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19/12/2025

Cambiamento climatico, stress da calore e salute lavorativa: riflessioni in ottica di genere

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Il clima e i pattern meteorologici stanno cambiando e continueranno a farlo in maniera sempre più evidente se non saranno messe in atto misure di mitigazione adeguate. Già oggi stiamo assistendo a trasformazioni profonde dell’ambiente a livello globale, con effetti concreti sugli ecosistemi, sulla salute delle persone e sulle condizioni di lavoro.1 Questi impatti non si distribuiscono in modo uniforme: le popolazioni più vulnerabili, spesso già esposte a difficoltà economiche e sociali, tendono a subire in misura maggiore le conseguenze dei cambiamenti climatici, ampliando così le disuguaglianze già esistenti sia all’interno dei singoli Paesi sia tra Nord e Sud del Mondo.1 L’aumento delle temperature medie; la crescente frequenza e intensità delle ondate di calore e di altri eventi estremi; l’amplificazione di fenomeni di accumulo di inquinanti, in particolare quelli fotochimici in estate; le variazioni nella distribuzione degli agenti patogeni ambientali rappresentano solo alcune delle diverse minacce per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. L’aumento delle temperature e delle ondate di calore rappresenta il primo e forse più evidente fattore di rischio. Oltre ai colpi di calore, l’innalzamento delle temperature può causare anche disturbi più lievi, ma comunque significativi, come esaurimento da calore, cefalea, nausea, crampi o patologie renali. I rischi sono particolarmente elevati per chi svolge attività all’aperto, come in agricoltura, edilizia o nei lavori stradali, ma anche chi lavora in ambienti chiusi può essere esposto, soprattutto in presenza di scarsa ventilazione, surriscaldamento o contaminanti indoor. Queste condizioni aumentano il rischio di incidenti, errori e malesseri, con impatti più gravi nei contesti sociali e lavorativi più vulnerabili. 

Donne, uomini e malattie di calore sul lavoro: cosa sappiamo?

