Un posto in prima fila per l’epidemiologia nel SSN è possibile?
di Marina Davoli, Dipartimento di epidemiologia del SSR della Regione Lazio
Prendo spunto dal contributo di Giuseppe Costa a questo dibattito estivo sul ruolo dell’epidemiologia nel SSN, il quale auspica che l’epidemiologia possa conquistarsi un posto in prima fila nelle iniziative di promozione della salute a livello nazionale.
Non c’è dubbio che la pandemia che stiamo vivendo da più di un anno a questa parte abbia contribuito a dare dignità e fama al termine “epidemiologia”. Peccato però che molte delle attività presentate come proprie dell’epidemiologia rappresentino solo parzialmente quello che potrebbe essere il contributo dell’epidemiologia al nostro sistema sanitario, o meglio ancora al miglioramento della salute della popolazione.
Rimando ad un dibattito che si è tenuto recentemente sulla rivista Forward per alcune considerazioni più specifiche sulle mancanze o debolezze dell’epidemiologia italiana nello scenario pandemico. Certamente confinare il ruolo dell’epidemiologia allo studio delle malattie trasmissibili non è all’ordine del giorno, come testimoniato anche dai primi contributi a questo dibattito.
Provo quindi a rispondere alle domande poste nell’ambito di questo dibattito.
Premetto che il fatto stesso che stiamo affrontando un dibattito che dura da numerosi decenni testimonia della difficoltà di individuare un ruolo ed ancor più una forma organizzativa ottimale per l’epidemiologia nel SSN.
È fallito l’intento della legge istitutiva del SSN, che prevedeva l’istituzione di un osservatorio epidemiologico regionale in ogni regione. Una grande intuizione, che purtroppo si è scontrata con il più volte richiamato rapporto ambivalente della politica rispetto alle evidenze. I dati sono essenziali per la programmazione, ma solo se supportano decisioni già prese.
È fallito il modello delle agenzie di sanità pubblica, così fortemente controllate dalla politica da far emergere in maniera eclatante questo conflitto.
Ora è il momento delle aziende “zero” dove il ruolo dell’epidemiologia è comunque marginale rispetto a quello della centralizzazione dei servizi economico finanziari, seppur con differenze tra le aziende.
L’epidemiologia oggi, come è stato richiamato anche da altri interventi, è presente nel SSN in maniera estremamente eterogenea, rispecchiando prevalentemente logiche di opportunità locali.
A fronte di questa eterogeneità penso che sarebbe estremamente difficile immaginare un modello organizzativo unico delle strutture di epidemiologia regionali. Aggiungo che altrettanto importante sarebbe affrontare il tema della relazione tra strutture di epidemiologia regionali, nazionali e accademia.
Provo quindi a elencare quali, a mio avviso, sono le sfide che l’epidemiologia del futuro dovrebbe affrontare per conquistarsi l’auspicato posto in prima fila nel SSN:
- La formazione epidemiologica. È necessaria un’alleanza tra strutture di epidemiologia del SSN e l’accademia, una sinergia e un’osmosi che orienti almeno una parte del percorso formativo verso l’epidemiologia (per epidemiologia mi rifaccio a quanto sostenuto in passato da Carlo Perucci «un approccio metodologico allo studio dei determinanti della salute e della valutazione di efficacia e sicurezza degli interventi sanitari, trasversale a tutte le discipline, sanitarie e non»).
- Le opportunità occupazionali. Gli sbocchi professionali della specializzazione di igiene, epidemiologia e sanità pubblica oggi sono i dipartimenti di prevenzione e le direzioni sanitarie. Difficilissimo trovare specializzandi interessati all’approfondimento degli ambiti più propriamente epidemiologici (vedi sopra). E d’altronde, quando si trovano, è poi difficile garantire uno sbocco professionale.
- La multidisciplinarità e la contaminazione con altre discipline. È impensabile oggi fare epidemiologia solo con medici specializzati in igiene, epidemiologia e sanità pubblica. Il ruolo degli statistici, dei biologici, degli ingegneri esperti di modelli, di informatica, di biotecnologie, matematici, infermieri, clinici ecc...
- L’accesso ai dati. Questa è una storia vecchia. Che i dati rappresentino oggi la principale fonte di potere è indubbio. I big data, intesi sia come integrazione di sistemi informativi sanitari, che dati sanitari individuali, raccolti attraverso dispositivi digitali. La grande sfida dell’epidemiologia sarà quella di conciliare l’approccio epidemiologico basato sul test di ipotesi a priori con l’approccio così detto data driven. Sarà necessaria una contaminazione con altre discipline e un colloquio aperto senza pregiudizi con chi si occupa di intelligenza artificiale e machine learning. Tutela della privacy e accesso ai dati per scopi di sanità pubblica e di ricerca, aspetti già normati e possibili ma sempre minacciati. È di oggi l’attacco hacker al CED della regione Lazio. L’investimento nella digitalizzazione richiede la presenza di un pensiero epidemiologico che al momento non mi sembra previsto. L’informatica dovrebbe rispondere ad un committente che ha chiaro quali siano le informazioni e le conoscenze che quei dati devono produrre.
