Genoma e microbioma: ologenoma. E’ l’epigenetica che li unisce?
Cominciamo con una domanda: il chilo e mezzo circa di microrganismi che popolano le nostre mucose – di fatto un secondo cervello per dimensioni (e non solo...) – è il primo ambiente “esterno” con cui veniamo a contatto o può essere considerato parte integrante di noi? Ora che cominciamo a masticare un poco di epigenetica, la questione si fa molto interessante, anche a prescindere dalle possibili interpretazioni filosofiche.
Certo è che il microbiota (così si chiama il chilo e mezzo dei nostri piccolissimi quasi sempre amici) ci supera di 10 volte per numero di cellule e di 100 per numero di geni, si instaura alla nostra nascita e ci accompagna pressoché immutato fino alla morte, con un sottogruppo di popolazioni microbiche che addirittura potrebbero fungere da nostre impronte digitali. Da non trascurare, inoltre, che il microbiota umano è stato stretto compagno della nostra specie negli ultimi quattrocento milioni di anni e ci siamo “evoluti” insieme. Lo stesso vale anche per tutte le altre specie animali e vegetali.
Al microbiota, l’insieme dei microrganismi, corrisponde il microbioma, l’insieme dei geni dei microrganismi. Allo studio del microbioma umano è stato dedicato un progetto finanziato dal National Institute of Health (NIH) degli Stati Uniti, “The Human Microbiome Project” (www.hmpdacc.org), che ne ha avviato il sequenziamento e promosso lo sviluppo di tecnologie per analisi computazionali e di studi sull’interazione tra le specie batteriche e la salute umana.
Già da tempo il microbiota intestinale ha catturato l’attenzione di clinici e ricercatori, non necessariamente microbiologi, infettivologi o gastroenterologi, per il ruolo che si è scoperto che ha sul sistema immunitario, su quello endocrino e nella “comunicazione” bidirezionale con il cervello.1 Sappiamo, per esempio, che il cortisolo, l’adrenalina e la noradrenalina, neuromodulatori rilasciati in condizioni di stress, rendono la barriera intestinale più permeabile a ceppi patogeni presenti nella mucosa, favorendone il passaggio nell’intestino. La conseguente alterazione del microbiota intestinale causa a sua volta il rilascio di citochine infiammatorie che, attraverso il nervo vago e il sangue, arrivano al cervello, perpetuando il loop dello stress. Leggete l’articolo di Elaine Hsiao2 uscito su Cell lo scorso dicembre (i più pigri possono vedere la sua conferenza su youtube http://www.youtube.com/watch?v=FWT_BLVOASI) e vi farete una buona idea di come il microbiota regoli il cervello (e viceversa) e delle potenzialità terapeutiche legate all’eventuale modificazione della “flora intestinale”.
Ma come si possono studiare i meccanismi molecolari che regolano la comunicazione tra il microbiota intestinale e il suo ospite, data la variabilità microbica e la complessità genetica a cui si è accennato? Un metodo è quello dei modelli murini germ-free: l’ospite (in questo caso è un topolino, ma va bene lo stesso) viene colonizzato con ceppi di batteri noti; con un approccio di tipo caso-controllo si vanno a vedere, per esempio, le differenze tra i topi colonizzati e quelli germ-free dei profili di espressione di microRNA3 (vedi definizione in basso), regolatori per eccellenza dell’omeostasi cellulare. Andrea Masotti, del Laboratorio di espressione genica-microarrays dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ha fatto una bella revisione di questi esperimenti,4 proponendo anche nuovi approcci sperimentali per studiare l’interazione tra microRNA e microbiota intestinale. C’è da dire che se il passaggio dalla ricerca di base alla clinica è complesso, quello che riguarda l’implementazione di queste conoscenze in studi epidemiologici su ampie popolazioni fa tremare le vene ai polsi. Una buona notizia è che i microRNA, a differenza degli RNA messaggeri, sono piuttosto stabili e la loro espressione può essere valutata in diversi campioni biologici, comprese le feci. Molto è stato fatto naturalmente nell’ambito della patologia gastroenterologica e, soprattutto per il cancro del colon,5 esiste un’ampia letteratura in cui si evidenzia come profili alterati di espressione dei microRNA possano avere un valore sia diagnostico sia prognostico.6
Per tornare alla domanda iniziale, la storia della biologia ci mostra quanto sia entusiasmante la sfida nel definire il ruolo degli organismi simbionti nel disegnare la “fitness” e, in fondo, il “destino” dell’ospite e il loro contributo, quindi, alla filogenesi e all’ontogenesi della specie. Brucker e Bordenstein7 usano il termine “ologenoma” per riunire la genetica dell’ospite – il genoma – e quella dei microrganismi simbionti – il microbioma. Noi conosciamo un altro termine, epigenoma, che già da sé comprenderebbe il concetto di interazione genoma-ambiente-microbioma. All’epigenetica, quindi, la sfida di sciogliere quella controversia che nel mondo della biologia ruota attorno al concetto stesso di “ologenoma”, visto che molti biologi considerano il microbiota “estrinseco” all’ospite. Se l’epigenetica arrivasse a evidenziare la linea di un continuum tra genoma e microbioma, verrebbe toccata una nuova frontiera della conoscenza e il suo impatto coinvolgerebbe le scienze della vita nel loro insieme.
