Rubriche
04/06/2013

Politica e cambiamento climatico

Le ricerche scientifiche

Fra gli scienziati c’è ormai un generale consenso sull’urgenza di intervenire sulle cause del cambiamento climatico e di mettere in atto strategie di adattamento per evitare le conseguenze più drammatiche.

Un ricercatore dell’Imperial College, Apostolos Voulgarakis, ha recentemente mostrato in Nature Climate Change1 che l’atmosfera è estremamente sensibile ai cambiamenti prodotti dall’uomo, e che le conseguenze di tali cambiamenti possono essere imprevedibili e a volte anche peggiori delle previsioni. L’articolo è incentrato in particolare sugli effetti che alcuni gas, detti short-lived climate pollutants (SLCP), hanno sulla troposfera (lo strato di 12-20 chilometri dell’atmosfera direttamente a contatto con la Terra). Questi gas, tra cui l’ozono e il metano, sono responsabili di gran parte del cambiamento climatico, e i loro effetti durano da pochi giorni fino a 15 anni; mentre altri gas, come l’anidride carbonica e i CFC, hanno un’emivita di decadi o secoli. Secondo Voulgarakis, agire sugli SLCP non risolve il problema del cambiamento climatico sul lungo periodo, ma può almeno attenuarlo e consente di guadagnare tempo per elaborare soluzioni più radicali e durature.

In un recente articolo, Anthony McMichael, l’epidemiologo australiano che per primo ha introdotto il tema degli effetti sulla salute del cambiamento climatico, riassume le prove accumulate negli ultimi anni:2 è ormai chiaro che gli effetti non sono solo quelli abitualmente identificati, ma vi sono anche numerosi effetti indiretti, come la riduzione della produttività lavorativa e l’interferenza con le attività della vita quotidiana a causa del mutamento della temperatura, ma anche le malattie mentali. Fra queste ultime si riconoscono meccanismi causali disparati, dalla sindrome post traumatica in seguito a eventi catastrofici fino alla depressione conseguente alla migrazione forzata, alla siccità e alla perdita di produttività dell’agricoltura.

La ricerca scientifica suggerisce che entro l’anno 2100 la temperatura globale potrebbe aumentare di parecchi gradi centigradi se non si dà avvio a una riduzione drastica e immediata dei gas serra. Come è noto, un aumento superiore a 4 gradi può rendere la Terra inabitabile per milioni di persone. Secondo l’articolo di McMichael, «è imperativo che identifichiamo azioni e strategie efficaci nel ridurre queste minacce alla salute e al benessere, che sono sempre più probabili. [...] Queste strategie includono uno spostamento urgente nella produzione di energia dai carburanti fossili alle sorgenti rinnovabili, una pianificazione degli edifici e delle città volta alla conservazione dell’energia, e una riduzione nello spreco di energia nei trasporti, nel riscaldamento delle case e in agricoltura. Comporta anche un mutamento nella produzione agricola e nel sistema di produzione alimentare, in particolare nella produzione di carne».

Le risposte della politica

La lunga citazione sopra riportata non costituisce certo una novità per i lettori di E&P, ma non trova nessuna eco nei programmi dei politici. Obama è probabilmente l’unico politico che si è espresso in modo articolato a favore della mitigazione del cambiamento climatico e del rilancio economico attraverso le energie rinnovabili (si veda il suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2013).3 In Italia nessun partito politico (se non alcune esigue minoranze) menziona il cambiamento climatico nei suoi programmi. Ma lo spettacolo della politica italiana va ben al di là dell’assenza di un programma su un tema così urgente e al tempo stesso così complesso. Nel momento in cui scrivo, i partiti italiani non sono riusciti (a 55 giorni dalle elezioni) non solo a formare un governo, ma neppure a trovare un’alternativa alla rielezione di un Presidente della Repubblica quasi novantenne, nel nome di una miope e gerontocratica conservazione. Nel momento in cui sarebbe necessario liberare nuove energie creative e produttive per garantire un futuro lavorativo alle generazioni presenti e future e, soprattutto, per garantire modalità produttive e di consumo che siano compatibili con la preservazione del Pianeta, la classe politica sta completamente fallendo, stretta tra due conservatorismi, quello berlusconiano che si illude di proseguire con l’illegalità come motore dello sviluppo, e quello del centrosinistra dalemiano che mette in atto miopi e incomprensibili tattiche di eterna conquista del centro.

Poiché Epidemiologia&Prevenzione è una rivista scientifica, non procedo oltre con le mie (strettamente personali) considerazioni politiche, ma quello che emerge drammaticamente è che da questa classe politica non possiamo aspettarci molto, sia in generale, sia su temi come il cambiamento climatico che richiedono coraggio, lungimiranza e soprattutto disponibilità a studiare e conoscere. Forse quest’ultimo è l’aspetto della politica italiana che colpisce maggiormente (a differenza di quella inglese, che ha molti difetti, ma non questo): l’assoluta prepondeanza della tattica e del linguaggio “interno” rispetto alla conoscenza dei fatti e a un’apertura al mondo della concretezza progettuale.

Bibliografia

  1. Shindell D, Faluvegi G, Nazarenko L et al. Attribution of historical ozone forcing to anthropogenic emissions. Nature Climate Change 2013 [published on-line].
  2. Kjellstrom T, McMichael AJ. Climate Change threats to population health and well-being: the imperative of protective solutions that will last. Glob Heawlth Action 2013;6:1-9.
  3. http://www.bbc.co.uk/news/world-us-canada-21437788
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