Editoriali
23/04/2021

Epidemiologia, vaccini e vaccinazioni

Il titolo in evidenza sulla copertina dell’ultimo numero di E&P si chiede in modo provocatorio se la sanità pubblica si debba basare solo su studi randomizzati e controllati per produrre le proprie evidenze, utilizzando gli strumenti che sono stati definiti come il gold standard dell’evidenza scientifica.
Le vaccinazioni attuali contro COVID-19 ci offrono l’occasione per qualche considerazione e, forse, per ribaltare alcune convinzioni.
L’attesa quasi messianica di prodotti in grado di immunizzarci contro la pandemia è finita, ma ora ci rendiamo conto che ancora molti problemi sono sul tappeto e gli epidemiologi sono di  nuovo candidati a dare le risposte più importanti, ma soprattutto tempestive.

Dall’inizio della pandemia, in modo quasi incredibile, nel giro di alcuni mesi, sono stati messi a punto vaccini che, in condizioni non emergenziali, sarebbero stati sviluppati nel corso di 5-10 anni.  I vaccini progettati con approcci innovativi sono stati in realtà l’ultimo passo di ricerche condotte nell’arco di un lungo tempo su vari sistemi per stimolare risposte immuni efficaci. I vaccini a RNA sono stati studiati anche come supporto terapeutico nei confronti di alcune forme di cancro. Con una disponibilità eccezionale di risorse economiche, i tempi di studio e produzione dei nuovi prodotti sono stati abbreviati al massimo, senza per questo rinunciare alle verifiche richieste dalle agenzie regolatorie come la European Medicine Agency (EMA) nell’Unione europea e la Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti. Per ogni nuovo vaccino di cui si chiede l’autorizzazione all’immissione in commercio, entrambe le agenzie richiedono la conduzione di studi eseguiti in sequenza, in cui passare dai dati di laboratorio alla valutazione dell’effetto su campioni estesi della popolazione a cui si offrirà la vaccinazione. Secondo le linee guida correnti, nell’Unione europea le sperimentazioni cliniche controllate sull’uomo (di cui quelle di efficacia e sicurezza sono indicate come studi di fase 3) richiedono l’osservazione di almeno 3.000 persone vaccinate, al fine di ottenere adeguate misure di efficacia protettiva e di sicurezza d’uso. Per la sicurezza, in particolare, la prassi europea richiede di riuscire a mettere in evidenza il verificarsi di eventi, definiti come rari, con una frequenza di almeno 1 caso ogni mille vaccinati. 

In genere, le domande di autorizzazioni agli enti regolatori vengono presentate per la valutazione finale quando corredate da tutti i dati già raccolti.  Nell’attuale situazione di emergenza, EMA e FDA hanno adottato, invece, un programma di valutazione formale che andasse di pari passo con la produzione dei risultati conseguiti, risparmiando così parecchio tempo. I risultati degli studi randomizzati controllati di efficacia e di sicurezza sono stati comunque forniti prima del rilascio dell’autorizzazione di ogni vaccino, una volta che il numero di casi registrati è stato sufficiente a marcare una solida differenza tra i vaccinati e i non vaccinati. C’è da sottolineare che le regole non sono le stesse in tutto il mondo e, per esempio, il vaccino russo denominato Sputnik è stato registrato nell’agosto 2020, ma la sperimentazione di fase 3 è iniziata solo a settembre dello stesso anno. Regole diverse di questo tipo sono alla base della difficoltà di acquisire vaccini sviluppati fuori dall’ambito dell’Unione europea o degli Stati Uniti. Quando il produttore e l’ente regolatorio di valutazione coincidono, come nel caso di vaccini prodotti dal settore pubblico, tempi e criteri possono essere diversi, ma anche soggetti a pericolosi cortocircuiti. Nell’Unione europea, i ruoli ben divisi lasciano al produttore l’onere della prova di efficacia e sicurezza e a un ente indipendente, l’EMA, la responsabilità di decidere circa l’autorizzazione all’immissione in commercio. 

Sia nell’Unione europea sia negli Stati Uniti, i risultati degli studi randomizzati controllati (RCT) di fase 3 sono determinanti nella formulazione di un parere positivo da parte delle agenzie regolatorie e, nel caso dei vaccini contro COVID-19, i protocolli degli studi sono stati resi pubblicamente disponibili.  

