Attualità
14/04/2015

La divisione cellulare è necessaria per l’oncogenesi, la prevenzione primaria è necessaria per la lotta contro il cancro

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In un interessante editoriale pubblicato nel 2011 sull’International Journal of Epidemiology,1 Neil Pearce illustra la differenza fra la spiegazione della variabilità e l’identificazione delle cause di una malattia utilizzando l’esempio della fenilchetonuria (PKU), precedentemente discusso da Kenneth Rothman2 nel contesto della teoria delle cause componenti- sufficienti. La PKU, nella sua manifestazione clinica, è causata dalla combinazione di una mutazione nel gene che codifica per la fenilalanina idrossilasi e da una dieta ad alto contenuto di fenilalanina: entrambe le componenti, genetica e ambientale, sono cause necessarie. Tuttavia, poiché quasi tutti hanno una dieta ad alto contenuto di fenilalanina, la malattia risulta interamente spiegata dalla sua componente genetica. Per prevenire le conseguenze cliniche della malattia, si sottopongono i portatori della mutazione genetica a un regime dietetico che mantenga bassa la concentrazione di fenilalanina. La variabilità nella PKU è al 100% genetica e allo 0% ambientale, ma le sue cause sono al 100% ambientali e al 100% genetiche: genetica e ambiente sono due cause componenti insufficienti ma necessarie. Questo esempio è pertinente al dibattito stimolato da un articolo recente di Tomasetti e Vogelstein,3 pubblicato su Science e commentato da un editoriale di Lucio Luzzatto nello scorso numero di Epidemiologia&Prevenzione.4

L’articolo pubblicato su Science3 suggerisce che all’origine dei tumori vi sia, oltre alle cause di origine genetica e ambientale, anche il numero totale di divisioni delle cellule staminali. Gli autori chiamano questo fattore “sfortuna”, ma noi preferiamo vederlo come una causa componente dell’oncogenesi. Il messaggio di Tomasetti e Vogelstein3 è  che la divisione cellulare è “essenziale” per l’oncogenesi e che errori possono insorgere “per caso” durante la replicazione, senza alcun ruolo causale di genetica o ambiente. In questo modo, secondo il loro articolo, la divisione cellulare è una causa necessaria che può essere anche sufficiente. Gli autori usano l’ormai famoso coefficiente di correlazione di 0,804 fra il numero di divisioni cellulari specifico per tessuto e il rischio cumulativo di cancro nel corso della vita per suggerire che «il 65%[R2] delle differenze nel rischio di cancro fra i diversi tessuti si può spiegare con il numero totale di divisioni cellulari in quei tessuti», e concludono sostenendo che «gli effetti casuali che caratterizzano la replicazione del DNA sembrano essere una delle cause principali dei tumori negli esseri umani».

Ma come si interpreta questo risultato? Un R2 così elevato significa che, tra le altre cause di tumore, il numero totale di divisioni cellulari mostra una grande variabilità fra i diversi tessuti. Ma che tessuti e organi differenti siano marcatamente diversi gli uni dagli altri non è una grossa sorpresa. Così come si può affermare che la variabilità nella PKU è spiegata al 100% dalla genetica, un R2 pari al 65% per il numero totale di divisioni cellulari ha a che fare con la variabilità, ma non con il suo contributo relativo alla genesi della malattia. Inoltre, non implica che i fattori genetici o ambientali siano meno importanti o non necessari nell’oncogenesi.

Questo diventa più chiaro se si considerano le persone invece dei tessuti. È probabile che il numero fisiologico di divisioni cellulari specifico per tessuto abbia una variabilità interindividuale limitata (e questo è assunto implicitamente nell’articolo di Tomasetti e Vogelstein),3 mentre le esposizioni ambientali e le caratteristiche genetiche abbiano una variabilità interindividuale molto più grande. Se potessimo analizzare quanto le differenze nel numero di divisioni cellulari in diverse persone spieghino l’incidenza di un dato tipo di tumore, probabilmente troveremmo valori di R2 piuttosto piccoli. Per esempio, se assumessimo un numero totale di divisioni cellulari nel polmone pressoché costante nei diversi individui, la correlazione fra le divisioni di cellule staminali e il rischio di tumore del polmone sarebbe vicino a 0.

