Interventi
13/12/2011

Condizione militare e morbosità per cancro: il punto della situazione

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Introduzione

Dieci anni fa veniva segnalata, nei militari che avevano preso parte alle operazioni di peacekeeping nell’exJugoslavia, la possibile esistenza di una “sindrome dei Balcani”, caratterizzata dalla comparsa di un eccesso di casi di leucemia acuta e di altri tumori, potenzialmente attribuibili all’esposizione all’uranio impoverito.1 Un comitato di esperti appositamente costituito (la commissione Mandelli) accertò, nei militari italiani impiegati in Bosnia e Kosovo nel periodo 1995-2001, un aumento significativo dell’incidenza del linfoma di Hodgkin, del quale non furono tuttavia identificate le cause.2,3

Non molto tempo fa, è stata sottolineata l’assenza della pubblicazione nella letteratura scientifica di successivi studi epidemiologici; è stata inoltre espressa preoccupazione circa l’eventualità del mancato monitoraggio della morbosità per cancro nei reduci dei Balcani.4,5 In realtà, il followup dell’incidenza dei tumori maligni non è mai stato interrotto dopo la conclusione dei lavori della commissione; tale attività è anzi diventata permanente e i risultati preliminari della sorveglianza sono stati recentemente pubblicati.6,7 È stato inoltre avviato uno studio di epidemiologia molecolare, finalizzato alla valutazione in un campione di militari dell’esposizione a sostanze cancerogene o mutagene e del conseguente danno genotossico, i cui risultati dovrebbero essere presto disponibili.8

Lo scopo di questo intervento è di fornire un aggiornamento dei dati di morbosità per cancro nei reduci delle missioni di peacekeeping nei Balcani e, più in generale, nei militari italiani.

I risultati della sorveglianza delle neoplasie maligne nelle Forze Armate

Dal gennaio 2001 è attivo un sistema di sorveglianza delle neoplasie maligne, basato sulla segnalazione dei casi incidenti nel personale militare, impegnato o meno nei vari teatri operativi. La registrazione dei casi è stata inoltre effettuata retrospettivamente per il periodo 1996-2000. Nella tabella 1 sono riassunti i risultati preliminari della sorveglianza.6

Nel periodo 1996-2007, per la totalità dei tumori e per i principali tipi di cancro, il rapporto tra casi osservati e attesi è in genere inferiore all’unità: in particolare, le neoplasie più frequenti dopo i 45 anni d’età (per esempio cancro del polmone, colonretto, stomaco, vescica e rene) hanno un rapporto d’incidenza standardizzato (SIR) piuttosto basso; i tumori diagnosticati più frequentemente prima dei 45 anni d’età (per esempio cancro del testicolo, melanoma, linfoma di Hodgkin, leucemie, cancro della tiroide) hanno invece un SIR più vicino all’unità e in alcuni casi anche superiore. Come verrà illustrato più avanti, ciò è in parte attribuibile al fatto che la sensibilità del sistema di sorveglianza varia significativamente a seconda dell’età dei pazienti.7

Diversamente da quanto rilevato dalla commissione Mandelli nel 2001-2002, secondo i dati della sorveglianza, la differenza tra casi osservati e attesi di linfoma di Hodgkin non è significativa, nel periodo 1996-2007. Considerando tuttavia il SIR su base annua e restringendo l’analisi al periodo studiato dalla commissione (1996-2001), i linfomi di Hodgkin osservati nel personale complessivamente impiegato nei Balcani ammontano a 12 casi, contro 5,96 attesi: tale differenza è significativa SIR = 2,01 [1,04-3,52] ed è determinata dal cluster di casi del 2000, anno nel quale si sono verificati ben 6 casi dei 12 registrati nel periodo 1996-2001. Questi numeri, ottenuti calcolando l’incidenza cumulativa annuale, sono molto simili a quelli rilevati dalla commissione con una misura di frequenza diversa, la densità d’incidenza (12 casi osservati e 5,08 attesi; SIR = 2,36 [1,22-4,13]):2 la differenza tra i risultati della sorveglianza e quelli della commissione è pertanto imputabile solamente alla diversa durata del periodo studiato. Infine, un eccesso significativo di casi è osservabile, nel 2000 e nel 2002, anche nel gruppo di controllo.

