Editoriali
26/11/2012

In Italia lo screening del cancro del collo dell’utero è a una svolta

In questo numero, Epidemiologia&Prevenzione presenta un esauriente rapporto di Health Technology Assessment (HTA) paragonabile per ampiezza e qualità alle migliori analoghe pubblicazioni europee e nordamericane. Il rapporto riguarda lo screening per il cancro del collo dell’utero in un momento cruciale: dopo circa 70 anni da quando è stato proposto,1 il Pap test potrebbe cedere il passo al test per il papilllomavirus (HPV) come primo test di screening in Italia. Se il rapporto HTA sarà favorevolmente accolto, l’Italia sarebbe uno dei primi Paesi a effettuare questo cambiamento e applicarlo sistematicamente alla vasta rete degli screening organizzati messa in atto negli ultimi decenni (si vedano i ripetuti Rapporti annuali sullo stato degli screening organizzati in Italia pubblicati come supplementi di questa stessa rivista).

Il rapporto HTA illustra l’evidenza scientifica che incoraggia questo cambiamento almeno nelle donne tra 35 e 64 anni. Il fatto che il più grande e, per molti aspetti, il migliore studio clinico randomizzato mai effettuato sul confronto tra Pap test e test HPV abbia avuto luogo in nove province italiane (New Technologies for Cervical Cancer screening, NTCC)2 non è certamente irrilevante rispetto alla prontezza di questo rapporto e al suo peso scientifico e sociosanitario. Come per molti altri aspetti in salute pubblica (si pensi alla pubblicazione dei primi studi su fumo e tumore del polmone e al declino precoce del tabagismo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti), la ricerca fa da volano ai miglioramenti, poiché prepara sia il personale sanitario sia il pubblico a un cambiamento consapevole.

Non solo un confronto tra due test

È importante sottolineare che il rapporto HTA non è un mero confronto tra due test di screening, ma un esame delle implicazioni di questa scelta rispetto all’intero processo di accertamento diagnostico e trattamento delle lesioni precancerose del collo dell’utero. In quanto tale, il rapporto permette conclusioni robuste (anche se non definitive) sulla differenza del costo di uno screening basato sul test HPV rispetto a uno basato sul Pap test. Suggerisce inoltre che il test HPV permetterebbe di ridurre del 30% i costi organizzativi, in virtù di intervalli quinquennali anziché triennali, e del 20% i costi di prelievi e attività di laboratorio, nonostante nei singoli passaggi di screening le prestazioni siano più onerose.

Un programma di screening implica un’adesione convinta dei diversi tipi di specialisti e del pubblico (in questo caso femminile) coinvolti. Le considerazioni incluse nel rapporto HTA fanno ben sperare in una buona accettabilità del passaggio al test HPV. La comunità dei citologi non dovrebbe sentirsi perdente, ma anzi valorizzata dal ruolo cruciale della citologia negli accertamenti ulteriori nelle donne positive per HPV. Con una riduzione del numero di Pap test a meno di un decimo rispetto agli screening citologici, i citologi risolverebbero soprattutto il problema di un carico di lavoro ripetitivo che diventerebbe sempre più difficile da sostenere con l’auspicabile estensione degli screening organizzati all’Italia intera e a una più alta quota della popolazione (riferimento attuale nel rapporto HTA: 45% della popolazione target). Anche ai ginecologi italiani il cambiamento non dovrebbe risultare troppo difficile. Uno dei loro strumenti principali, la colposcopia, è proposta, nel protocollo basato su test HPV, a uno stadio più tardivo rispetto all’attuale, cioè dopo una positività del test HPV seguita da una citologia anormale o da un’evidenza di infezione persistente dopo un anno. Il numero di colposcopie previsto dal rapporto HTA è simile nello screening citologico e in quello con test HPV (circa 3.500 donne da sottoporre a colposcopia su 100.000 sottoposte a screening). In altri termini, l’effetto del maggiore numero di risultati positivi con il test HPV è attenuato dal triage citologico e le colposcopie (il cui esito non sarà mai completamente standardizzabile)3 si concentrerebbero su donne meglio selezionate.

