Editoriali
24/06/2022

La metafora della rana bollita: schizziamo fuori dalla pentola prima che sia troppo tardi

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Una nota sulla sanità pubblica del post-pandemia non può limitarsi a descrivere i pur importanti progetti volti a promuovere la ripresa e la resilienza. Deve domandarsi se gli interventi in via di definizione saranno veramente in grado di contrastare il lento declino che da molti anni sta cambiando il volto del nostro Servizio sanitario nazionale (SSN).
La pandemia ha colpito l’Italia nel momento di massima debolezza del SSN. La drammatica e lunga emergenza è stata affrontata con determinazione ed efficacia, ma la battuta di arresto delle attività ordinarie ha inferto un ulteriore duro colpo al sistema sanitario. Attualmente, domata l’emergenza Coronavirus (per lo meno nelle sue manifestazioni più gravi), si affacciano due nuove emergenze, quella energetica (in un anno il prezzo dell’energia è più che raddoppiato) e quella geopolitica, che metteranno a rischio molte delle nostre certezze e avranno pesanti ricadute sui bilanci privati e sulle finanze pubbliche. Gli interventi pubblici di sostegno a famiglie e imprese per il caro energia e il (probabile) consistente aumento delle spese militari richiederanno risorse che difficilmente saranno aggiuntive rispetto a quelle già disponibili. Non possiamo, quindi, che attenderci nuove restrizioni a carico del welfare e nuovi sacrifici per il settore sanitario. D’altra parte, dopo i consistenti aumenti degli ultimi due anni, il documento di economia e finanza (DEF) presentato dal Governo ai primi di aprile prevede che la spesa sanitaria pubblica (in rapporto al PIL) riprenda a diminuire nel post-pandemia: nel 2025 dovrebbe raggiungere il 6,2%, un valore addirittura inferiore a quello pre-pandemia. 
Tutto ciò viene spesso presentato come inevitabile conseguenza di fattori esterni di cui non possiamo che prendere atto (il debito pubblico, l’invecchiamento della popolazione, il virus, la dipendenza energetica, la guerra eccetera), ma a essere onesti non possiamo continuare a giustificare l’impoverimento del welfare pubblico attribuendo la colpa a shock esogeni che in realtà sono frutto di strategie (ed errori) di cui siamo in gran parte responsabili. La salute, la sicurezza, la pace sono valori troppo importanti per essere oggetto di attenzione solo nell’emergenza: devono essere costruiti e accuditi giorno dopo giorno, con progetti concreti in cui l’interesse generale prevale su quello particolare. Un buon sistema di welfare si costruisce nell’ordinario, non nelle emergenze.

Le emergenze portano a trascurare l'ordinario

Nella sanità, emergenza e normalità sono sempre coesistite e spesso si sono rinforzate a vicenda: sistemi sanitari ben strutturati consentono di affrontare le crisi con maggiore efficacia, mentre eventi eccezionali spingono i Paesi a rafforzare i loro sistemi sanitari. 
Per quanto tragica, un’emergenza non dovrebbe mai portare a trascurare l’ordinario. Un’emergenza può cambiare l’ordine delle priorità, ma non può annullare nessuna delle priorità di una popolazione. 
Concentrarsi solo sulle emergenze rischia di innescare una catena di accadimenti secondari, effetto diretto delle strategie di contrasto del rischio principale e/o conseguenza del continuo rinvio di interventi ordinari comunque rilevanti. Ciò è successo anche con la pandemia di SARS-CoV-2. L’emergenza è stata talmente drammatica e prolungata che ha assorbito tutte le energie e ha finito col far trascurare attività e obiettivi tutt’altro che irrilevanti. E non ne siamo abbastanza consapevoli. La chiusura di molte attività produttive non essenziali ha impoverito la popolazione (in particolare i lavoratori meno protetti) e ha aumentato le disuguaglianze. Nella sanità, la concentrazione di tutte le risorse sulla pandemia ha impedito l’assistenza a favore di altre patologie: nel 2020, il numero di tumori alla mammella non diagnosticati è stimato pari a 3.526.1 L’organizzazione degli ospedali pubblici è stata completamente stravolta e, in attesa della fine della pandemia, molti servizi ritenuti (a torto o a ragione) meno essenziali sono stati sospesi o addirittura cancellati. Visite specialistiche, accertamenti diagnostici e chirurgia elettiva sono ancora contingentati nel servizio pubblico, mentre sono largamente offerti dal privato che – non essendo impegnato nell’emergenza COVID-19 se non marginalmente – può continuare e ampliare la propria attività. Ne è conferma il dato sulle persone che hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici: nel 2021, sono aumentate del 15% rispetto al 2020 e la pandemia è stata la principale ragione della rinuncia, mentre in precedenza erano i problemi economici a pesare di più.2 Un segno di quanto la pandemia ha inciso a lungo sulle attività ordinarie di cura, in un periodo in cui il bisogno (anche solo) di rassicurazione sul proprio stato di salute avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione.
Si tratta di effetti presentati come inevitabili, temporanei e comunque incapaci di produrre conseguenze permanenti sul sistema sanitario. Ma, purtroppo, non è così. La pandemia si è incuneata in un percorso non casuale, in atto da tempo, di lento e graduale indebolimento della sanità pubblica e ne ha accelerato l’evoluzione. Una raffinata strategia di marketing, perseguita con paziente determinazione da parte di chi ha interesse alla crescita del mercato privato delle prestazioni sanitarie e delle coperture assicurative, in alternativa al servizio pubblico. Un disegno sostenuto da una potente corrente di pensiero che considera la sanità pubblica un intralcio allo sviluppo della sanità privata. Una strategia mai apertamente esplicitata, perché percepita come difficilmente accettabile da parte della maggioranza degli italiani che continuano a dimostrare apprezzamento per la sanità pubblica: nel 2021, il 74% della popolazione esprime fiducia nel servizio sanitario, dato di gran lunga superiore a quello di molti altri Paesi europei, comprese Francia e Germania,3 così come è elevata la fiducia nei medici e nelle altre professioni sanitarie.2