Il rischio del linfoma di Hodgkin non è pertanto associato all’impiego operativo nei territori dell’exJugoslavia. Nella coorte “Bosnia” e nel gruppo di controllo, ma non nella coorte “Kosovo”, è inoltre evidente un eccesso significativo di casi di cancro della tiroide: anche per questo tumore, quindi, il rischio non è associato alla permanenza nei Balcani (tabella 2).

L’incidenza del linfoma di Hodgkin e del cancro della tiroide non aumenta in presenza di potenziali fattori di rischio, quali la prima destinazione a Sarajevo, il numero delle missioni svolte, la loro durata complessiva e il primo impiego in Bosnia anteriormente al 2000 (tabella 3).

La constatazione che il SIR di molti tipi di cancro è notevolmente inferiore all’unità evidenzia l’incapacità del sistema di sorveglianza di individuare tutti i casi incidenti: nonostante il progressivo miglioramento della sensibilità, il sistema ha infatti identificato, nel periodo 2001-2007, probabilmente non più del 54-65% dei casi reali. La completezza della rilevazione dei casi è maggiore nei militari più giovani rispetto a quelli più anziani (67 casi su 10 nei soggetti di età 20-39 anni, contro 4 su 10 in quelli di età 40-59 anni); nei militari impiegati in Bosnia o Kosovo rispetto al gruppo di controllo (7 su 10 nei primi, contro 4 su 10 nei rimanenti); e infine nei militari affetti da linfoma di Hodgkin rispetto a quelli colpiti da altri tumori (7 su 10 nei primi, contro 5 su 10 negli altri); tutte queste differenze sono significative.7

La stima dei casi di cancro realmente incidenti nella popolazione militare non differisce significativamente dal numero dei casi attesi, sia per il totale delle neoplasie, sia per il linfoma di Hodgkin; per il cancro della tiroide è invece stimabile un’incidenza circa tre volte superiore rispetto a quella attesa (figura 1).7

Discussione

Nonostante l’accurato riesame delle fonti di segnalazione abbia consentito di identificare un cospicuo numero di casi precedentemente non registrati, resta comunque evidente la bassa sensibilità del sistema di sorveglianza, in particolare nei confronti dei militari di età >=40 anni e del personale non impiegato nei Balcani. Alla base di tale fenomeno vi sono diversi fattori. Innanzitutto, non tutti i volontari diventano militari di carriera e una parte di essi si congeda dopo alcuni anni di servizio. Un ruolo importante svolge inoltre il cosiddetto healthy worker effect,9 fenomeno evidenziabile anche nel contesto militare:10 per l’appartenenza alle forze armate è infatti necessario mantenere determinati standard psicofisici, la cui perdita determina l’allontanamento dal servizio attivo. Una volta in congedo, la maggior parte dei militari usufruisce delle strutture sanitarie del servizio sanitario nazionale; pertanto, i tumori che si manifestano in questa fase della vita normalmente sfuggono al sistema di sorveglianza. Il linfoma di Hodgkin in Italia è un tumore la cui incidenza, non elevata, è caratterizzata da una certa variabilità geografica;11,12 in assenza di valide ipotesi alternative,6 i picchi di incidenza sporadicamente osservati nel personale militare e non associabili all’impiego nelle missioni di peacekeeping nei Balcani potrebbero costituire eventi casuali, tanto più probabili se si tiene conto della relativa esiguità numerica delle forze armate.

L’eccesso di casi di cancro della tiroide sembra invece riflettere un effettivo incremento dell’incidenza. La morbosità per questo tumore è in progressivo aumento in Italia e nella maggior parte dei Paesi del mondo. Tale incremento è attribuito al miglioramento, intervenuto negli ultimi decenni, delle capacità diagnostiche di questo tumore.13 L’eccesso rilevato potrebbe pertanto dipendere da un bias di selezione: i militari sono infatti periodicamente sottoposti ad accertamenti sanitari, che spesso includono i test di funzionalità tiroidea e che possono pertanto facilitare la diagnosi precoce del cancro della tiroide.6,7 Una situazione simile è stata descritta nei militari USA, nei quali è evidenziabile un eccesso di casi di cancro della prostata e della mammella, a causa della maggiore probabilità che essi hanno, rispetto alla popolazione generale, di essere inclusi in programmi di screening per questi tumori.14

A completamento degli argomenti trattati in questo intervento, sembra utile citare l’evidenza disponibile circa la morbosità per cancro nei militari di altre nazioni impiegati in Bosnia-Herzegovina, Kosovo e Iraq e nelle popolazioni ivi residenti. I primi, infatti, presentano evidenti analogie con i militari italiani, specie per quanto riguarda i tempi, le modalità, l’intensità e la durata dell’esposizione all’uranio impoverito e ad altre eventuali noxae di natura bellica. Per le popolazioni civili, invece, tale esposizione riveste verosimilmente maggiore importanza, sia per durata che per intensità, essendosi concretizzata fin dall’inizio degli eventi bellici e non essendo limitata a pochi mesi di permanenza nelle aree interessate, come nel caso dei militari.