Resta, ovviamente, aperto il problema del counselling alle donne con test HPV positivo, problema cruciale affinché l’introduzione di questo test non comporti una riduzione di adesione agli screening organizzati. L’offerta del test HPV non sembra aver comportato una riduzione della partecipazione nei programmi di screening inclusi nello studio NTCC e in alcuni altri studi pilota in Italia.4 Come per l’accettazione del vaccino contro l’HPV, l’impatto psicologico della trasmissibilità sessuale del virus tende a essere sopravvalutato.5 Negli studi psicosociali, infatti, è impossibile distinguere l’ansia conseguente a un test positivo da quella che deriva dal modo in cui sono discusse le implicazioni di un risultato simile. Il presente rapporto non può trattare questo tema in modo approfondito a causa della mancanza di esperienza sull’applicazione di test HPV al di fuori di un ambito di ricerca. Le conseguenze di un test HPV positivo, per quanto riguarda il processo di screening (citologia e ripetizione del test), sono chiare ma, purtroppo, non è al momento possibile indicare alla donna rimedi efficaci per ridurre la trasmissione del virus. Vaccini terapeutici e trattamenti antivirali non sono disponibili e il vaccino profilattico ha ben poco da offrire alle donne adulte e di mezza età. L’uso del preservativo non protegge molto a causa dell’estensione dell’infezione ad ampie aree della mucosa anogenitale in entrambi i sessi.6 Dal punto di vista del counselling, è soprattutto importante sottolineare che la scoperta di un’infezione HPV non permette alcuna inferenza su tempi e modi di acquisizione del virus, che può essere contratto anche con rapporti sessuali non completi e si è ritrovato in un grande studio nordamericano nelle cellule buccali nel 10,1% e 3,6% rispettivamente degli adulti di sesso maschile e femminile.7

L’uso di un test HPV nello screening cervicale serve a migliorare e anticipare la diagnosi di lesioni precancerose e non per trovare l’infezione per sé. Comporta, perciò, un certo cambiamento culturale nei laboratoristi che eseguono il test virologico. Il rapporto HTA chiarisce che ben pochi test HPV sono stati convalidati per uno uso nell’ambito di screening. Il concetto che per tali test la sensibilità richiesta sia quella clinica (capacità di diagnosticare un’infezione rilevante e potenzialmente associata a lesioni precancerose) piuttosto che analitica (capacità di diagnosticare la presenza di qualsiasi infezione HPV, anche minima) è un concetto potenzialmente controintuitivo che suscita da tempo discussioni.8 Fino a che il test HPV è stato utilizzato solo per il triage di citologie anomale, in molti Paesi si è fatto un ampio uso di test “fai da te”, tipicamente test PCR la cui sensibilità è poco standardizzata e non tarata sulla soglia delle infezioni clinicamente rilevanti. L’esecuzione di test HPV su vasta scala dovrebbe eliminare questa tentazione. La scelta del test HPV da utilizzare dovrebbe essere facile da razionalizzare nell’ambito di programmi di screening organizzati, dove l’acquisto del test è centralizzato e sono possibili economie di scala. L’accreditamento dei test HPV utilizzabili a scopo di screening e il loro rapporto costo/benefici dovranno, però, essere seguiti con attenzione negli anni a venire, in particolare davanti alla coesistenza in Italia di screening opportunistici e organizzati e al proliferare di nuovi test.

Alcune differenze

È, infine, utile considerare che l’attuale rapporto HTA italiano segue numerose pubblicazioni analoghe provenienti da altri Paesi e da diverse società scientifiche. Una ricerca su HTA e «cervical cancer» ha identificato, al 12 aprile 2012, 76 pubblicazioni che includono molti Paesi europei e nordamericani, nonché Paesi in via di sviluppo. Ai rapporti HTA si aggiungono numerose Linee guida e raccomandazioni la cui revisione sistematica non è qui possibile. Prendendo, tuttavia, come esempio le ultime raccomandazioni diffuse quest’anno dalla US Preventive Services Task Force, le aree di maggior dissenso sono rappresentate dalla posizione sul co-testing con citologia e test HPV (si veda anche il parere della Società italiana di ginecologia favorevole al co-testing) e dall’età di inizio e fine dello screening cervicale. L’utilizzo contemporaneo di test HPV e citologia è un approccio scoraggiato dai dati degli studi clinici controllati9 e osservazionali10 sull’argomento. Una citologia negativa non fornisce una rassicurazione aggiuntiva rispetto a un test HPV negativo, data l’eccellente sensibilità del test virale e la necessità di un’infezione HPV persistente per sviluppare un cancro del collo uterino. Normalmente, la positività al test HPV e quella alla citologia si evidenziano contemporaneamente, ma nei casi discordanti la positività al virus precede e resta più a lungo di quella alla citologia.11 La moltiplicazione per più di 10 volte delle citologie che si avrebbe in Italia nel caso di un co-testing sarebbe, perciò, un costo ingiustificabile.