La risposta di uomini e donne ai rischi ambientali, inclusi quelli legati alle ondate di calore, non è la medesima.2 Differenze di sesso e di genere legate ai ruoli socioculturali influenzano il percorso “esposizione a uno stressor ambientale-esito sanitario”. Il genere influisce sulla probabilità di essere esposti a un determinato rischio ambientale, dipendente anche dal settore lavorativo e dalla mansione svolta. Limitandoci ai Paesi OCSE, le donne sono più presenti in settori economici come sanità, istruzione e servizi alla persona, mentre gli uomini prevalgono in edilizia, trasporti, industria e agricoltura. Gli uomini svolgono in genere lavori fisicamente più intensi, mentre il lavoro domestico e di cura, spesso non retribuito e non riconosciuto, grava soprattutto sulle donne. Inoltre, la scarsa presenza femminile nei livelli più elevati della stessa occupazione e nei luoghi decisionali influenza l’attenzione che viene data ai temi che riguardano le donne. Come sottolineato dalla Lancet Commission Women, power and cancer a proposito del cancro – ma che è possibile estendere ad altri temi di salute pubblica –, chi detiene il potere decide cosa sia prioritario e cosa debba essere finanziato e studiato.3 Ciò richiama la necessità di un empowerment femminile nelle politiche di salute occupazionale, affinché le priorità delle donne siano riconosciute e integrate fin dalla fase di progettazione delle misure di prevenzione. Il sesso biologico influisce sulla risposta fisiologica al calore, determinando variazioni nella sudorazione, vasodilatazione e termoregolazione, a loro volta legate a fattori ormonali, metabolici e corporei.4-6 La gravidanza accresce la vulnerabilità delle donne al caldo per le modificazioni fisiologiche che compromettono la termoregolazione e per l’aumento del metabolismo fetale e materno. Va considerato che, in Italia, per il D.Lgs 151/2001, si deve valutare se il lavoro svolto dalla donna in gravidanza sia da considerare faticoso, pericoloso o insalubre e, se si conclude che la mansione sia rischiosa, il datore di lavoro può assegnare alla lavoratrice altre mansioni o garantire misure di protezione. Nei Paesi a basso e medio reddito, questo rischio è amplificato da fattori sociali: molte donne, pur di non perdere reddito, continuano a svolgere lavori domestici e agricoli anche in gravidanza, esponendosi a temperature elevate e, spesso, oltre i limiti di tolleranza al calore.7 A tutto ciò si aggiunge che le differenze nella sintomatologia di alcune patologie portano a una sottostima diagnostica a svantaggio delle donne.8 
Sul rischio di malattie da calore in uomini e donne si è concentrata la revisione sistematica di Gifford e colleghi.9 Partendo dall’ipotesi che le donne fossero più vulnerabili, sulla base delle differenze fisiologiche nella regolazione della temperatura corporea, il lavoro mostra, invece, che sono gli uomini a essere molto più colpiti da malattie da calore con un rischio pari al doppio rispetto a quello delle donne. Questo in particolare nei contesti lavorativi dove il rischio per gli uomini risulta quasi sei volte superiore. Il divario uomini/donne sarebbe dovuto non tanto a fattori fisiologici, quanto piuttosto a dinamiche comportamentali e ambientali e alla maggiore presenza maschile in lavori fisicamente impegnativi svolti in ambienti molto esposti al caldo. I risultati sono congruenti con quelli ottenuti dalla metanalisi condotta da Binazzi et al.10 incentrata sull’ambiente lavorativo. Oltre a mettere in evidenza una chiara associazione tra l’esposizione al calore e l’aumento del rischio di infortuni sul lavoro, lo studio rileva un incremento del rischio tra i lavoratori di sesso maschile impiegati in settori a elevato rischio termico, come edilizia, pesca, estrazione e agricoltura, e caratterizzati da sforzi fisici intensi.10 Recentemente, uno studio ha analizzato l’impatto dello stress termico ambientale sulla salute dei lavoratori e sui costi sociali ed economici, riportando una diminuzione di circa il 6,5% della produttività in lavoratori impiegati in attività fisiche che implicano  tassi metabolici elevati.11 
Studi più focalizzati in determinati settori occupazionali consentono, però, di osservare aspetti particolarmente rilevanti in un’ottica di genere. In una revisione sistematica condotta nel 2020 nel contesto delle forze armate, emerge un quadro differenziato per genere nelle diverse malattie da calore.12 Mentre l’incidenza del colpo di calore risulta leggermente più alta tra gli uomini, le donne presentano una maggiore frequenza di altri disturbi da calore, come l’esaurimento da calore, il colpo di calore da sforzo e una maggiore intolleranza al calore rispetto agli uomini. Queste differenze appaiono influenzate da fattori fisiologici e di performance fisica, tra cui indice di massa corporea e forma fisica.12 Spostandoci al settore agricolo, la revisione di El Khayat et al.13 si concentra, oltre che sui disturbi legati al calore, sulle malattie renali, mettendo in luce una serie di fattori di rischio. Tra questi, la disidratazione, l’elevato stress termico, l’uso di abiti inadeguati, la retribuzione a cottimo, i carichi di lavoro eccessivi, la scarsa autonomia decisionale e l’accesso limitato alle cure sanitarie. Il genere femminile e lo status di migranti emergono come elementi di vulnerabilità trasversale. Le donne, infatti, riportano più frequentemente sintomi legati al caldo come nausea, svenimenti, mal di testa e affaticamento. Tra i comportamenti a rischio, emerge la riduzione volontaria dell’assunzione di liquidi da parte di molte lavoratrici, spesso per evitare di utilizzare servizi igienici inadeguati o per timore di molestie, con la conseguenza di rischi di disidratazione e aggravamento degli effetti dello stress termico.13 Per quanto riguarda il lavoro in contesti indoor, uno studio condotto nel settore manifatturiero sloveno fa emergere altri fattori che hanno un impatto sui rischi occupazionali per le donne, in particolare il doppio ruolo delle lavoratrici, ovvero combinazione di lavoro professionale e domestico.14 Attraverso attività di monitoraggio ambientale e la somministrazione di questionari al personale dipendente, la ricerca ha mostrato come nei mesi estivi la temperatura interna di alcuni reparti superasse frequentemente i limiti di sicurezza a causa di una scarsa ventilazione degli ambienti di lavoro e al calore generato dai macchinari stessi, con conseguenti episodi di stress termico tra il personale addetto sin dalle prime ore del mattino. In particolare, è emerso come siano le donne a manifestare con maggiore ricorrenza episodi di stanchezza, mal di testa, confusione mentale e vertigini rispetto ai colleghi uomini. La maggiore vulnerabilità delle donne è stata messa in relazione non solo a eventuali fattori fisiologici di suscettibilità al calore, ma anche a condizionamenti sociali che influiscono profondamente sulla possibilità di riposo e recupero fisico dopo il lavoro. Infatti, le donne, oltre a svolgere il proprio impiego retribuito, continuano a farsi carico della maggior parte del lavoro domestico e di cura, come cucinare, accudire i figli o assistere familiari, il tutto sempre in situazioni di stress termico. Risulta interessante che, tra le raccomandazioni avanzate dallo studio, oltre ad interventi ambientali mirati – come il miglioramento della ventilazione, l’introduzione di zone d’ombra, la pianificazione di pause regolari, una gestione più attenta dei turni – ci siano anche indicazioni sull’inclusione della dimensione di genere nelle valutazioni del rischio da caldo, oltre a iniziative di sensibilizzazione a una maggior condivisione dei compiti domestici.

