Quando lo screening è reticente (con una risposta di Carla Cogo)
Gentile direttore,
in uno screening di popolazione per la prevenzione del tumore della mammella si può dare all'utente come esito della mammografia una lettera rassicurante, senza alcun referto? E cosa accade, quando, un anno dopo, una volta recuperate le immagini, si scopre che già in quella mammografia, erano presenti calcificazioni? Non era meglio fornire alla paziente (che non sapeva ancora di essere tale) le sue belle immagini e il suo bel referto? Oppure trattandosi di screening è sufficiente una lettera dove si dice che va tutto bene (anche quando così non è) e si consiglia, come da prassi, un ulteriore controllo l’anno successivo?
Vi ringrazio,
dr.ssa Pasquangela Porqueddu
ASL1 Sassari
Risposta
Gentile dottoressa Porqueddu,
grazie per aver condiviso con noi una situazione che l’ha coinvolta così da vicino.
Lei ci chiede se è corretto durante il programma di screening non inviare il referto della mammografia, ma una lettera di risposta di generica “normalità”. Questa è la prassi, in Italia e in Europa, quando una mammografia è valutata come “normale”, non presentando alterazioni sospette per tumore. Naturalmente è sempre possibile, per le utenti, richiedere una copia dell’esame.
Diverso è quello che accade nel 2° livello, cioè quando il radiologo ritiene che la mammografia vada ripetuta o completata con altri esami. In questi casi la donna ha la possibilità di parlare col medico e riceve una risposta scritta circostanziata.
Diverso ancora è il suo caso: lei ci dice, infatti, di aver ricevuto una risposta di mammografia “negativa” assieme all’invito a ripetere l’esame dopo un anno, e non dopo due anni. Il suo sembra cioè un “richiamato anticipato”. In questo caso non ci sono indicazioni precise sulle modalità di comunicazione del referto: alcuni programmi inviano una risposta negativa standard, altri una lettera più circostanziata, cosa che personalmente trovo più coerente.
Fin qui la risposta alla sua domanda sul piano formale. Ovviamente sul piano dei contenuti la situazione è molto più complessa.
La scelta di inviare una lettera di risposta e non il referto deriva dal fatto che la mammografia parte da un programma di screening rivolto a un altissimo numero di donne, che risulteranno quasi tutte sane. L’inizio del percorso, cioè, non parte da una donna, che, a causa di sintomi o a scopo preventivo, si rivolge a un medico per fare l’esame e ci dovrà tornare per l’interpretazione del risultato.
Lo screening intende creare il minor disagio possibile alle donne che ha invitato: questo implica anche il fatto di inviare una risposta comprensibile che non comporti ulteriori passaggi.
Chiaramente quello che ho appena detto ha senso solo se la proposta di screening è coniugata a rigorosi controlli di qualità. Il controllo delle apparecchiature, la doppia lettura, la formazione degli operatori, l’analisi dei risultati, lo studio dei cancri intervallo non eliminano gli errori ma mirano a contenerli il più possibile. Differenziano, inoltre, gli screening dall’attività spontanea in cui gli errori avvengono, ma raramente sono misurati. Ancora, tutto quello detto finora ha senso se si riesce a comunicarlo alle donne invitate sia per scritto sia di persona. La comunicazione su questi temi, però, non avviene solo da parte dei programmi di screening. È resa ancora più complessa dalla disomogeneità delle informazioni nel contestomediatico attuale, dal perdurante mito dell’onnipotenza della prevenzione e dalla imperante non-cultura del limite.
Gli organizzatori di screening stanno discutendo molto su questi temi, ne troverà traccia nei siti del Gruppo italiano screening mammografico (GISMa) e dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), e intendono continuare a farlo.
Tornando quindi alla sua domanda, la ringraziamo di nuovo per averla posta, anche perché ci darà lo spunto per una trattazione più articolata di questi temi in uno dei prossimi numeri della rivista.
Carla Cogo
Istituto oncologico veneto, Padova
Corrispondenza: e-mail: crr.screening@ioveneto.it