Editoriali
26/11/2018

Il paziente complesso nell’attuale pratica medica: l’esempio della dispnea

Nel leggere il recente editoriale di Alessandro Boccanelli,1 e le riflessioni sul nuovo quadro epidemiologico della patologia cardiovascolare, ho avuto la conferma dell’inevitabile distacco della pratica medica dalla consolante sistematicità d’inquadramento del paziente in patologie d’organo, quelle suggerite dai libri di testo di medicina e dalla stessa struttura dei corsi universitari. In realtà, sempre più spesso, il sistema sanitario si confronta con pazienti portatori di molte patologie, e tra queste il medico deve individuare il miglior percorso che ne consenta un apprezzabile miglioramento dello stato di salute, distinguendo, per ogni singolo caso, l’essenziale dal superfluo, all’interno della vasta gamma di presidi diagnostici e terapeutici oggi disponibili.2 In attesa di nuovi libri e nuovi approcci, che descrivano il paziente complesso e non più le singole patologie, e di nuove strutture dei corsi universitari, è necessario trovare un equilibrio fra l’indispensabile individualizzazione delle scelte e quanto di generalizzabile viene fornito dagli studi clinici controllati e dalle varie forme riassuntive dei risultati ottenuti nei medesimi studi.3
Credo che un ragionevole punto di partenza in questo percorso possa essere costituito dal ritorno della pratica medica all’apprezzamento dello stato di salute del paziente, iniziando dall’analisi dei più comuni elementi costituivi del suo malessere. In questo quadro, la fame d’aria e il respiro corto o faticoso, sono fra le espressioni più comuni di un cattivo stato di salute, che molto spesso, come molti colleghi, ho sbrigativamente riassunto nelle cartelle cliniche con il termine dispnea.

Le dimensioni epidemiologiche della dispnea

Stando alla traduzione del greco δυ′σπνοια, con dispnea si dovrebbe identificare un’oggettiva alterazione di frequenza o ampiezza degli atti respiratori. In effetti, si fa riferimento a «un’esperienza eminentemente soggettiva di disagio nel respirare costituita da sensazioni qualitativamente distinte e di variabile intensità».4 Questa definizione è del tutto simile a quella del dolore, anch’esso eminentemente soggettivo e variabile per qualità e intensità. Le due sensazioni, separatamente o associate in varia misura, costituiscono probabilmente il più frequente motivo di richiesta di assistenza medica nei paesi a elevato livello di sviluppo economico e contribuiscono in misura determinante al peggioramento della qualità e dell’aspettativa di vita.
L’epidemiologia descrittiva della dispnea, per la verità non molto frequente in letteratura e purtroppo priva di contributi italiani significativi, indica prevalenze nella popolazione generale adulta che oscillano fra 9 e 13%,5-7 con valori più elevati, stimati fra 15 e 18%, nella popolazione in età pari o superiore a 40 anni,6,8,9 fino a raggiungere frequenze superiori a 25% nella popolazione di 70 e più anni.10 Tra i pazienti ricoverati in ospedale o seguiti ambulatorialmente, si possono trovare stime di prevalenza della dispnea rispettivamente pari a 50 e 25%.11 Infine, stime ottenute negli Stati Uniti ci dicono che “mancanza di fiato” o “respiro faticoso” sono le cause principali di non meno di 3 milioni di visite all’anno nei dipartimenti di emergenza.12
L’impatto della dispnea sulla salute della popolazione è correlato al suo ruolo preminente nel peggioramento della qualità di vita nei pazienti affetti da alcune fra le più comuni malattie croniche, quali lo scompenso cardiaco cronico e la broncopneumopatia cronica ostruttiva. I più noti questionari specifici per la misura della qualità di vita in queste malattie, quali il Chronic Heart Failure Questionnaire13 e il St. George's Respiratory Questionnaire,14 attribuiscono ai quesiti sulla dispnea un peso molto rilevante rispetto allo score globale predittore di un’ottimale qualità di vita. L’impatto dei sintomi invalidanti dovuti alle malattie croniche è stato evidenziato ulteriormente dall’incremento costante, negli ultimi due decenni, delle stime degli anni passati in condizione di malattia (YLD) a fronte della sensibile, ma più piccola, diminuzione degli anni di vita persi per le medesime malattie (YLL).15 In altri termini, nei paesi a elevato livello di sviluppo economico, a fronte di risultati molto positivi in termini di attesa di vita nei pazienti affetti da malattie croniche, si è evidenziata la necessità di far fronte ai carichi connessi all’assistenza di un sempre più elevato numero di pazienti con elevato livello d’invalidità. Dalle considerazioni precedenti emerge con chiarezza la dimensione attuale del problema sanitario causato dalla dispnea. Con molta probabilità, nel prossimo futuro questa dimensione aumenterà a causa della contemporanea presenza di tre fattori: invecchiamento della popolazione, aumento della frequenza di eccesso ponderale o obesità, aumento della frequenza degli stili di vita sedentari.
In un moderno sistema sanitario il problema dispnea dovrebbe trovare una risposta articolata su più punti: riconoscimento della dispnea e delle sue cause più probabili, misura della dispnea per valutare oggettivamente l’efficacia degli interventi, ottimizzazione della terapia sintomatica delle malattie croniche all’origine della dispnea, terapia della dispnea persistente o idiopatica.