- La rilevanza per le decisioni. Questa è forse una delle sfide più difficili. Fornire informazioni non utili, ma necessarie per le decisioni. E forse su questo la pandemia ci ha insegnato molto. La politica ha bisogno di sapere in tempo reale la copertura vaccinale della popolazione per età. Questa informazione semplice non ha forse bisogno di epidemiologi, ma ne ha bisogno per rispondere ai molti quesiti ancora aperti, a cui studi clinici e farmacovigilanza non sono da soli in grado di rispondere. Sebbene non mi piaccia la definizione, credo che il ruolo dell’epidemiologia nella generazione di “real world evidence” è un compito essenziale.
- La tempestività. I tempi della ricerca epidemiologica, ma della ricerca in generale, sono spesso incompatibili con i tempi delle decisioni. Eppure la pandemia ci ha insegnato che anche i tempi della ricerca spesso si allungano inutilmente. La spinta verso la digitalizzazione, se risponde ad esigenze di conoscenza esplicite e governate, può rappresentare per l’epidemiologia una straordinaria opportunità, oppure un boomerang se non colta in maniera intelligente.
- L’equilibrio tra funzione di ricerca e funzione di servizio. L’esercizio più difficile che abbiamo cercato di svolgere come osservatorio epidemiologico del Lazio e come DEP successivamente, è stato quello di cercare di bilanciare la funzione di ricerca con quella di servizio, talvolta con successo talvolta meno. Le tensioni interne ed esterne sono sempre esistite e non so certo dire quale sia il giusto equilibrio. So però che l’attività di servizio, se non alimentata da una ricerca continua, rischia di esaurirsi e con essa anche il ruolo dell’epidemiologia. D’altronde una attività di ricerca lontana da quella di servizio rischia di perdere di rilevanza.
- La rete dell’epidemiologia. Il termine rete, insieme ai big data, sono tra i più utilizzati in questo millennio e come sempre abusati. La rete cardiologica, la rete dell’emergenza, la rete degli IRCCS…. La rete epidemiologica, oggi presente solo in ambito ambientale, potrebbe essere uno strumento di crescita e promozione del ruolo dell’epidemiologia. Ma come tutte le reti richiede la volontà di costruirle e di lavorare insieme, cosa non sempre facile. Questa rete, come già anticipato, dovrebbe riguardare tutte le strutture, regionali, nazionali e l’accademia, ma dovrebbe avere un ruolo istituzionale e riconosciuto.
- La funzione di advocacy. Una funzione irrinunciabile dell’epidemiologia è quella di portare all’attenzione della comunità e dei decisori evidenze che riguardano i temi dell’equità e della sostenibilità, temi che superano il confine della sfera sanitaria e sono di rilevanza e pertinenza di tutti gli ambiti di decisione. La definizione delle priorità di intervento anche in ambiti non sanitari dovrebbe essere informata dalle conoscenze epidemiologiche.
Se da questo contributo vi aspettate una ricetta per preparare l’epidemiologia del futuro temo che resterete delusi. Credo di aver elencato in maniera molto sintetica alcuni degli ingredienti, certamente ne ho dimenticati altri. Gli animatori del dibattito potranno cimentarsi nel difficile compito di distillare i vari contributi e immaginare una possibile ricetta su cui ragionare insieme.
Credo che sia utile, per chi ancora non l’abbia fatto, leggere i libri di Yuval Noah Harari che, in particolare nel libro 21 lezioni per il XXI secolo si interroga proprio sulle grandi sfide del futuro e alla domanda: «Quali sono i principali trend che, nei prossimi 10-20 anni, saranno generati dall’impatto della tecnologia sul mondo?» risponde così:
«La conoscenza diventerà la vera forma di potere. Ci sarà uno spostamento delle strutture economiche dal territorio alle persone, dalle risorse naturali alla conoscenza. Allo stesso tempo, vedo però un trend di continua polarizzazione politica e sociale, anche fomentata dalla comunicazione digitale. La tentazione di risolvere problemi complessi con brevi messaggi – e affrettate soluzioni, di conseguenza – diventerà predominante… Una delle conseguenze sarà cercare di risolvere con logica matematica o giuridica, dettata dagli algoritmi, problemi complessi che richiederebbero invece un approccio di medio-lungo termine con una collaborazione multidisciplinare tra più paesi… Scienza e tecnologia continueranno a offrire soluzioni mediche, a migliorare la cosiddetta medicina preventiva, così come a fornire prodotti agricoli più sani e in modo più efficiente; a favorire lo sviluppo di energie rinnovabili e in generale a combattere il problema del riscaldamento globale. Tuttavia, la conoscenza e l’abilità intellettuale, diventando il potere fondante delle strutture politiche del futuro, incoraggeranno la crescita del gap tra paesi».
La domanda che a questo punto mi porrei è se esiste la possibilità che l’epidemiologia conquisti un posto in prima fila nella produzione di conoscenza utile al miglioramento della salute della popolazione in un mondo che sta cambiando molto più velocemente di noi e possa fare questo spesso in contrasto con la politica. Forse il futuro dell’epidemiologia dipende molto da quanto saremo e soprattutto lo saranno i più giovani, in grado di intercettare attivamente questi cambiamenti. Al momento, come sottolineato anche da Rodolfo Saracci, il più grosso investimento che si trova a fare il nostro Paese da molti anni, previsto dal PNRR non sembra lasciare molto spazio esplicito all’epidemiologia; starà a noi ritagliare tra le righe di quell’ambizioso programma un possibile contributo che l’epidemiologia non può non dare alla grande e ambiziosa sfida di cambiamento che il programma si pone.