L’impatto del COVID-19 sull’utilizzo dei servizi di salute mentale: analisi di dati sanitari correnti
Introduzione
L’Italia è stata uno dei Paesi più colpiti dalla rapida diffusione del virus SARS-CoV-2. Il contesto pandemico che ne è seguito ha determinato un significativo livello di stress sia tra la popolazione generale sia tra gli utenti dei servizi di salute mentale. Questi ultimi rappresentano una popolazione fortemente vulnerabile a elevato rischio di peggioramento del quadro preesistente alla pandemia.1 Conseguentemente, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato che i servizi di salute mentale dovrebbero essere considerati tra i servizi sanitari essenziali da mantenere attivi durante l’emergenza pandemica.2 Tuttavia, in Italia come in molti altri Paesi, i servizi di salute mentale hanno subito le conseguenze delle restrizioni con la chiusura dei servizi di assistenza diurna e riduzione di tutte le attività che riguardavano la riabilitazione.3
In questo contesto, essendo evidente come il mero confronto tra 2019 e 2020 non sia sufficiente a descrivere i cambiamenti nell’uso dei servizi legati al periodo pandemico, questo contributo ha l’obiettivo di proporre un possibile approccio metodologico all’analisi di un problema complesso attraverso un esempio di studio in un Dipartimento di salute mentale (DSM) italiano durante la pandemia da COVID-19.
Caso di studio: il DSM di Verona
I dati descritti sono stati analizzati utilizzando due strumenti validati e affidabili:
- Il Registro psichiatrico dei casi (RPC) del DSM della Provincia di Verona, che registra regolarmente le caratteristiche sociodemografiche e cliniche e l’utilizzazione dei servizi per tutti i pazienti che richiedono cure psichiatriche e/o psicologiche.4 Il DSM fornisce assistenza psichiatrica a una popolazione adulta di circa 930.000 abitanti; comprende cinque reparti di degenza psichiatrica per pazienti acuti situati in cinque ospedali generali e una rete di centri di salute mentale (CSM) che fornisce assistenza ambulatoriale e comunitaria;
- il “Covid Stringency Index” (CSI),5 un indicatore giornaliero ideato per stimare, ogni giorno dell’anno, il livello di restrizioni legate alle misure di contenimento della pandemia nei vari stati del mondo, sulla base delle seguenti nove variabili:
- chiusure scolastiche;
- chiusura dei posti di lavoro;
- annullamento di eventi pubblici;
- restrizioni alle riunioni pubbliche;
- chiusura dei trasporti pubblici;
- richiesta di rimanere a casa;
- campagne di informazione pubblica;
- restrizioni ai movimenti interni;
- controlli sui viaggi internazionali.
Il CSI medio relativo all’Italia è stato calcolato in modo da dividere le settimane dell’anno 2020 (e dell’anno 2019, per confronto) in tre periodi: restrizioni ridotte o assenti (CSI medio inferiore a 0,7), restrizioni intermedie (CSI medio tra 0,7 e 0,8), lockdown (CSI medio superiore a 0,8).
Per la creazione del dataset, i contatti di ciascun paziente sono stati raggruppati per tipologia di servizio in 5 componenti:
- assistenza ambulatoriale;
- interventi sociali e di supporto;
- interventi riabilitativi;
- riunioni multiprofessionali;
- assistenza diurna.
Queste rappresentano le componenti funzionali (ma non organizzative) del DSM e forniscono anche un logico insieme di categorie rispetto alle quali valutare il cambiamento nell’utilizzo dei servizi di salute mentale di comunità durante la pandemia da COVID-19.
Applicazione di una metodologia statistica complessa
Seguendo le cinque componenti sopra descritte, è stato inizialmente calcolato:
- il numero di contatti, globale e per ogni tipologia, per gli anni 2019 e 2020;
- il numero di persone con almeno un contatto ogni anno, sia a livello globale sia per ciascun gruppo di variabili sociodemografiche (età, genere, stato civile, abitazione, cittadinanza) e clinico-diagnostiche (psicosi, disturbi affettivi, nevrosi, disturbi somatoformi eccetera) tra l’anno 2019 e l’anno di inizio pandemia (2020).