Malattie da calore e percezione del rischio

Un altro aspetto spesso trascurato nel dibattito sulla salute nei luoghi di lavoro in un’ottica di genere è la percezione del rischio. Uno studio condotto nella Provincia di Trento ha analizzato la percezione del rischio legato alle malattie da calore nei luoghi di lavoro.15 L’indagine, che ha coinvolto 258 rappresentanti per la salute e la sicurezza, si è focalizzata su conoscenze, percezione del rischio e misure adottate. Oltre a mettere in evidenza la diffusione di conoscenze su sintomi e strategie preventive generali e la scarsa consapevolezza del colpo di calore da sforzo, è emerso che gli uomini, più presenti nei ruoli di rappresentanti per la salute e sicurezza, tendono a sottovalutare il rischio termico, a differenza delle donne, che invece mostrano maggiore sensibilità e propensione a comportamenti protettivi. Lo studio conferma che la consapevolezza e l’applicazione di misure contro lo stress da caldo restano carenti, condizionate da fattori come il livello di istruzione, la formazione ricevuta e il genere stesso. Queste evidenze trovano riscontro nello studio pilota nazionale di Bonafede et al. condotto in Italia nel 2020,16 dal quale emerge come le lavoratrici manifestino una percezione più alta del rischio termico rispetto ai loro colleghi uomini, mostrando maggiore attenzione verso i sintomi del caldo e una maggiore propensione ad adottare comportamenti di prevenzione, come l’idratazione regolare, l’utilizzo di pause e la ricerca di zone d’ombra. Al contrario, gli uomini, spesso maggiormente investiti di ruoli di responsabilità per la salute e sicurezza, tendono a sottovalutare il rischio e mostrano una minore adesione alle misure preventive. Inoltre, le donne segnalano un senso di minore tutela e una maggiore insoddisfazione riguardo alle politiche di prevenzione e alla formazione ricevuta, soprattutto nei contesti lavorativi a prevalenza maschile. Questa differenza di percezione e fiducia nella protezione aziendale indica la necessità di integrare esplicitamente la dimensione di genere nei programmi formativi e nelle strategie di gestione del rischio da caldo, al fine di colmare lacune informative e migliorare l’efficacia delle misure di tutela. Infine, lo studio di Bonafede et al.16 sottolinea che una maggiore consapevolezza del rischio e una migliore informazione sono elementi chiave per incrementare la sicurezza e la salute lavorativa in un contesto di cambiamenti climatici sempre più marcati.