A questo punto, per allentare lo stress, una bella tazza di yogurt (con probiotici) per il nostro gut e una buona seduta di meditazione per il nostro brain. Si parleranno più facilmente…
Bibliografia
- Stilling RM, Dinan TG, Cryan JF. Microbial genes, brain & behaviour – epigenetic regulation of the gut-brain axis. Genes, Brain and Behavior 2014;13(1):69-86.
- Hsiao H, McBride SW et al. Microbiota modulate behavioral and physiological abnormalities associated with neurodevelopmental disorders. Cell 2013; 155(7):1451-63.
- Carthew RW, Sontheimer EJ. Origins and Mechanisms of miRNAs and siRNAs. Cell 2009;136(4):642-55.
- Masotti A. Interplays between gut microbiota and gene expression regulation by miRNAs. Front Cell Infect Microbiol 2012;2:137.
- Yang T, owen JL, Lightfoot YL, Kladde MP, Mohamadzadeh M. Microbiota impact on the epigenetic regulation of colorectal cancer. Trends Mol Med 2013;19(12):714-25.
- Mazeh H, Mizrahi I, Ilyayev N et al. The Diagnostic and Prognostic Role of microRNA in Colorectal Cancer – a Comprehensive review. J Cancer 2013;4(3):281-95.
- Brucker RM, Bordenstein SR. The capacious hologenome. Zoology (Jena) 2013;116(5):260-1.
I microRNA – miRNA per gli amici – sono piccole sequenze di RNA a lungo considerate semplici prodotti della degradazione di filamenti di RNA messaggeri. Una ventina di anni fa si è scoperto, nel solito verme C. elegans, che queste piccole sequenze erano coinvolte, invece, nella regolazione dello sviluppo larvale: fissandosi proprio a RNA messaggeri, ne inibivano la traduzione in proteine e quindi modulavano l’espressione dei corrispondenti geni target. I microRNA sono stati poi individuati anche nei vertebrati e si è capito che sono molecole di origine endogena, codificate a loro volta da un migliaio di geni altamente conservati durante l’evoluzione. Tali geni non servono a produrre proteine, ma a generare sequenze di 21-22 nucleotidi (i microRNA appunto), ognuna delle quali regola a sua volta la traduzione o la stabilità di decine o centinaia di RNA messaggeri di geni coinvolti nel controllo dello sviluppo, della proliferazione e della apoptosi cellulare, nonché della risposta allo stress (immunomodulazione e infiammazione). I microRNA agiscono legandosi agli RNA messaggeri target per ridurne o inibirne la traduzione in modo da ottenere una down-regolazione genica post-trascrizionale. I microRNA agiscono anche a livello della cromatina, fissandosi direttamente sul DNA, e ne determinano il silenziamento mediante, per esempio, i meccanismi dell’imprinting e dell’inattivazione del cromosoma X, fondamentali nell’embriogenesi. I microRNA, quindi, hanno un ruolo cruciale nel destino delle cellule, perché ne possono cambiare le funzioni, regolare la specializzazione e governare la proliferazione: gestiscono, in sintesi, l’omeostasi cellulare. |