Nel caso sia del numero dei contatti sia del numero delle persone, l’uguaglianza statistica tra il 2019 e il 2020 è stata verificata, in tutti i casi, attraverso il test di varianza per variabili con distribuzione di Poisson.6
Successivamente, sono stati scelti un modello di regressione binomiale negativa, per tenere conto sia della natura discreta dell’esito sia della presenza di sovradispersione, e un approccio di “differenza nelle differenze”,7 per poter estrapolare i dati relativi solo all’effetto delle restrizioni dovute alla pandemia di SARS-CoV-2. Il dataset era composto dalle settimane degli anni 2019 e 2020, considerando una lunghezza di 8 giorni per l’ultima settimana del 2019 e di 9 giorni per l’ultima dell’anno bisestile 2020, in modo che nessun giorno dell’anno venisse escluso. La differenza del numero di contatti tra il 2019 e il 2020 nelle settimane di lockdown (â1) e restrizioni intermedie (â2) è stata confrontata con la stessa differenza trai due anni nelle settimane di nessuna o ridotte restrizioni (â3); tale differenza è stata interpretata come effetto del lockdown (âlockdown = â1-â3) o delle restrizioni intermedie (ârestrizioni intermedie = â2-â3). Le due interazioni tra la variabile anno e gli indicatori del periodo dell’anno misurano gli effetti di interesse. Le variabili di esito sono, quindi, il numero di contatti a settimana: i “trattati” corrispondono alle settimane del 2020 e i “controlli” alle settimane del 2019. I “trattamenti” sono due: il lockdown e le restrizioni intermedie. La funzione dei “controlli” è quella di stimare il trend controfattuale dei trattati: l’uso delle osservazioni relative al 2019 è servita a stimare cosa sarebbe successo nel 2020 in assenza di restrizioni. Inoltre, sono state eseguite sia una regressione globale su tutti i contatti sia regressioni separate per ciascun tipo di servizio. Tra queste ultime, è stato eseguito un test globale sull’uguaglianza dei due coefficienti relativi agli effetti delle restrizioni, al fine di valutare se esistessero evidenze di differenze sistematiche tra i tipi di servizio. Tutte le analisi sono state eseguite utilizzando Stata 17.8
Confronto tra 2019 e 2020 ed effetto delle restrizioni e lockdown
Nel 2020, è stata riscontrata una riduzione globale del numero di pazienti che sono entrati in contatto con il DSM (-33,9%) rispetto al 2019. Ciò è stato probabilmente causato dalla limitata accessibilità dei servizi sanitari prodotta dalle norme nazionali e regionali, assieme ai cambiamenti organizzativi avvenuti nelle strutture di salute mentale e al timore dei singoli individui di essere contagiati dal virus.
Stratificando la popolazione per caratteristiche cliniche e sociodemografiche, la riduzione è rimasta statisticamente significativa per ogni sottogruppo considerato, a eccezione dei pazienti con disturbi psicotici (ICD-10 F20-29), di età compresa tra i 18 e i 24 anni e di cittadinanza non italiana.
Questi dati potrebbero essere interpretati come il risultato di una maggiore gravità clinica media all’interno di questi sottogruppi, che potrebbe aver incoraggiato sia i pazienti sia i professionisti della salute mentale a mantenere i contatti di cura abituali anche nei periodi di restrizioni e di lockdown. È comunque importante sottolineare che la mancanza di significatività statistica nelle piccole riduzioni registrate all’interno di queste categorie è dovuta anche alla dimensione campionaria limitata.
Confrontando gli andamenti delle diverse tipologie di contatti nel 2020, è stato riscontrato che il calo più rilevante ha riguardato gli interventi riabilitativi e le attività di assistenza diurna, confermando quanto già emerso dalla letteratura.9
L’effetto del lockdown stimato dalla regressione globale indica una riduzione dei contatti di circa 1/3 (figura 1): ciò significa che il periodo più difficile della pandemia ha limitato gravemente l’accesso all’assistenza sanitaria per i pazienti dei servizi di salute mentale. L’unica eccezione a questa tendenza sono stati gli interventi sociali e di supporto che hanno mostrato un effetto stimato di aumento (benché non statisticamente significativo) sia durante i periodi di lockdown sia quelli di restrizioni intermedie. Una possibile ragione di questo risultato potrebbe essere che, con il progredire della pandemia, ci sia stato un aumento delle problematiche sociali e amministrative nella popolazione, in particolare nella seconda parte del 2020 (periodo delle restrizioni intermedie).
Conclusioni
I risultati descrivono la tendenza nell’utilizzo del DSM durante la pandemia da COVID-19 in un lungo periodo di tempo, grazie a un set di dati stabile e affidabile. Nonostante rimanga problematico l’accesso ai servizi di salute mentale durante una pandemia, le nostre analisi dimostrano che il DSM ha supportato in modo efficiente e selettivo i pazienti a più alto rischio, mantenendo per questi una continuità di cura senza penalizzare il ricorso agli interventi sociali e di supporto. Sono però necessari ulteriori studi su questo argomento, utili a confrontare i dati di accesso sia nei DSM sia nei servizi di emergenza, che potrebbero riflettere meglio l’onere della pandemia da COVID-19 sulla popolazione generale e su coloro che hanno un bisogno di salute mentale. L’approccio metodologico per questo tipo di analisi deve necessariamente tenere conto della complessità del fenomeno che si intende studiare.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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