Per un epidemiologo, disegnare e condurre un RCT è un’occasione rara ed entusiasmante. È l’opportunità di decidere a priori il disegno dello studio e controllare in modo sperimentale gran parte dei fattori che possono alterare la corretta interpretazione dei risultati. Si decide la dimensione del campione da arruolare, il numero dei gruppi (bracci) da confrontare, come allocare le persone in ogni braccio, quanto far durare il tempo di osservazione, come raccogliere e analizzare i dati. È avere carta bianca su molti dei fattori che negli studi osservazionali possono causare distorsioni e rendere difficili le inferenze. Ma fissare in anticipo le regole e calarle nel lavoro organizzativo di un RCT non è un lavoro facile ed è quasi sempre condotto da specialisti delle case farmaceutiche. 
Per i vaccini contro COVID-19, le aziende hanno organizzato studi di dimensioni ben superiori a quanto previsto nell’ordinario per accorciare il più possibile i tempi di osservazione, la cui durata mediana non è stata mai inferiore ai due mesi di osservazione dopo la completa immunizzazione e l’efficacia di ogni vaccino è stata stimata come la proporzione prevenuta di infezioni con sintomi, di ricoveri in ospedale, di decessi (pochissimi) registrati tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati. Come immaginabile, la conduzione di RCT in corso di pandemia non è stata semplice per motivi organizzativi, ma anche per le scelte da farsi a priori sul dosaggio da utilizzare, sulla popolazione target (solo adulti e preferenzialmente con condizioni di salute a rischio per complicanze COVID), sulle aree geografiche e relative etnie, e su mille altri aspetti da considerare con le poche informazioni disponibili sulla storia naturale della malattia. 

Per i quattro vaccini autorizzati nell’Unione europea, ricordiamo che lo studio RCT del vaccino Pfeizer ha arruolato circa 42.000 persone, egualmente divise tra vaccinati e non vaccinati, lo studio Moderna ne ha arruolate circa 30.000 in due bracci di uguali dimensioni.  Il vaccino AstraZeneca è stato studiato in 4 RCT differenti che hanno incluso circa 12.000 vaccinati e quasi altrettanti controlli, a cui è stato somministrato un vaccino antimeningococcico o un placebo. Gli studi RCT sul vaccino Janssen hanno incluso circa 44.000 persone, divise in due gruppi di vaccinati e non vaccinati.  
Condurre questi studi è un impegno titanico da parte di un esercito di ricercatori (e gran parte degli gli studi avviati sono formalmente ancora in corso), ma anche valutarne la qualità e i risultati è particolarmente impegnativo per le agenzie regolatorie, non tanto per gli aspetti formali o burocratici, ma proprio per la necessità di verificare la qualità dei dati forniti e valutare se i dati presentati siano sufficienti per sostenere le indicazioni di uso richieste. Tanto per fare un esempio, nel report pubblico EMA di valutazione (European Public Assessment Report) del vaccino di AstraZeneca i valutatori sottolineano la frequenza degli aggiustamenti introdotti nei protocolli di studio dei 4 RCT: 12 emendamenti allo studio COV001, 14 allo studio COV002, 8 COV003 e 4 al COV005. La rigidità del disegno di uno studio RCT, considerata garanzia di qualità dei risultati, è stata “piegata” dai diversi cambi di rotta (alcuni dei quali non trascurabili, come quello per la somministrazione di una mezza dose anziché una dose piena, oppure l’introduzione di una seconda dose dove agli arruolati era stato richiesto di partecipare a uno studio con una sola dose) e il disegno di studio generale è diventato, seppure in modo non intenzionale, di tipo adattativo. Il risultato è stato che diversi dati raccolti non sono stati considerati di qualità adeguata e che le stime di efficacia ufficiali approvate dall’ente regolatore sono state differenti da quanto riportata dalla pur prestigiosa pubblicazione scientifica dei produttori sulla rivista The Lancet.1 Inoltre, la carenza di dati per le persone oltre i 55 anni di età è stata sottolineata, per esempio, dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) come una lacuna da colmare, pur essendo il vaccino autorizzato per l’uso dai 18 anni di età.

C’è consenso unanime nel riconoscere ai risultati degli RCT il ruolo di pietre miliari nella produzione di evidenze, ma il mondo reale è il banco di prova su cui ottenere conferme e ampliare le nostre conoscenze.
Gli RCT condotti dai produttori hanno fornito i risultati più urgenti e sulla scorta di questi sono stati avviati i programmi di vaccinazione. Ogni volta che l’offerta di un singolo vaccino viene inserita e promossa attivamente dalla sanità pubblica, l’onere della prova passa a carico di quest’ultima, anche se i produttori rimangono responsabili della raccolta di dati per gli aspetti di sicurezza. 
La capacità della sanità pubblica di rispondere in modo adeguato a questo dovere di accountability dipende dalla presenza di infrastrutture informative, dalla qualità e tempestività dei dati raccolti, dalla loro accessibilità (e faccio notare che qualità e accessibilità dei dati vanno di pari passo, perché più gente utilizza i dati maggiore è la probabilità di rilevare incongruenze o inesattezze) e dalla presenza di competenze epidemiologiche di analisi e valutazione dei risultati. Insomma ancora una volta l’approccio epidemiologico è cruciale per sostenere lo sforzo di contrasto alla pandemia attuale. 