Il calore come rischio occupazionale nel Sud del mondo

Allargando lo sguardo al mondo, i rapporti dell’International Labour Organization mostrano come circa 2,41 miliardi di lavoratori e lavoratrici siano esposti a condizioni di calore eccessivo, con una concentrazione particolarmente elevata nei Paesi a più basso reddito. Tra le categorie più vulnerabili si collocano i migranti e i lavoratori informali, spesso impiegati in occupazioni manuali ad alta intensità fisica, come l’edilizia e l’agricoltura. Non va dimenticato che il fenomeno del caporalato in agricoltura si è manifestato anche in Italia e che, per contrastarlo, sono state adottate specifiche leggi. Questi gruppi tendono a ridurre le pause, mantenere ritmi più elevati e indossare abiti poco adeguati al contesto climatico, risultando frequentemente privi di formazione in materia di salute e sicurezza o di acclimatazione all’ambiente locale.17 Tali vulnerabilità si intrecciano con quelle di genere. La revisione sistematica di Desai e Zhang18 mette in luce come i fenomeni climatici estremi accrescano l’esposizione femminile a rischi sanitari, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito, dove le donne continuano a svolgere attività fisicamente gravose, sia in ambito lavorativo sia domestico, soggette ad un’esposizione ambientale prolungata.18 A ciò si aggiungono condizioni quali malnutrizione e patologie respiratorie legate alla combustione di biomasse e malattie trasmesse da vettori, la cui incidenza è amplificata da determinanti sociali come le disuguaglianze nell’accesso a istruzione, risorse economiche e servizi sanitari. La persistenza di norme patriarcali e della violenza di genere contribuisce ulteriormente a intensificare l’esposizione e, al contempo, a ridurre le capacità di adattamento, aggravando le disuguaglianze strutturali già esistenti.

Considerazioni finali

Le differenze fisiologiche legate al sesso e quelle socioculturali legate al genere, in combinazione con fattori come lo status socioeconomico, lo status di migranti e la tipologia di impiego, incidono in modo rilevante sull’esperienza lavorativa e sugli esiti di salute. Alcuni studi riportano differenze tra uomini e donne rispetto ai rischi da calore in ambito occupazionale, ai sintomi manifestati, alla percezione del rischio e alla capacità di recupero; ciononostante, la maggior parte degli studi continua a trascurare queste differenze,19 a rimandarne l’analisi a ulteriori approfondimenti20 o a limitarsi a una stratificazione ex post dei risultati per genere. La stratificazione dei dati per genere a valle di uno studio rappresenta un passo importante, ma risulta insufficiente se non è accompagnata da un disegno di ricerca che integri la prospettiva di genere fin dalle sue fasi iniziali, nella formulazione delle ipotesi, nella scelta degli esiti e nelle metodologie adottate. In caso contrario, si rischia non solo di compromettere la comprensione dei fenomeni, ma soprattutto di ridurre l’efficacia delle strategie di prevenzione e promozione della salute. Il riconoscimento di differenze sintomatologiche tra uomini e donne implica la necessità di considerare entrambe le manifestazioni cliniche, così come di elaborare misure di mitigazione e adattamento che prevedano il coinvolgimento di entrambi i generi. Inoltre, nella valutazione dell’impatto dei fenomeni di caldo estremo, occorre includere anche il lavoro domestico e quello non retribuito quali ulteriori fonti di carico e stress. Le strategie di prevenzione dovrebbero, pertanto, orientarsi anche verso la riduzione di questi carichi attraverso una redistribuzione più equa del lavoro domestico tra i generi, oltre che verso l’eliminazione degli ostacoli strutturali che mantengono le donne nei livelli più bassi delle gerarchie professionali.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno. 

Bibliografia

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