Il riconoscimento della dispnea

Nella pratica medica corrente la visita di un paziente che chiedesse di sapere perché soffre a causa di una respirazione “pesante“ o “faticosa” o “dolorosa” e di essere aiutato a ridurre o eliminare queste sensazioni sgradevoli, sarebbe quasi certamente registrata come visita di un paziente genericamente “dispnoico”, per il quale è opportuno richiedere alcuni accertamenti strumentali o una consulenza specialistica, indirizzata preferibilmente, ma spesso casualmente, verso un cardiologo o uno pneumologo.
Negli ultimi decenni sono stati compiuti molti progressi nell’individuazione dei complessi meccanismi che portano ad avvertire quelle sensazioni che trovano una sintesi inappropriata, ma di uso generalizzato, nel termine dispnea. In effetti, il linguaggio utilizzato dai pazienti per descrivere le loro sensazioni può costituire un punto d’accesso alla comprensione dei meccanismi che ne sono all’origine,11,16 così che la conoscenza delle diverse espressioni linguistiche e della loro relazione con i meccanismi fisiologici all’origine della sintomatologia dovrebbe essere utilizzata per formulare le prime ipotesi sulle cause della dispnea. La pratica medica dovrebbe quindi prevedere l’ascolto del paziente e l’analisi dei contenuti del suo linguaggio come strumento operativo di primo intervento per il paziente “dispnoico”. Purtroppo, i percorsi educativi del personale sanitario, e dei medici in particolare, non prevedono alcuna formazione specifica su questo punto e la pratica sommariamente sopra descritta è il risultato di questa carenza educativa, unita ai tempi contingentati delle visite e a un eccesso di fiducia nella soluzione strumentale o specialistica di qualunque quesito medico.

La misura della dispnea

È assai raro rintracciare in una cartella clinica, che si tratti di pazienti ricoverati o ambulatoriali, accanto alla definizione di paziente “dispnoico”, una qualsiasi misura di tale condizione. Questo fatto è in stridente contrasto con l’opinione, condivisa dalle principali società scientifiche, che, in analogia a quanto avviene ormai comunemente per il dolore, anche nel caso della dispnea una corretta misura sia il presupposto di un trattamento adeguato e della valutazione dei suoi effetti.11
In realtà, in accordo con la cultura e la pratica medica ancor oggi prevalente, le variabili oggettive (i segni della malattia) sono spesso riportate nelle cartelle cliniche in termini quantitativi, mentre le variabili soggettive (i sintomi riferiti dal paziente) sono riportate esclusivamente in termini di presenza/assenza, al più accompagnate da qualche aggettivo che ne esprime la dimensione sulla base dell’apprezzamento soggettivo del medico. Nel caso del dolore, un lento percorso di progresso culturale ha portato ad attribuire al sintomo una grande e autonoma rilevanza, anche se spesso limitata alla condizione del paziente oncologico, e all’istituzione di ambulatori e centri specialistici per la terapia del dolore. Per la dispnea, un simile percorso non è neppure iniziato.
A parziale giustificazione di questo ritardo, si può rilevare la molteplicità delle scale proposte per la misura della dispnea, la loro eterogeneità rispetto all’oggetto specifico della misura, che si tratti della misura di una specifica sensazione o della reazione emotiva da essa determinata o della limitazione funzionale ad essa conseguente, e infine la caotica scelta delle scale utilizzate nei trial clinici, in cui la dispnea ancor oggi rientra quasi esclusivamente fra gli esiti secondari.
Non potendo dilungarmi ulteriormente su questo punto, mi limito a condividere l’auspicio che la ricognizione sistematica delle proprietà e delle indicazioni per l’uso delle diverse scale proposta dall’American Thoracic Society11 segni l’inizio del recupero di un ritardo culturale che attualmente nuoce a una buona pratica medica.