Il problema dell’età d’inizio e fine dello screening cervicale è stato relativamente poco studiato anche nell’ambito dei programmi basati sulla citologia. Uno studio in Gran Bretagna non ha mostrato alcun beneficio a incominciare lo screening citologico a 20-24 anni piuttosto che a 25.12 La US Preventive Services Task Force, che pure cita lo studio britannico e altri analoghi, ha tuttavia raccomandato di effettuare lo screening citologico ogni tre anni tra 21 e 65 anni o ogni cinque anni tra 30 e 65 anni in caso di co-testing. Queste raccomandazioni sembrano più un compromesso che una decisione presa su basi scientifiche. In passato si trovavano, soprattutto negli Stati Uniti, raccomandazioni che consigliavano di iniziare lo screening a 18 anni o perfino subito dopo l’inizio dei rapporti sessuali. All’altro estremo, la pratica dello screening nelle donne sopra 65 anni è stata molto diffusa negli Stati Uniti.

Il fatto che la valutazione d’efficacia del test HPV sia stata più rigorosa (particolarmente in NTCC)13 di quella del Pap test alla sua introduzione ha portato a una migliore giustificazione per la scelta di 35 anni come età di inizio dello screening virologico. Per le donne di età <35 anni, il rapporto HTA propone, con realismo, di lasciare le attuali raccomandazioni invariate (tre Pap test tra 25 e 34 anni). Anche la citologia mostra, però, seppur in minor misura del test HPV, un problema di scarsa specificità e possibile sovratrattamento nelle donne più giovani.12 L’età a cui terminare lo screening ha ricevuto ancor meno attenzione dell’età d’inizio e dovrebbe essere oggetto di un’attenta rivalutazione, sia in NTCC sia in altre basi di dati. Una donna che non ha mai avuto accesso a uno screening di buona qualità può avere un beneficio a essere sottoposta a screening almeno fino a che la sua attesa di vita eccede i dieci anni.14 Molte donne anziane sono in questa condizione, specialmente nel Sud Italia, e infatti costituiscono la maggiore fonte di cancri del collo dell’utero letali (si vedano le pubblicazioni AIRTUM, supplementi si questa rivista). Per contro, sarebbe importante valutare se il test HPV permetta o meno di cessare lo screening cervicale prima dei 65 anni, non perché nuove infezioni da HPV non possano insorgere, ma perché la loro probabilità di evolvere in cancro del collo dell’utero potrebbe essere minima.15

Bibliografia

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  3. Jeronimo J, Schiffman M. Colposcopy at a crossroads. Am J Obstet Gynecol 2006;195(2):349-53. 
  4. Ronco G, Della Palma P, Beccati D et al. HPV screening: current programs and implementation procedures. Europe: the Italian program. EUROGIN 2011, Lisbon, Portugal, 8-11 May 2011. Presentation MSS 4-2; 2011; Abstract. 
  5. Ogilvie G, Anderson M, Marra F et al. A population-based evaluation of a publicly funded, school-based HPV vaccine program in British Columbia, Canada: parental factors associated with HPV vaccine receipt. PLoS Med 2010; 7(5):e1000270.
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  9. Franceschi S, Denny L, Irwin KL et al. Eurogin 2010 roadmap on cervical cancer prevention. Int J Cancer 2011;128(12): 2765-74. 
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  11. Markt SC, Rodriguez AC, Burk RD et al. Longitudinal analysis of carcinogenic human papillomavirus infection and associated cytologic abnormalities in the Guanacaste natural history study: looking ahead to cotesting. J Infect Dis 2012; 205(3):498-505. 
  12. Sasieni P, Castanon A, Cuzick J. Effectiveness of cervical screening with age: population based case-control study of prospectively recorded data. BMJ 2009;339:b2968. 
  13. Ronco G, Segnan N, Giorgi Rossi P et al. Human papillomavirus testing and liquidbased cytology: results at recruitment from the new technologies for cervical cancer randomized controlled trial. J Natl Cancer Inst 2006;98(11):765-74. 
  14. Sasieni P, Castanon A, Cuzick J. What is the right age for cervical cancer screening? Womens Health (Lond Engl ) 2010;6(1):1-4. 
  15. Plummer M, Peto J, Franceschi S. Time since first sexual intercourse and the risk of cervical cancer. Int J Cancer 2012; 130(11):2638-44.
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