Nei militari statunitensi e inglesi che hanno preso parte alla prima guerra del Golfo, come anche nei militari svedesi e danesi impiegati nei Balcani, non è stato fino a ora evidenziato un incremento del rischio di neoplasie.15 Tale rischio non aumenta in funzione dell’esposizione all’uranio impoverito o ai pesticidi, della somministrazione contemporanea di più vaccini,16 della permanenza in spazi confinati o all’aperto, dell’impiego in attività di pattugliamento e scorta, dell’attività di bonifica di ordigni inesplosi.17 Più recentemente, è stato rilevato che la proporzione delle diverse neoplasie incidenti nei veterani USA della prima guerra del Golfo è sovrapponibile a quella del gruppo di controllo; solo il cancro del polmone presenta un significativo ma modesto eccesso proporzionale di casi, che tuttavia scompare calcolando il relativo SIR.18

Relativamente alle popolazioni dell’exJugoslavia, i pochi dati disponibili si riferiscono alla Bosnia: l’incidenza della maggior parte dei tumori nel circondario di Sarajevo nel 1999-2000 non sembra essere superiore né a quella rilevata in Slovenia e Croazia, né alle stime dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) per l’Europa meridionale.19,20 I confronti sono tuttavia effettuati utilizzando tassi grezzi, anziché quelli standardizzati per età; questi risultati potrebbero pertanto essere influenzati dalla diversa composizione strutturale delle popolazioni studiate. Per questo motivo i confronti tra tassi grezzi non sono normalmente effettuati.21

In Iraq fu segnalato, nel 1998, un incremento di neoplasie nella popolazione civile e nei veterani della prima guerra del Golfo (1991): non essendo tuttavia disponibili i relativi tassi d’incidenza, non è mai stato possibile effettuare valutazioni in merito.22 Secondo alcune fonti, l’incidenza della leucemia nelle regioni meridionali del Paese nel 1999 era apparentemente aumentata di circa tre volte, rispetto ai valori prebellici.23 Tale dato sembrerebbe confermato da uno studio recente, che descrive un raddoppio della morbosità per leucemia infantile nell’area di Bassora, nel periodo 1993-2006; questo incremento d’incidenza è considerato compatibile con diverse ipotesi, dall’esposizione all’uranio impoverito al population mixing.24 Va peraltro considerato che sono stati avanzati dubbi sui denominatori utilizzati in questo lavoro per il calcolo dei tassi d’incidenza.25,26 Infine, un’elevata morbosità per cancro nella città di Fallujah è stata evidenziata da uno studio, che tuttavia presenta aspetti metodologici discutibili:27 l’accertamento dei casi è infatti basato su informazioni fornite tramite questionario dai soggetti intervistati, senza conferma oggettiva della diagnosi; inoltre, non sono specificati né i criteri di selezione del campione, composto da 4 843 individui, né è spiegato in che misura esso sia rappresentativo della popolazione di Fallujah, che nel 2004 ammontava a circa 300 000 abitanti.28 Altre fonti descrivono una situazione diversa: secondo i risultati preliminari del Basrah Cancer Research Group, la morbosità totale per cancro nell’Iraq meridionale era nel 2005 sostanzialmente analoga a quella degli stati vicini.29 Studi successivi,30,31 relativi al periodo 2005-2008, i cui risultati sono riportati nella tabella 4 unitamente ai corrispondenti tassi d’incidenza di alcuni stati confinanti o vicini,32 confermano tale risultato per la maggior parte dei tumori, anche se i periodi in esame non sono esattamente corrispondenti.

In definitiva, i dati disponibili relativamente alla popolazione civile dell’ex-Jugoslavia e dell’Iraq o non sono sufficientemente accurati dal punto di vista metodologico o presentano elementi di contraddittorietà tali da non consentire al momento di delineare, sia pure sommariamente, le rispettive dimensioni della morbosità per cancro. È tuttavia significativo sottolineare come in queste popolazioni non sia stato fino a ora evidenziato con ragionevole certezza un incremento dell’incidenza delle neoplasie maligne.