Il fumo, al contrario, mostra una grande variabilità interindividuale. Utilizzando i dati del follow-up a 40 anni del British Doctor Study5 per stimare la proporzione di incidenza spiegata dal numero di sigarette fumate, si ottiene un R2 pari almeno al 95%. In questo scenario, il contributo del fumo al tumore del polmone è decisamente maggiore di quello del numero di divisioni cellulari, e tuttavia è ancora possibile affermare che il tumore del polmone nei fumatori è dovuto per il 100% all’ambiente, per il 100% alla genetica e per il 100% alle divisioni cellulari.

È importante sottolineare che un R2 del 95% per il fumo non è una stima causale. Nel contesto degli scenari controfattuali,6 per stimare un effetto causale dovremmo rispondere a domande del tipo: «Quale sarebbe stata l’incidenza del tumore del polmone nei fumatori se questi non avessero mai fumato?» A questa domanda si può rispondere a livello di popolazione, confrontando fumatori con non fumatori, a patto che i due gruppi siano intercambiabili. Una domanda simile per stabilire il ruolo causale delle divisioni cellulari sarebbe: «Quale sarebbe stata l’incidenza del tumore del polmone se il numero fisiologico di divisioni cellulari nei polmoni fosse stato, per esempio, 108 invece di 1010?» Questa è una domanda a cui è molto più difficile rispondere e che forse non è nemmeno del tutto sensata. Queste domande causali non dipendono dal livello di variabilità presente nella popolazione, ma dallo scenario controfattuale ipotizzato, che difficilmente può essere identificato nel caso del numero di divisioni cellulari (per esempio, non si può ipotizzare un numero totale di divisioni cellulari pari a 0). Se le divisioni cellulari sono causa necessaria di tumore, non possono causare niente di meno del 100% dei tumori. Quello che davvero importa, in termini di prevenzione, è se esistano dei tumori in cui le divisioni cellulari sono anche una rilevante causa sufficiente, ed è proprio questo ciò che ha reso controverso l’articolo di Tomasetti e Vogelstein.3

Un tumore spiegato solo dalle divisioni cellulari (un R-tumour, secondo la definizione di Tomasetti e Vogelstein)3 è un tumore la cui incidenza sarebbe uguale in presenza omeno di esposizioni ambientali o genetiche. Per verificarne l’esistenza, bisognerebbe confrontare il rischio di tumore in soggetti con esposizioni ambientali o genetiche con il rischio di tumore in soggetti intercambiabili (cioè con lo stesso numero di divisioni cellulari) senza esposizioni ambientali o genetiche. Questo confronto, però, è impossibile, se non altro perché non conosciamo tutte le possibili esposizioni ambientali o genetiche potenzialmente cancerogene. Poiché non possiamo stabilire se le divisioni cellulari siano una causa sufficiente di tumore (genetica e ambiente potrebbero causare dallo 0% al 100% degli R-tumour), siamo d’accordo con Lucio Luzzatto4 che i risultati dell’articolo di Tomasetti e Vogelstein3 non cambiano né limitano la nostra responsabilità collettiva di continuare a combattere il cancro attraverso la prevenzione primaria.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Pearce N. Epidemiology in a changing world: variation, causation and ubiquitous risk factors. Int J Epidemiol 2011;40(2):503-12.
  2. Rothman KJ. Causes. Am J Epidemiol 1976; 104(6):587-92.
  3. Tomasetti C, Vogelstein B. Cancer etiology. Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell divisions. Science 2015;347(6217):78-81.
  4. Luzzatto L. Causalità e casualità nell’oncogenesi. Epidemiol Prev 2015;39(1):3-5.
  5. Doll R, Peto R,Wheatley K, Gray R, Sutherland I. Mortality in relation to smoking: 40 years’ observations on male British doctors. BMJ 1994; 309(6959):901-11.
  6. Greenland S, Brumback B. An overview of relations among causal modelling methods. Int J Epidemiol 2002;31(5):1030-7.
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