Editoriali
26/11/2019

Le responsabilità degli epidemiologi nella società

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Come epidemiologi impegnati nella sanità pubblica e nella ricerca abbiamo delle responsabilità nelle vicende sociali e politiche del nostro Paese, proprio per il ruolo che rivestiamo nella società. In un periodo in cui assistiamo a un generale arretramento di civiltà1 abbiamo il dovere di parlare perché non accada che le generazioni future si rivolgano a noi chiedendoci dove eravamo e di cosa parlavamo mentre ancora tornava nel mondo il demone del razzismo, della discriminazione e della intolleranza e si assisteva con inerzia al cambiamento climatico che altera il destino della umanità.
Nel mondo aumentano le diseguaglianze;2 un fenomeno che è anche visibile in Italia. Gli ultimi decenni di globalizzazione hanno in alcuni casi ridotto le disuguaglianze economiche fra le nazioni, ma hanno aumentato drammaticamente le differenze tra classi e strati sociali. Pochi nel mondo si arricchiscono sempre più, mentre moltitudini non raggiungono redditi adeguati a soddisfare i loro bisogni.3 Nelle società a economia avanzata come in Italia, le classi medie si impoveriscono e spesso non funziona la scala sociale che promuove, attraverso lo studio, il destino dei giovani verso migliori condizioni di vita. I processi di deindustrializzazione nel Nord del mondo respingono ai margini della società moltitudini che, attraverso le fasi di industrializzazione dei secoli scorsi, erano diventate protagoniste del cambiamento sociale. I processi di automazione riducono il monte lavoro che non viene arricchito con nuove proposte. La rivoluzione della comunicazione, che abbraccia il pianeta, rende tutti consapevoli delle differenze di vita e alimenta la crescita dei bisogni con la richiesta del riconoscimento dei diritti per tutte e tutti.
Ma il pianeta non viene curato a sufficienza,4 anzi la drammatica emergenza climatica determinata dall’uomo è davanti a noi, accompagnata dall’inerzia e dall’immobilità. Solo di recente il quotidiano inglese The Guardian ha annunciato che non avrebbe più usato il termine “cambiamento climatico” perché non riflette più con precisione la gravità della situazione e che avrebbe iniziato a usare un linguaggio più forte, come “emergenza climatica”, “crisi climatica”. Ma non si tratta solo di parole, quello che succede oggi è che l’emergenza è motore di grandi migrazioni tra le nazioni. A questi immani fenomeni non si risponde con il rilancio della democrazia, ma si affermano politiche di chiusura, spinte autarchiche, rilancio di visioni nazionaliste e crescono e si diffondono visioni e pratiche razziste. Si risponde negando i principi di diritto universale che l’umanità aveva formulato dopo le catastrofi delle due guerre mondiali e delle terribili pratiche di sterminio che avevano segnato il secolo scorso: il diritto al lavoro, allo studio, a un’infanzia protetta, il diritto universale alla salute, per tutte e tutti vengono troppo spesso negati. L’esperienza del passato ci ha mostrato che processi di questa natura anticipano le spinte militariste e aumentano il rischio di guerra. Ed è infatti già in ripresa in molte parti del mondo la corsa agli armamenti e si parla dell’uso della bomba atomica come strumento di confronto militare. In questo secolo in cui i progressi della scienza e della tecnologia potrebbero portare l’umanità a un grande balzo in avanti nella crescita civile, culturale e sociale in grado di risolvere i bisogni che da sempre affliggono i popoli, si ripresentano processi già percorsi dalla storia, dove il confronto civile viene sostituito dall’uso della forza e dall’intolleranza.
Pensiamo che coloro che hanno coscienza dei rischi crescenti contro l’umanità e la pace, che hanno la consapevolezza dei processi che regolano la salute dell’uomo e il benessere fisico e psichico, che sono consapevoli della crisi globale legata all’emergenza climatica, debbano alzare la voce e allertare i meno attenti perché è il futuro dei giovani a essere in gioco. Da secoli è l’Europa la maggior responsabile delle politiche coloniali e delle guerre catastrofiche che hanno coinvolto molta parte del mondo. è dall’Europa, e anche dall’Italia, che quella voce deve alzarsi, da dove nel secolo scorso, dopo milioni di morti, ci fu chi seppe scoprire i valori di civiltà e per quelli morì, nella lotta contro il nazifascismo. Dobbiamo riprendere quei valori così ben piantati nella Costituzione della repubblica italiana: la pace, la fratellanza tra i popoli, il rispetto delle persone, il riconoscimento delle differenze, la tolleranza, la lotta per il lavoro e i diritti.
Noi che ci siamo innamorati della conoscenza e del gusto della ricerca e che abbiamo avuto il privilegio di condividere le nostre aspirazioni con persone di culture, nazionalità, religioni, ideologie diverse, sappiamo quanto grande sia il valore della concordia tra i popoli. Noi che amiamo le nostre radici culturali, nazionali, regionali e locali, la nostra lingua e le nostre tradizioni, sappiamo che esse ci sono d’aiuto per comprendere le complessità della natura, e il rapporto con altre culture, lingue, intelligenze, nazionalità (non altre razze perché abbiamo imparato che esse non esistono) sono la chiave per il progresso nella conoscenza. è per questo che soffriamo nell’osservare come si diffonda l’intolleranza, la discordia, l’incomprensione, e soprattutto temiamo che si stia costruendo un futuro di guerra. Mentre avanza una società ingiusta dove le informazioni, le merci, le classi agiate e i popoli del Nord del mondo hanno più diritti alla mobilità di quanto lo abbiano i poveri del pianeta, dobbiamo affermare che ogni diritto non è, se non è per tutte e tutti. Dobbiamo assumerci la responsabilità di alzare la voce per rivendicare condizioni sociali più giuste, la difesa del pianeta e una società aperta, solidale, amichevole, dove sia forte anche il diritto al sapere e alla conoscenza e dove si riconosca che anche la pace è un diritto. Come operatori di scienza dobbiamo quindi assumerci un ruolo di voce critica nella società; dobbiamo, attraverso il nostro lavoro, essere partecipi per la riproposizione di una cultura della conoscenza che sia al servizio dell’uomo. Non basta evitare e combattere le compromissioni con il potere economico e i conflitti di interesse. è ora necessario che gli intellettuali di scienza forti del loro rigore siano più presenti nella società con un ruolo di informazione e formazione e si schierino contro i processi di degradazione civile ponendosi dalla parte dei più svantaggiati, del mondo del lavoro e dei giovani, che rivendicano un mondo vivibile anche nel futuro. Perché è con loro e da loro che verrà riproposta la cultura della civiltà a cui aneliamo. Insomma, è ora di assumerci quella responsabilità che la storia ora ci assegna per non essere obbligati un giorno, non trovando le parole, a rispondere alla domanda: «Voi dove eravate mentre… ?».

