore comprenda e accetti il proprio coinvolgimento, che continuerà a poggiare su un ampliamento delle conoscenze, ma che si estenderà ben oltre per rispondere ad aspettative, reali bisogni e ansie del partecipante, senza per questo mettersi in contrasto con le finalità conoscitive dello studio. Un tale atteggiamento è in realtà il solo in armonia con il carattere particolare della medicina e della scienza biomedica, che da un lato mira, come ogni altra scienza, all’espansione e approfondimento delle conoscenze, e dall’altro è rivolta all’assistenza e alla protezione dell’individuo, e che per questa sua duplice natura è quindi una scienza atipica.2 Il ricercatore non dovrà quindi limitarsi a verificare «come» farà il suo studio, curandone al massimo, com’è giusto, il rigore metodologico, ma anche «perché » lo fa, sforzandosi anche in tal modo di anticiparne sia le possibili conseguenze, sia l’estensione del suo possibile coinvolgimento, in parallelo e oltre l’anelito ad ampliare le conoscenze.

Lorenzo Tomatis
e-mail: ltomatis@hotmail.com

Bibliografia
1. Wade DT. Ethics, audit and research: all shades of grey. BMJ 2005; 330: 468-71.
2. Lauriola P, Cislaghi C, Botti C, Magnani C, Satolli R, Vineis P. Note preliminari per la definizione di alcune linee guida di etica
in epidemiologia ambientale. Epid Prev 1994; 18 :184-87.

Il commento 3
Alcune riflessioni sulla partecipazione dei soggetti e le responsabilità dei ricercatori

La procedura del consenso informato non dovrebbe prevedere unicamente contenuti informativi standard: al di là dell’autorizzazione, è richiesta anche la consapevolezza del potenziale partecipante. Informazioni, oltre a quelle previste dal protocollo di ricerca, potrebbero essere necessarie qualora servissero a portarlo, senza fraintendimenti, a un giudizio autonomo riguardo al suo coinvolgimento nello studio. Il soggetto, prima e durante la sua partecipazione, nel caso esprimesse dubbi sui vari aspetti dello studio, dovrebbe essere rassicurato in modo puntuale e veritiero, ma inquietudini ascrivibili all’atmosfera d’esame potrebbero, per quanto possibile, essere risolte facendolo sentire parte attiva nel raggiungimento degli obiettivi conoscitivi dello studio. Secondo Ramsey, il soggetto di ricerca dovrebbe essere un «compagno d’avventura» del ricercatore e ciò sembrerebbe particolarmente vero nel caso di uno studio osservazionale. Problemi o risultati anomali rilevanti per il soggetto di ricerca, messi in luce durante la raccolta dati o sollevati dalle conclusioni dello studio, potrebbero essere definiti per quanto possibile prima dello studio, sentendo il parere del comitato etico e se necessario della comunità. La loro identificazione si baserebbe sulla rilevanza clinica, sul principio di precauzione, sulla possibilità d’intervento e forse sulla percezione del rischio nella comunità. Il rischio dovrebbe essere comunicato al soggetto di ricerca col tatto dovuto, fornendogli la giusta chiave interpretativa e suggerendo le azioni da intraprendere, secondo una procedura prevista nel protocollo di ricerca. Su alcuni o tutti i rischi evidenziabili comunque, il soggetto di ricerca potrebbe rifiutare di essere informato. Il ricercatore potrebbe verificare la disponibilità della comunità, se prevedesse l’intervento di quest’ultima. Se una soluzione non fosse alla portata del soggetto di ricerca o della sua comunità, dovrebbe essere a carico dello studio. Episodi rilevati nell’ambito dello studio, anche se non direttamente connessi, che comportassero grave pericolo per il soggetto di ricerca, solitamente appartenente a comunità molto povere, non dovrebbero essere ignorati. L’entità dell’aiuto fornito dallo studio potrebbe essere preventivamente concordata oltre che con i rappresentanti della comunità, anche col comitato etico. Il conflitto, qui, è tra l’obbligo di soccorrere per quanto possibile i soggetti e la coercizione psicologica alla partecipazione che la speranza d’aiuto potrebbe esercitare.

Francesco Rosmini
Istituto superiore di sanità
e-mail: rosmini@iss.it

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