Se la sanità si ammala, anche la salute si ammala?
Negli ultimi tempi, si stanno moltiplicando le iniziative sulla sanità pubblica malata e su come rimediarvi. Le liste d’attesa e la spesa privata porterebbero a selezionare in modo implicito e disuguale chi può far ricorso alle cure minacciando universalismo ed equità, due principi fondanti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Seppure l’offerta sanitaria dovesse essere razionata per ragioni di sostenibilità, questa selezione dovrebbe essere trasparente, esplicita e ispirata a principi di equità e uguaglianza. Questa necessità comporta una responsabilità inedita per l’epidemiologia oltre che per le statistiche ufficiali: occorre informare i decisori e i portatori di interesse sulle conseguenze per la salute delle necessità di razionamento e dei possibili rimedi. Il SSN non dovrebbe lasciarsi dettare l’agenda della sostenibilità dalle circostanze delle ricorrenti crisi, e meno che mai dai suggeritori non disinteressati del mercato. Per questo scopo, il SSN dovrebbe essere preparato a tradurre i livelli essenziali di assistenza (LEA) in una metrica comune di impatto sulla salute che possa diventare la moneta corrente con cui governare l’offerta. Solo disponendo di questa informazione, i decisori e i portatori di interesse potrebbero fare scelte fondate su una comprensione condivisa del loro impatto sulla salute della popolazione e dei vari gruppi e territori, in modo che ognuno possa valutare cosa e chi perde o guadagna quando si prende una decisione. Tra l’altro, il tema è particolarmente attuale nel contesto della regolazione dell’autonomia differenziata, dove l’uguale accessibilità ai LEA per le politiche sanitarie SSN, e finanche ai livelli essenziali di prestazioni (LEP) per le politiche non sanitarie, sarebbe precondizione per aprire spazio a forme di differenziazione sui livelli non essenziali.
Cosa potrebbe fare l’epidemiologia per stimare quanto valgono in salute i LEA o i LEP?
Si intravvedono due possibili prospettive di lavoro. La prima vorrebbe comprendere se i cambiamenti e gli stress che hanno implicitamente influenzato l’offerta di LEA/LEP in questi ultimi anni (piani di rientro, sottofinanziamento, pandemia, inflazione) abbiano anche compromesso la salute in modo più o meno disuguale. La seconda prospettiva, più analitica, potrebbe impegnarsi a stimare il valore di salute che viene tutelato da ogni LEA/LEP, per poi metterli a confronto tra di loro in caso essi dovessero entrare in competizione in un meccanismo di razionamento esplicito.
Nella prima prospettiva, sappiamo che studi comparativi europei mostrano che la distanza di mortalità tra meno e più istruiti negli ultimi quarant’anni è diminuita o rimasta uguale in termini assoluti.1 Recenti studi di serie temporali annuali per coorti di nascita confermano quanto visto nelle analisi per periodo.2 Il ruolo dell’assistenza è stato esplorato da studi sulla mortalità evitabile grazie alle cure di qualità:3 in Europa, la mortalità evitabile sarebbe diminuita molto e con la stessa intensità sia tra i meno sia tra i più istruiti, con la conseguenza che si sono ridotte le disuguaglianze nella misura assoluta della mortalità; questo miglioramento è associato ai livelli di spesa sanitaria aggregata. Come si spiega tale paradosso? Mentre in questi ultimi anni, secondo la narrazione prevalente, tutto starebbe andando male, come mai le disuguaglianze di mortalità rimangono invariate o addirittura si riducono su scala assoluta, la scala più appropriata per osservare l’impatto dei fattori di crisi sull’universalismo dei livelli di tutela?4 Forse che la mortalità sarebbe una dimensione di salute troppo poco sensibile? Forse che sarebbe ancora troppo presto per vedere effetti sulla mortalità legati a queste ragioni di crisi? Forse che starebbero entrando sotto il cono di osservazione dell’epidemiologia generazioni nate in tempi di forte miglioramento delle condizioni di vita (i cosiddetti babyboomer) che porterebbero con sé un capitale di salute più resiliente e uguale? O l’attuale società e i suoi sistemi di tutela sarebbero comunque in grado di garantire in modo equo i “livelli essenziali