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07/12/2020

Ma è così diversa la seconda ondata?

Una delle opinioni più diffuse, ma non confermate da analisi più approfondite, è che durante la seconda ondata dell’epidemia da Covid-19 si siano contagiate molte più persone che non nella prima anche se i contagi hanno provocato meno complicazioni cliniche e queste sono state meno letali.  Non è facile ovviamente cercare di ricostruire quelle che potrebbero essere state le frequenze da fine febbraio ad oggi, ma questo che qui viene presentato è proprio un tentativo per provare a fare questa complicata e rischiosa operazione. Sarà difficile valutare la correttezza di questo esercizio, ma sembra che i risultati mantengano una loro coerenza interna che farebbe pensare che le stime ottenute non siano molto lontane dalla realtà di quanto accaduto.

L’ipotesi di partenza cui si basa tutto l’esercizio è che la frequenza dei ricoveri ospedalieri sia rimasta costantemente proporzionale alla diffusione del virus; si ipotizza cioè che, anche in realtà molto differenti, sia nel tempo che sul territorio, il ricorso al ricovero ospedaliero sia sempre una costante proporzionale dei soggetti contagiati, anche se forse nelle ultime settimane il richiamo a mantenere il malato a domicilio potrebbe aver modificato parzialmente questo parametro. C’è chi sciaguratamente, spero in buona fede, a luglio ha diffuso l’idea che il virus non fosse più così “cattivo” e non creasse più complicanze importanti; purtroppo i fatti hanno smentito queste affermazioni fondate forse sul nulla o comunque su scarse osservazioni. C’è poi chi ritiene che il virus abbia cambiato target: dagli anziani è passato a preferire i giovani. Sicuramente durante l’estate i novantenni non hanno frequentato le discoteche ma neppure a capodanno scorso i vecchi affollavano i rifugi di montagna dove sembra che molti giovani si siano contagiati.

La distribuzione sul territorio di sicuro è nel tempo molto cambiata e da una concentrazione nelle Regioni settentrionali il virus si è diffuso più o meno omogeneamente su tutta la nazione. Questo potrebbe aver cambiato qualcosa nella tipologia dei contagiati in quanto le Regioni hanno una demografia non del tutto uguale, ma queste differenze modificherebbero solo marginalmente i risultati di questo esercizio. Infine non è da sottovalutare che nella prima ondata, ma in parte anche nella seconda, ci sono stati importanti focolai, come quelli nelle RSA, dove il rapporto tra contagiati e malati seri è risultato differente da quello osservato nella popolazione generale.

La figura 1 evidenzia come dal 1° agosto al 30 novembre il rapporto tra la prevalenza puntuale di positivi e la prevalenza puntuale di ricoverati sia rimasta quasi costante.  In figura 2, invece, si  
evidenzia come il rapporto tra le due prevalenze sia cresciuto da fine febbraio ad oggi, ma l’andamento della crescita può essere spiegato quasi interamente dalla crescita di test molecolari con cui risulta fortemente correlato ( R2 = 0,759, cioè una correlazione dell’ 87,12%).
La proporzione tra prevalenza di ricoverati e prevalenza di positivi risulta oggi dai dati ufficiali di circa 1:21 soggetti, ma dalle stime che si possono ricavare dallo screening della provincia di Bolzano (si veda “Qual è il rischio di incrociare un positivo che non sa di esserlo?” Scienza in rete 20/11/2020), i “veri positivi” dovrebbero essere oggi il 30% in più dei positivi accertati e quindi si può supporre che in realtà ci sia una prevalenza di 26 positivi per ogni ricoverato prevalente. In tal caso l’andamento della prevalenza puntuale di contagiati ricostruito dall’inizio dell’epidemia, risulterebbe essere quello presentato in figura 3.

La durata della positività certificata può essere stimata in circa 24 giorni (si veda al proposito “Come cercare di misurare la durata del contagio da Covid-19?” Blog SaniTAC di E&P 2/12/2020) e quindi si può ritenere che l’incidenza stimabile sia un ventiquattresimo della prevalenza stimata e applicando questa proporzione si otterrebbe un andamento dell’incidenza come quello riportato in figura 4.









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