Editoriali
17/05/2024

Riflessioni quasi random sul SSN

L’Associazione Italiana di Epidemiologia ha proposto alla comunità degli epidemiologi italiani alcuni quesiti sulle modalità con le quali misurare le conseguenze per la salute che potrebbero derivare dal progressivo indebolimento del SSN. Interrogarsi sui metodi di valutazione e sulle conseguenze di salute a livello di popolazione che possono essere causate da un peggioramento della qualità dell’assistenza del SSN è certamente di grande importanza e gli epidemiologi hanno una diretta responsabilità nel produrre evidenze tempestive e credibili su questo tema. Bisogna però essere consapevoli che i danni misurabili sulla salute della popolazione possono manifestarsi con una certa latenza perché, nonostante le difficoltà, il SSN è ancora in grado di rispondere in modo efficace a molti bisogni di assistenza, soprattutto per l’emergenza e per i gravi problemi di salute, e durante la pandemia ha dimostrato di avere straordinarie e preziose risorse di personale competente e affidabile, in grado di compensare, almeno in parte, i difetti del sistema. Inoltre, anche quando fosse possibile produrre stime dei danni alla salute, l’impegno potrebbe rivelarsi scarsamente efficace per tentare di contrastare l’indebolimento del SSN, così come migliorare la capacità di monitorare gli scompensi di un organismo malato non serve, da sola, a modificarne la prognosi. Essendo parte della cultura epidemiologica analizzare le cause e suggerire possibili interventi correttivi, anche sul SSN sarebbe auspicabile un contributo costruttivo ad ampio spettro da parte della comunità degli epidemiologi. 

Siccome il tema è molto vasto e complesso e singolarmente non è possibile tentare un’analisi sistematica dei problemi, mi limito a elencare alcune questioni, esprimendole soprattutto come dubbi o interrogativi, sulle quali ho avuto occasione di imbattermi sia attraverso l’esperienza lavorativa sia come cittadino/utente del SSN.

Comincio dal sottofinanziamento del SSN, perché è tra le questioni più frequentemente oggetto di discussioni. Il recente rapporto della Corte dei Conti sul SSN1 offre un quadro molto ricco di dati e di comparazioni del SSN con altri Paesi e tra le Regioni che confermano l’esistenza e la gravità di molti problemi. Per esempio, emerge chiaramente che in Italia, rispetto a Francia e Germania, la spesa pro-capite per la sanità è decisamente inferiore, mentre è nettamente superiore la spesa sostenuta direttamente dai cittadini. Anche la lettera aperta firmata da 14 personalità del mondo della ricerca e della medicina2 indica chiaramente le maggiori criticità del SSN e suggerisce interventi profondi per invertire il suo declino. Se esiste un sostanziale accordo nel ritenere l’attuale finanziamento insufficiente, meno chiare e univoche sono le indicazioni che vengono proposte sugli interventi correttivi necessari a eliminare le distorsioni del sistema, in assenza dei quali un ipotetico aumento di risorse economiche potrebbe tradursi in risultati deludenti o addirittura in aumenti di inefficienza e di sprechi.
Una scelta sulla quale ci sarebbe seriamente bisogno di ripensamenti è la progressiva disgregazione del SSN, frantumato in 21 sistemi regionali/provinciali, in oltre 200 tra aziende territoriali e ospedaliere pubbliche/IRCCS e in un numero molto elevato di strutture private. Servirebbe un’analisi attenta di questa deriva e la determinazione e la capacità di riequilibrare il sistema,  bilanciando meglio il ruolo centrale dello stato in materia di indirizzi e di garanzie e la responsabilità delle Regioni sul piano organizzativo e gestionale. 

Altra questione delicata è la forte dipendenza delle figure responsabili della gestione del SSN ai vari livelli, a cominciare dalle direzioni delle istituzioni centrali, delle ASL/ASO e, a cascata, dei responsabili delle strutture assistenziali, dai condizionamenti dei partiti politici. Anche su questa materia gli interventi non sono banali e, seppure con qualche riserva, la proposta di legge presentata dal senatore Crisanti3 rappresenta un utile spunto di discussione per ridare maggior peso a criteri di competenza e correttezza nell’attribuzione di ruoli chiave nel sistema.

Un altro tema molto delicato, e ampiamente dibattuto, è il rapporto tra pubblico e privato nella sanità, che ha molte implicazioni. Mentre è ormai consolidato il ruolo del privato (in larga misura con costi a carico diretto dei cittadini) sul versante della produzione di prestazioni, soprattutto in alcune Regioni e in specifici settori, tipicamente le prestazioni ambulatoriali e gli interventi in elezione (per esempio, le cure dentali, gli interventi oculistici, quelli ortopedici) con il settore privato che si muove con maggiore libertà sui rapporti di lavoro e sceglie su cosa investire in base a logiche di mercato e il pubblico che deve occuparsi del resto con regole di funzionamento molto stringenti e a volte inefficienti. Sta, inoltre, crescendo il ruolo del privato anche sul versante del finanziamento. Quanto queste dinamiche stiano determinando disuguaglianze di accesso (e di risultato) sui cittadini e distorsioni nel funzionamento complessivo dovrà essere documentato (qui c’è molto lavoro per gli epidemiologi), ma intanto sarebbe opportuno chiedersi se questa tendenza sia ormai inarrestabile o se ci siano dei rimedi.