di tutela della salute” a dispetto dell’austerità? I dati italiani più recenti finora pubblicati confermerebbero che gli indicatori di speranza di vita e di speranza di salute continuano a progredire con un passo simile tra le diverse categorie sociali senza apparentemente risentire delle occasioni di crisi economica e sociale5. Bisognerebbe che la statistica ufficiale e l’epidemiologia si impegnassero a riesaminare le fonti informative disponibili per comprendere meglio i trend temporali degli indicatori di salute e di disuguaglianze geografiche e sociali di salute rispondendo a queste domande. Le fonti informative utili sono disponibili per questo scopo. Da qualche anno, l’Istat arricchisce la mortalità per causa con il dato sul titolo di studio risultante dalla fonte del censimento permanente. Il sistema di indagini trasversali “Aspetti di Vita Quotidiana” (AVQ), effettuate con cadenza annuale, con gli approfondimenti periodici sulla salute (HEIS), e l’indagine annuale europea sulle condizioni di vita (EU SILC) costituiscono fonti campionarie essenziali per lo studio del trend della salute soggettiva, della morbosità cronica e delle limitazioni funzionali dal lato della salute e di alcuni fattori di rischio dal lato dei determinanti, nonché della rinuncia alle cure sul lato dell’accesso, e delle relative disuguaglianze geografiche e sociali. I sistemi di sorveglianza dell’ISS possono arricchire questo sguardo. Lo Studio longitudinale italiano (SLI) dell’Istat ha in programma di seguire nel tempo la mortalità e i ricoveri delle persone intervistate (e dei relativi dati ivi rilevati) nelle indagini campionarie dell’Istat sulla salute del 2000, 2005 e 2013 e in un’edizione dell’AVQ e nell’indagine sull’integrazione degli stranieri del 2012. Il Work Histories Italian Panel (WHIP)-Salute del Ministero della Salute segue nel tempo gli infortuni, la mortalità e i ricoveri del campione del 7% della forza lavoro del settore privato in Italia (e delle relative storie lavorative e retributive ivi rilevate). Anche gli studi longitudinali metropolitani potrebbero venire incontro a queste necessità conoscitive. Sarebbe utile che gli enti e i ricercatori responsabili di questi sistemi di indagine venissero invitati a cercare segni precoci di impatto dei fattori di stress del SSN sul trend temporale degli indicatori di salute a loro disponibili, con particolare attenzione alle differenze per età che potrebbero indicare l’emersione di fenomeni di coorte.
Nella seconda prospettiva, sarebbe auspicabile che l’epidemiologia italiana, insieme all’economia sanitaria, contribuisse a stimare l’impatto sulla salute della mancata soddisfazione di livelli di assistenza specifici, in modo da aiutare i decisori che fossero costretti a fare scelte dolorose di “razionamento” a fare ciò avendo a disposizione conoscenze comparative adeguate su cosa si guadagna e si perde con o senza quel livello di assistenza. Con una buona stratificazione del rischio, bisognerebbe quantificare la potenziale popolazione interessata al LEA, per poi valutare con l’economia sanitaria il costo del LEA stesso, identificarne con l’evidence-based medicine il potenziale effetto sulla salute e stimarne così il potenziale beneficio di popolazione a fronte del costo. Questo sforzo sarebbe particolarmente necessario per la categoria dei LEA delle visite specialistiche e degli esami strumentali, che è la categoria più critica e minacciata dal razionamento implicito in questa stagione di sanità “malata”. Infatti, l’assistenza specialistica e strumentale è il settore su cui pesano maggiormente le liste di attesa, la spesa privata, la rinuncia alle cure, tutti meccanismi di razionamento implicito e disuguale, che si concludono in un bisogno non soddisfatto, distribuito a sua volta in modo non equo. Si tratta anche della categoria di assistenza che è maggiormente esposta al rischio di inappropriatezza, quindi più facilmente candidabile a essere esclusa dalla copertura del SSN nel caso che problemi di sostenibilità obbligassero a razionare in modo esplicito i LEA.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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