I dati dal mondo reale stanno arrivando per primi dai Paesi meglio organizzati in questo senso e che hanno sistemi tempestivi e interconnessi. In Israele, un accordo commerciale con Pfeizer ha permesso a quella popolazione di avere ampio accesso ai vaccini in cambio di dati, raccolti sul campo, di qualità adeguata a essere utilizzati anche in sedi regolatorie. Per poter attribuire il calo dell’incidenza di COVID-19 allo specifico vaccino Pfeizer, e farlo rapidamente, l’azienda ha fornito grandi quantità di prodotto e di fatto ha reso inutile dover ricorrere ad altri prodotti, che avrebbero complicato l’interpretazione dei risultati. Dal canto suo, il governo ha garantito rapidità e accuratezza dei dati raccolti. La qualità delle infrastrutture ha un valore anche commerciale e questo andrebbe ricordato a chi è responsabile dei nostri sistemi informativi. Così come è altrettanto importante ricordare il valore della tempestività delle analisi epidemiologiche che devono guidare le azioni di sanità pubblica. Alla fine di febbraio 2021, è stato pubblicato il primo resoconto delle vaccinazioni effettuate in Israele tra il 20.12.2020 e il 01.02.2021, in cui la frequenza di infezione e ricovero ospedaliero nella coorte di circa 500.000 persone vaccinate sono state confrontate con un gruppo della stessa numerosità di persone non vaccinate, appaiate per età, genere e comorbidità.2 L’analisi in corso di campagna di vaccinazione ha permesso di confermare i dati pre-registrazione circa l’effetto della prima dose su grandi numeri e di ottenerne di nuovi sulla capacità della vaccinazione di prevenire anche le infezioni senza sintomi.

Anche in Gran Bretagna le vaccinazioni sono partite in maniera molto spedita, come contromisura a un’ondata della pandemia estremamente intensa, utilizzando il vaccino di AstraZeneca e quello di Pfeizer. La Gran Bretagna ha fatto la scelta di allargare la platea dei vaccinati con una prima dose, a scapito del rispetto della schedula vaccinale di Pfeizer approvata in sede regolatoria. La somministrazione della seconda dose è stata allineata per entrambi i vaccini a distanza di 12 settimane dalla prima. Alla fine di febbraio 2021, la Scozia è stata in grado di pubblicare i dati sulla protezione della prima dose di vaccino nei confronti del ricovero ospedaliero riferiti alla popolazione di 5,4 milioni di abitanti, mettendo in relazione i dati delle vaccinazioni, quelli dei ricoveri e quelli degli assistiti.3 L’esteso campione ha permesso di osservare per la prima volta, con numeri adeguati anche su gruppi di età avanzate, la capacità di protezione della prima dose dei vaccini nei confronti dei ricoveri ospedalieri. Inoltre, lo stesso grado di efficacia vaccinale è stato stimato per le persone di età superiore agli 80 anni, colmando per esempio la lacuna di informazione osservata in fase pre-registrazione. 

In base ai dati provenienti dal mondo reale, sono stati modificati i programmi di vaccinazione anche in Italia, aggiustando il tiro sulle raccomandazioni per età (per esempio, raccomandando AstraZeneca per gli ultrasessantenni) o sulle differenze di efficacia per i singoli prodotti inizialmente stimate dagli RCT (per esempio, osservando l’elevato grado di protezione di tutti i vaccini nella prevenzione dei ricoveri e dei casi gravi).
Possiamo concludere che la risposta alla domanda iniziale «solo RCT per la sanità pubblica?» è senz’altro: «No». La gestione della risposta alla pandemia, centralizzata in condizione di emergenza, include la scelta dei vaccini, delle modalità di offerta e di somministrazione, ma la sanità pubblica mantiene la responsabilità della verifica degli effetti delle vaccinazioni, perché solo le strutture della sanità pubblica possono monitorare lo stato di salute della popolazione.  L’epidemiologia dispone di tutta una serie di disegni di studi osservazionali che possono essere condotti anche sulla scala di aree geografiche limitate, ma che, se replicati in modo corretto, possono contribuire enormemente a consolidare le conoscenze disponibili e a crearne di nuove.  Se l’occasione di disegnare un RCT capita raramente, invece le occasioni di imparare dalla vita reale sono quotidiane e da non perdere.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Voysey M, Costa Clemens SA, Madhi SA et al. Safety and efficacy of the ChAdOx1 nCoV-19 vaccine (AZD1222) against SARS-CoV-2: an interim analysis of four randomised controlled trials in Brazil, South Africa, and the UK. Lancet 2021;397(10269):99-111.
  2. Dagan N, Barda N, Kepten E et al. BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine in a Nationwide Mass Vaccination Setting. N Engl J Med 2021. Online ahead of print. doi: 10.1056/NEJMoa2101765.
  3. Vasileiou E, Simpson CR, Robertson C et al. Effectiveness of first dose of COVID-19 vaccines against hospital admissions in Scotland: national prospective cohort study of 5.4 million people. Preprint. Lancet 2021. Disponibile all’indirizzo:
     https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3789264
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