La terapia della dispnea associata alle malattie croniche

La dispnea o, più correttamente, la presenza di una o più sensazioni sgradevoli associate all’atto del respiro è una manifestazione di molte condizioni di malattia che possiamo operativamente suddividere in condizioni acute o croniche. Infatti, nel caso delle condizioni cliniche acute, la dispnea è un indicatore della condizione di malattia, che ne rivela la presenza e può aiutare il medico nella diagnosi, ma tenderà a evolvere e a risolversi con l’evoluzione e l’auspicabile risoluzione dell’acuzie. Anche nel caso delle malattie croniche la dispnea può essere utilizzata per individuare e definire la condizione di malattia, ma spesso insorge tardivamente nel corso della malattia, ne diviene un indicatore di gravità e un predittore della prognosi, assume un grande rilievo nella compromissione dello stato di salute conseguente alla presenza della malattia e, infine, diviene di per sé un esito che dovrebbe essere oggetto di uno specifico trattamento. Fortunatamente la medicina moderna dispone di trattamenti che, in molti casi, pur in assenza di un processo di guarigione, portano a un significativo miglioramento delle condizioni fisiologiche da cui si generano i sintomi costitutivi della dispnea in molte malattie croniche. Limitando, per brevità e ovvio interesse professionale dello scrivente, l’attenzione alle malattie polmonari croniche ostruttive, sono disponibili trattamenti farmacologici, riabilitativi, reintegrativi o di supporto meccanico alla respirazione e, sia pur raramente, chirurgico-interventistici, sicuramente efficaci nel ridurre la dispnea associata cronicamente a queste assai frequenti condizioni di malattia.
Tuttavia, in molti casi, la dispnea rimane un elemento che caratterizza in modo preminente la qualità di vita di questi pazienti, anche in presenza di una utilizzazione ottimale di tutti i presidi sopra elencati. Questa situazione è ancor più evidente in tutte le patologie polmonari croniche per le quali esiste un minor numero di presidi terapeutici o una loro minore efficacia. In questi casi, e in altri che saranno oggetto di attenzione nel prossimo paragrafo, si pone il problema di trattare la dispnea di per sé, e non indirettamente, mediante il trattamento della condizione da cui trae origine.

Trattare la dispnea

In pazienti anziani o affetti da patologie croniche, la tendenza all’utilizzo di una politerapia farmacologica, spesso inappropriata e fonte di effetti collaterali, è costantemente descritta in recenti lavori di epidemiologia clinica.17,18
Nella nostra realtà, una cattiva qualità percepita del respiro è presente in molte persone che non sono affette da nessuna malattia cronica. Nei Paesi a elevato livello economico la presenza contemporanea di età avanzata, sedentarietà ed eccesso di peso è responsabile di gran parte di questa sintomatologia. Infatti, l’involuzione della funzione respiratoria tipica dell’età senile, il maggior carico meccanico imposto dall’obesità al movimento della gabbia toracica e l’ostacolo opposto dall’obesità addominale al movimento del diaframma, la perdita progressiva dell’abitudine a tollerare le maggiori necessità di ventilazione richieste dall’esecuzione di qualsivoglia esercizio fisico, fanno sì che molti anziani si rivolgano al medico per una sensazione di respiro insoddisfacente. In questi casi, in assenza di una malattia chiaramente diagnosticata, sarebbe essenziale non somministrare farmaci che hanno indicazione soltanto per specifiche condizioni di malattia, ma limitarsi a ridurre l’apporto calorico giornaliero, proporre un’adeguata attività fisica aerobica e una corretta informazione e rassicurazione del paziente in merito all’assenza di gravi malattie.
Un altro gruppo numeroso di pazienti è costituito da coloro che si presentano con una condizione di fame d’aria, cronica o accessionale, di origine eminentemente psichica. In questi casi, il linguaggio utilizzato dal paziente per descrivere i propri sintomi e la valutazione delle circostanze in cui i sintomi si presentano con maggiore evidenza sono molto utili nell’individuazione della loro origine. Ne dovrebbe conseguire un adeguato indirizzo del paziente verso il terapeuta più appropriato, che potrà disporre interventi efficaci non solo farmacologici.
I pazienti che presentano una condizione di dispnea cronica grave, anche in caso di uso ottimale delle terapie per le malattie che ne sono causa, sono coloro per i quali è disponibile un minor numero di interventi di provata efficacia. Limitandoci alla terapia farmacologica, soltanto gli oppiacei presentano un’efficacia dimostrata in molte patologie croniche polmonari e cardiache, in assenza di gravi effetti collaterali.19 La somministrazione di furosemide o di anestetici locali per inalazione, come pure l’uso di ansiolitici, antidepressivi e antipsicotici, pur oggetto di numerosi studi, non è raccomandata per l’assenza di efficacia dimostrata con sufficiente chiarezza. Recentemente, uno studio canadese sull’inalazione per aerosol di derivati della cannabis in soggetti affetti da grave broncopneumopatia cronica ostruttiva ha dato risultati negativi per quanto concerne la riduzione della dispnea.20 Ugualmente, non sono disponibili prove di efficacia dimostrata per molti interventi di medicina alternativa come agopuntura, pressoterapia, yoga.
Concludendo, credo che la dispnea e il nostro modo di affrontarla siano un valido esempio del modo di presentarsi di un paziente complesso e della pratica professionale attuale rispetto a un simile paziente. Ritengo che gli interventi brevemente illustrati possano migliorare tale pratica, ma saranno possibili soltanto a seguito di una presa d’atto di quanto sia insoddisfacente l’attuale situazione. Sarebbe infine auspicabile che gli epidemiologi si interessassero maggiormente allo studio della occurrence of illness e non quasi esclusivamente allo studio della disease frequency,21 tenendo presente quanto l’esperienza soggettiva di un cattivo stato di salute sia spesso più rilevante, per il carico sanitario che ne consegue, rispetto alla condizione oggettiva di una malattia d’organo.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

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