Ma la commistione di interessi pubblici e privati è presente, e potenzialmente dannosa, anche all’interno delle strutture stesse del SSN. Non credo esistano esempi virtuosi di organizzazioni aziendali che consentano ai propri dirigenti, dotati di ampia autonomia professionale e gestionale, di operare contemporaneamente, come dipendenti e come liberi professionisti, nello svolgimento degli stessi compiti. Se le stesse prestazioni possono essere erogate sia nell’ambito del SSN sia come libera professione (con un forte incentivo economico per il personale a favore di questa seconda modalità) e lo stesso professionista ha responsabilità gestionali sul funzionamento del servizio, è lecito ipotizzare che il sistema possa squilibrarsi, con un incremento delle liste d’attesa da un lato e un aumento di riflesso del ricorso al privato dall’altro. I conflitti di interesse nella sanità sono pervasivi e non solo di tipo economico. Intervenire su questo tema è molto difficile, ma almeno sarebbe già un passo avanti porre alcune questioni, come stabilire vincoli molto stringenti tra liste d’attesa e volume di prestazioni libero-professionali o proporre per i professionisti dipendenti del SSN l’incompatibilità tra incarichi gestionali (per esempio, direzione di dipartimenti o di strutture) e attività libero professionali, commistione che costituisce un evidente conflitto di interessi. Proseguendo su questo tema, ci si potrebbe anche chiedere se sia una scelta ottimale affidare a personale dipendente di un’altra istituzione (per esempio, dell’Università, che ha come finalità principali la didattica e la ricerca) responsabilità gestionali nell’ambito del SSN (che ha come finalità principale la tutela della salute). Oppure interrogarsi su quali misure realistiche siano in grado di limitare il conflitto d’interesse di molti professionisti dipendenti del SSN con responsabilità gestionali, derivanti da rapporti con attori esterni che operano nel mercato, dotati di grandi possibilità economiche, in grado di determinare anche la loro carriera scientifica, la visibilità e il prestigio.
Se questi problemi sono particolarmente presenti nel mondo degli specialisti, soprattutto nei grandi ospedali, ci sono molte criticità che meriterebbero attenzione anche nell’ambito della medicina territoriale. Almeno in parte, l’affollamento e l’uso inappropriato dei pronto soccorso da un lato e la difficoltà di dimissioni protette dall’altro dipendono da carenze organizzative e di risorse sul territorio, sia nell’area della medicina territoriale sia nel settore dell’assistenza a soggetti anziani o disabili non autosufficienti.

Le case della salute o di comunità rappresentano un importante investimento che dovrebbe migliorare l’integrazione tra ospedale e territorio (altro tema meritevole di valutazione da parte degli epidemiologi), ma in quest’ottica sarebbe utile anche ripensare se la forma della convenzione sia la modalità più efficiente e corretta per definire il rapporto lavorativo tra il SSN e i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali.

Gli interventi ad alta priorità sono molti: bisognerebbe investire innanzitutto sul personale (che si sta riducendo pericolosamente), migliorando il trattamento economico, utilizzando incentivi virtuosi per il sistema e meccanismi di gratificazione; investire sulla ricerca per il SSN, sulle infrastrutture e sul personale con adeguate competenze in grado di gestire programmi di ricerca/intervento e di audit nazionali. Infine, dovrebbero essere potenziate le capacità di valutazione delle tecnologie sanitarie in senso lato da parte di strutture centrali (Aifa, rete HTA, PNLG) per indirizzare le scelte in modo informato, ponendo maggiore attenzione nelle decisioni al reale valore per la salute e alla sostenibilità del sistema, con adeguati investimenti e una robusta protezione nei confronti di interferenze politiche, corporative o di mercato.

Un contributo importante per invertire il disfacimento del SSN potrebbe derivare dai cittadini, se fossero più consapevoli delle cause dei disservizi e delle liste d’attesa e più critici nel ritenere che il ricorso al privato, spesso con costi sostenuti direttamente, rappresenti l’unica soluzione alternativa. La possibilità di intervenire efficacemente su questi (e su altri) problemi è pesantemente condizionata dalla capacità di coinvolgere cittadini, professionisti e politici nella difesa di un SSN universalistico ed efficiente che ha rappresentato un grande esempio di civiltà e di impegno a trasformare un diritto costituzionale alla salute in un bene reale. In questa ampia cornice, gli epidemiologi possono dare diversi contributi preziosi.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali. Disponibile all’indirizzo: https://www.corteconti.it/Download?id=de57bfeb-eb8f-4a6c-a071-ebb2a111b6c0
  2. Davini O, Alleva E, De Fiore L et al. Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico. Scienza in rete, 02.04.2024. Disponibile all’indirizzo: https://www.scienzainrete.it/articolo/non-possiamo-fare-meno-del-servizio-sanitario-pubblico/ottavio-davini-enrico-alleva-luca-de
  3. Disegno di legge n. 719, 19.05.2023. Disponibile all’indirizzo: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/426747.pdf 
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