La metafora della rana bollita

La pandemia ha svolto un ruolo di acceleratore del processo di lenta e progressiva sostituzione di parte del servizio pubblico con il mercato privato, spingendo i cittadini a evitare le strutture pubbliche (ancora impegnate nel COVID-19) e i professionisti a preferire contratti precari con i privati piuttosto che un lavoro strutturato nel SSN. A tutto ciò sembriamo, purtroppo, rassegnati.  
È la storia della rana bollita, una metafora utilizzata da autorevoli studiosi (da Noam Chomsky a Paul Krugman) per spiegare che quando un cambiamento, di norma ritenuto insopportabile, avviene in modo sufficientemente lento e graduale sfugge alla coscienza della maggior parte delle persone e finisce col non suscitare nessuna reazione.
Il principio della rana bollita è estremamente utile per cercare di comprendere cosa sta accadendo nel nostro Paese. Se metti una rana in una pentola piena di acqua bollente, la rana schizza fuori immediatamente; se la metti in una pentola piena di acqua fredda e piano piano alzi la temperatura, la rana si adatta progressivamente al calore e, quando l’acqua diventa bollente, non ha più la forza di reagire e muore. 
È quanto stiamo osservando. Da anni (ancor prima della pandemia) stiamo sopportando sgomenti piccoli continui segnali di degrado delle strutture sanitarie, inusuali forme di precariato (come i cosiddetti gettonisti, professionisti con partita IVA contattati attraverso agenzie di somministrazione lavoro), aumento dei ticket (anche se il superticket è stato finalmente abolito nel 2020), difficoltà di accesso alle cure (basta pensare alle lunghe procedure per ricevere assistenza in caso di persona non autosufficiente), impoverimento di servizi fondamentali (la cenerentola è la salute mentale, alla quale le regioni destinano meno del 3% delle risorse, dopo essersi impegnate a garantire almeno il 5%),4 prevalere delle priorità del mondo accademico nella formazione professionale (anziché dei fabbisogni assistenziali), consegna dell’ECM agli interessi dei fornitori privati del SSN. Per non parlare della scelta di porre un vincolo (recentemente in parte derogato) alla spesa per il personale, ferma in valore assoluto da oltre 10 anni, dimenticando che la sanità è un settore ad alta intensità di lavoro. Per la verità, molti cittadini e operatori reagiscono a tale lento declino e in molti casi riescono a resistere e a contrastarlo. A loro dobbiamo riconoscenza.
Ma la pandemia potrebbe aver dato un ulteriore duro colpo al SSN, perché ha travolto l’assistenza nell’ordinario, ampliando gli spazi per chi può permettersi di selezionare l’offerta in base a considerazioni di mera convenienza economica. Nel frattempo, la prevenzione collettiva sembra non ricevere sufficiente attenzione, così come la promozione della salute e la cultura della sanità pubblica. Purtroppo, il mercato ha bisogno di malati (veri o immaginari), non di prevenzione. Non possiamo che augurarci che il principio della rana bollita sia smentito nella realtà italiana da una possente reazione di operatori e cittadini: schizziamo fuori dalla pentola prima che sia troppo tardi.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno. 

Bibliografia

  1. Mantellini P, Falini P, Gorini G, Zappa M. Screening oncologici al tempo della pandemia da Sars-CoV-2. In: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. 13° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. Roma, 13-16 maggio 2021. Disponibile all’indirizzo: https://osservatorio.favo.it/tredicesimo-rapporto/download-13/
  2. Istituto Nazionale di Statistica. Il rapporto Bes 2021: Il benessere equo e sostenibile in Italia. Roma, Istat, 2022.
  3. 2022 Edelman Trust Barometer. The Cycle of Distrust. Disponibile all’indirizzo: https://www.edelman.com/trust/2022-trust-barometer
  4. Conferenza dei Presidenti delle Regioni, Documento sulla tutela della salute mentale. Roma, 18 gennaio 2001. Disponibile all’indirizzo: http://www.regioni.it/fascicoli_conferen/Presidenti/2001/20010118/index.htm
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