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Saracci R. Epidemiol Prev 2019;43(1):10.
  2. https://www.secondowelfare.it/povert-e-inclusione/la-disuguaglianza-economica-nel-mondo-pochi-uomini-ricchi-tanti-uomini-e-donne-poveri.html
  3. http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/la-disuguaglianza-e-una-scelta-orientare-gli-strumenti-per-la-sostenibilita-ambientale-a-favore-dei-ceti-deboli/#prettyPhoto
  4. https://ec.europa.eu/clima/policies/international/negotiations/paris_it

UNA PROPOSTA ALLA COMUNITÀ DI E&P

Sul tema del razzismo

Impegniamoci a promuovere dibattito e a produrre contributi che affrontino in termini epidemiologi gli effetti sulla comunità umana del razzismo laddove emarginazione sociale ed etnica o emarginazione lavorativa determinano modifiche delle condizioni di salute e di vita.

Sul tema della guerra

Impegniamoci a raccogliere elementi e studi che raccontino gli effetti sociali e sanitari degli eventi bellici sulle popolazioni. La rivista è da sempre aperta a informazioni che provengano dal mondo e le esperienze di guerra non sono così lontane: il Mediterraneo e il Nord Africa così a noi vicini sono teatro di guerre di cui abbiamo poche e scarse informazioni.

Sul tema dell’emergenza climatica

La rivista è aperta a contributi che documentano gli effetti del cambiamento climatico, che illustrano la drammaticità dell’emergenza e che propongono soluzioni operative ai vari livelli, dalle grandi scelte ai consumi individuali.

Sul tema delle migrazioni

Impegniamoci a studiare il triangolo salute-cambiamenti climatici-migrazioni nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Fenomeni che così fortemente agiscono sul vissuto di molti e dei quali invece non si ha una percezione sufficientemente basata sulla conoscenza.

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