Curare la mente fa bene al cuore
La depressione e le malattie cardiovascolari sono oggi due delle patologie più diffuse nei Paesi industrializzati. Oltre ad avere basi patofisiologiche comuni,1,2 esse si manifestano spesso in comorbidità, a dimostrazione del fatto che il legame cuore-cervello non può più essere considerato una mera speculazione teorica. Numerosi dati empirici e clinici, infatti, mostrano che forti distress emotivi derivanti da stress acuti o cronici oppure dalla presenza di conclamate patologie mentali sono comunemente associati a un elevato rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare e a un aumento dell’incidenza di ricadute e del tasso di mortalità in presenza di patologia cardiaca.
Il maggior numero di ricerche sul legame cuore-cervello riguarda la depressione maggiore, dal momento che, da una parte, essa ha un’incidenza 3-4 volte superiore nei pazienti con patologia cardiovascolare rispetto alla popolazione generale,3 dall’altra, le patologie cardiovascolari sono comuni in chi soffre di depressione.4 Inoltre, poiché si prevede che entro il 2020 la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo dopo le malattie cardiache,5 comprendere il legame tra queste due patologie è imperativo per minimizzarne l’impatto sulla salute a livello globale. A oggi sappiamo che la depressione è un fattore di rischio indipendente nello sviluppo della patologia cardiovascolare,6,7 che essa insorge spesso in seguito a eventi cardiaci acuti e che, se persistente, ne peggiora la prognosi e la qualità di vita,6 aumentando la frequenza delle ricadute e il tasso di mortalità.7
Meno studiato della depressione, ma certamente rilevante nella comprensione dello sviluppo e della prognosi delle patologie cardiovascolari, è il ruolo di ansia e stress. I pazienti cardiovascolari tendono a manifestare livelli di ansia molto elevati, soprattutto nella fase di recupero.8
Gli studi epidemiologici indicano, inoltre, che c’è un rischio di morte improvvisa dopo un infarto del miocardio, che risulta maggiore nei pazienti ansiosi rispetto ai non ansiosi.9 Dall’altra parte, i correlati patofisiologici dell’ansia sembrano contribuire ad aumentare il rischio di patologia cardiaca.10
Anche lo stress, dal canto suo, sembra essere un precursore e una conseguenza della malattia cardiaca: è evidente, infatti, che stress ambientali o mentali elevati possono indurre una risposta cardiaca patologica che può causare ipertensione, aterosclerosi e vere e proprie patologie cardiovascolari,11,12 e che le patologie cardiache inducono elevati livelli di stress nella fase post-acuta.13
A rafforzare ulteriormente l’evidenza del legame tra cuore e cervello vi sono i dati che dimostrano un’incidenza superiore alla media di patologie cardiovascolari in pazienti psichiatrici14 e in individui con determinati profili di personalità;15,16 viceversa, si riscontra un’elevata incidenza di disturbi psicologici e comportamentali in pazienti con patologie cardiache congenite.17
In ultimo, ma non di minore importanza, è il legame tra la sofferenza psicologica e altri importanti fattori di rischio per la patologia cardiovascolare, quali il fumo, la scarsa attività fisica, il sovrappeso e l’eccessivo consumo di alcol. Numerosi studi, tra cui il Behavioral Risk Factor Surveillance System (che conta 217.379 partecipanti), hanno, infatti, mostrato che gli adulti con una diagnosi attuale o passata di ansia o depressione sono significativamente più proni a manifestare comportamenti di rischio18 e meno disposti a modificare tali comportamenti anche in seguito all’insorgenza di una patologia cardiovascolare19 rispetto a coloro che non presentano problematiche psicologiche. Questo provoca un ulteriore aumento del rischio di sviluppare patologie cardiache e di incorrere in recidive, con una conseguente diminuzione della qualità di vita dei pazienti stessi e un aumento della spesa sanitaria.