Conclusioni

Il periodo di osservazione è probabilmente ancora troppo breve per poter valutare compiutamente la morbosità per cancro nei militari impiegati nell’ex-Jugoslavia e negli altri teatri operativi. Pur con tutte le riserve e le cautele del caso, i dati al momento disponibili non supportano tuttavia l’ipotesi che l’incidenza globale delle neoplasie maligne nei militari italiani sia superiore ai valori attesi. In particolare, il servizio prestato in Bosnia e Kosovo non sembra comportare rischi aggiuntivi. Neppure l’incidenza del linfoma di Hodgkin sembra essere significativamente aumentata e l’eccesso di casi sporadicamente osservato costituisce con ogni probabilità un evento casuale. Il rischio di cancro della tiroide sembra aumentato di circa tre volte, ma tale incremento è probabilmente la conseguenza di un bias di selezione.

Da tempo vengono avanzate ipotesi interpretative di un fenomeno complesso, qual è la morbosità per cancro nei militari italiani, ancora non ben definito sotto il profilo qualitativo e quantitativo;33 poiché l’inferenza causale deve necessariamente basarsi sull’analisi epidemiologica, è indispensabile poter descrivere con la maggiore completezza possibile la frequenza e la distribuzione dei tumori maligni nei militari, individuandone i fattori di rischio. Questa era in effetti la principale finalità del monitoraggio sanitario dei reduci dei Balcani, istituito nel 2001.34 A distanza di 10 anni, tuttavia, tale finalità non è stata raggiunta: l’adesione, su base volontaria, è scarsa e ciò invalida la rappresentatività dell’aliquota monitorata nei confronti della coorte degli esposti, a causa di un evidente bias di selezione.6 In circostanze simili, è stato infatti verificato che i militari interessati a un analogo programma di monitoraggio rappresentano solo in minima parte la coorte precedentemente esposta a un determinato contesto operativo, anche perché l’adesione è motivata principalmente da preoccupazioni inerenti lo stato di salute attuale.35

L’esistenza di un’associazione tra il servizio prestato nei territori della exJugoslavia e un eventuale incremento della morbosità per cancro potrebbe essere indagata con ben maggiore efficacia mediante uno studio, a suo tempo proposto dall’Istituto superiore di sanità, basato sul linkage dei nominativi del personale militare con il data base nazionale delle diagnosi ospedaliere.6,7 Tale proposta era poi stata ampliata, prevedendo l’istituzione di un Registro tumori militare, allo scopo di assicurare un monitoraggio costante nel tempo della morbosità per cancro nell’intera compagine militare. Purtroppo, in assenza di un esplicito consenso informato su base individuale, la normativa vigente in tema di privacy non consente la tracciabilità dei cittadini (militari o civili) nelle strutture sanitarie nazionali; e poiché è di fatto irrealizzabile l’acquisizione del consenso informato di decine di migliaia di individui, ciò ha di fatto fino a ora impedito l’attuazione dello studio. Per il medesimo motivo, anche il progetto di realizzazione del Registro tumori militare è stato abbandonato.36

Va peraltro sottolineato come questa situazione non incida soltanto sulla problematica, tuttora irrisolta, della morbosità per cancro nei militari impiegati nei Balcani, ma, con dimensioni maggiori e conseguenze ben più gravi, anche sull’operatività dei Registri tumori nazionali. Questi ultimi, infatti, avendo analoghe esigenze di tracciabilità dei casi tumorali, in mancanza di nuove normative che ne regolino l’operato, incontrano crescenti difficoltà nella loro attività e rischiano seriamente la progressiva paralisi della loro fondamentale funzione.37

In mancanza di una soluzione normativa in grado di armonizzare le esigenze di tutela della riservatezza dei dati sanitari dei cittadini con le altrettanto importanti esigenze della sorveglianza epidemiologica, sarà pertanto molto difficile poter dare una risposta definitiva all’annosa questione della “sindrome dei Balcani”.

Conflitti d’interesse dichiarati: gli autori sono ufficiali medici del Corpo di sanità dell’esercito e non dichiarano altri potenziali conflitti d’interesse. Le valutazioni espresse in questo intervento sono esclusivamente degli autori e non riflettono necessariamente le posizioni ufficiali del Ministero della difesa.

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