Lettere
11/04/2017

Teatro in carcere, uno spunto per un progetto di epidemiologia sociale?

Cari direttori di E&P,

vorrei segnalare una problematica a mio giudizio interessante anche per gli epidemiologi.

A fine novembre, seguendo i lavori del convegno «Teatri delle diversità» tenutosi a Urbania (città marchigiana della provincia di Pesaro e Urbino) dedicato al teatro in carcere, ho avuto modo di chiacchierare con Fabio Cavalli, che da anni fa teatro nel carcere di Rebibbia a Roma ed è il regista dello spettacolo teatrale al quale è ispirato il film Cesare deve morire dei fratelli Taviani.

La problematica è bene espressa con le parole di Cavalli riprese da un’intervista che ho trovato in rete1 e che cita “la statistica che fa riflettere”. «Secondo l’Istituto superiore di studi penitenziari, il tasso di recidiva fra i detenuti in Italia (55.000) arriva al 70%. Per chi svolge un lavoro in carcere il tasso scende al 19%, e su un centinaio di laboratori teatrali in carcere la recidiva per chi li frequenta si abbassa al 6%. Ma uno studio scientifico ancora manca. Dieci anni fa nessuno conosceva questi dati: mancava un protocollo di indagine e il teatro in carcere era poco più di un esperimento per intellettuali molto chic. I dati dei nostri tempi, invece, aprono domande e questioni sulle quali riflettere. Come reagiscono le istituzioni al fatto che chi fa teatro in carcere rinuncia volentieri a tornare a delinquere? Come reagisce la comunità scientifica?»

Dal 2009 esiste un coordinamento nazionale Teatro in carcere – a cui afferiscono 40 strutture in 13 Regioni – che nel 2013 ha sottoscritto un “Protocollo d’intesa per la promozione delle arti sceniche negli istituti penitenziari italiani” con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di giustizia.2 Il presidente è Vito Minoia, che pubblica il magazine CERCARE – carcere anagramma di (supplemento della rivista europea Catarsi-teatri delle diversità).3 Inoltre, come riporta il Sole24Ore, le prigioni giocano un ruolo cruciale nella diffusione dell’ideologia fondamentalista e sono richieste misure di prevenzione.4

Nel 2012 il Ministero della giustizia ha avviato una ricerca sui rapporti tra carcere e recidiva con l’Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF), il Crime Research Economic Group (CREG) e il Sole24Ore con l’obiettivo di esaminare quanto e in che misura il modo con cui la pena viene espiata incide sulla tendenza a ripetere atti criminosi. La ricerca concentratasi sul “carcere aperto” di Bollate mostra una riduzione tra 15% e 30% della recidiva media osservata.5

Mi sembra un argomento interessante da segnalare per un progetto, una tesi, un lavoro di epidemiologia sociale e non solo, stimolando la collaborazione delle strutture che confluiscono nel coordinamento, per valutare la riduzione di recidiva anche a distanza di tempo in base a come si è vissuta la carcerazione. Dall’idea che mi sono fatta, l’esperienza teatrale avvia un ripensamento più radicale su se stessi rispetto ad altre esperienze, che pur hanno un effetto notevole sulla riduzione delle recidività.

Maria Angela Vigotti
già ricercatore presso Dipartimento di biologia, Università di Pisa
Corrispondenza: vigomar@ifc.cnr.it

BIBLIOGRAFIA

  1. http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2015/08/01/news/carceri-120243924/
  2. http://www.teatrocarcere.it/
  3. http://www.teatrocarcere.it/?cat=13
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