Nonostante tali evidenze, le linee guida internazionali,4 che prevedono uno screening per la depressione nei pazienti con patologia cardiovascolare, sono quasi del tutto ignorate, così come negli attuali programmi di prevenzione cardiovascolare è totalmente assente uno screening psicologico. Se a ciò aggiungiamo il fatto che i medici sono tendenzialmente focalizzati solo sul sintomo fisico e sulle cause biologiche della malattia e che i pazienti tendono a nascondere le problematiche psicologiche, poiché le sottovalutano, o per retaggi culturali relativi alle malattie mentali, ci rendiamo conto che, nonostante le conoscenze scientifiche circa il legame cuore-cervello, ne stiamo trascurando l’importanza e le conseguenze.
È in questo contesto che si è recentemente sviluppata la psicocardiologia, un ramo della psicologia che, attraverso un approccio clinico e di ricerca, rappresenta un tentativo concreto di approfondire le conoscenze sul legame cuore-cervello per implementare interventi di prevenzione e cura e migliorare il percorso riabilitativo dei pazienti cardiovascolari.
Partendo da tale approccio, riteniamo fondamentale, nell’ambito della prevenzione:
- includere valutazioni psicologiche periodiche all’interno dei programmi di prevenzione, partendo dall’evidenza che le variabili psicosociali costituiscono un fattore di rischio significativo per lo sviluppo della patologia cardiovascolare;
- aumentare la conoscenza e la consapevolezza delle persone, sia pazienti sia professionisti della salute, sui possibili effetti delle variabili psicosociali nell’eziologia e nello sviluppo della patologia cardiovascolare con interventi educativi in ospedale e sul territorio;
- implementare programmi di prevenzione personalizzati20,21 che considerino i pensieri, le emozioni e i comportamenti dei singoli pazienti al fine di aumentarne la motivazione all’aderenza e al cambiamento, dal momento che l’80% dei fattori di rischio cardiovascolari sono attribuibili allo stile di vita.
In ambito clinico e di prevenzione secondaria, invece, considerata l’elevata incidenza di ansia e depressione post-evento, riteniamo necessario:
- raccomandare valutazioni di routine, indipendentemente dal setting clinico, per aumentare la possibilità di valutare correttamente e per tempo la presenza di disturbi psicologici, in particolare della depressione, in pazienti con patologie cardiache;
- in caso sia individuato un disturbo depressivo, procedere con una valutazione approfondita da parte di professionisti esperti (psicologi e psichiatri), seguita da un’eventuale presa in carico del paziente;
- sviluppare programmi di valutazione e intervento multidisciplinari che considerino sia la patologia cardiovascolare sia il disturbo mentale.
Oltre a questo, in entrambi gli ambiti è fondamentale mettere in luce e promuovere il ruolo protettivo che alcuni fattori psicosociali hanno nei confronti delle patologie cardiovascolari. Per esempio, l’autoefficacia, cioè la fiducia nelle proprie capacità, e il supporto sociale percepito si sono dimostrati efficaci nella gestione dello stress, nella capacità di mettere in atto comportamenti salutari e nel modificare i comportamenti di rischio, con un conseguente effetto positivo sulla prevenzione primaria e secondaria e sulla gestione delle patologie cardiache.
Ci aspettiamo che gli interventi proposti, se applicati in maniera sistematica, riducano l’incidenza e le ricadute delle malattie cardiovascolari (un terzo degli eventi cardiaci, infatti, sono recidive), facilitino il recupero e migliorino la qualità di vita dei pazienti, con un effetto finale di riduzione dei costi di trattamento.
La patologia cardiovascolare non rappresenta solo un rischio per la salute fisica o la sopravvivenza, ma anche un’esperienza di sofferenza personale e di disabilità a lungo termine, con un impatto importante sulle famiglie, sulla produttività, sulla sfera economica dell’individuo e sui costi sociali. Perciò, un approccio innovativo a essa rappresenta una grande opportunità di crescita per la cardiologia, la psicologia e la psichiatria, discipline fortemente interconnesse tra loro dal momento in cui appare forte il legame cuore-cervello.
Infine, crediamo che una raccolta sistematica di dati che analizzino sempre più approfonditamente la relazione tra le patologie cardiovascolari e le variabili psicosociali sia fondamentale per chiarire il peso delle ultime sullo sviluppo delle prime e per realizzare nuovi modelli clinici chiari, causali e replicabili.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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