Attualità
28/03/2019

IL SESTANTE: Sisifo imperfetto

Mi sembra sensato che i giovani, intendo quelli sotto i trentacinque anni e in particolare quelli sotto i venticinque, chiedano ai meno giovani, e soprattutto a noi anziani, cosa abbiano fatto per consegnare loro il mondo migliore di tutta la storia umana dal punto di vista materiale, e irregolarmente da quello civile e sociale, ma al tempo stesso sull’orlo precariamente controllato di un precipizio ambientale e di una compromissione dell’intelligenza, potentemente aumentata e potentemente interferita dagli sviluppi dall’intelligenza artificiale. Non si tratta di promuovere un qualunque mea culpa, ma unicamente un’analisi il più possibile approfondita di dove, come e quando ci siamo sbagliati, che può costituire, per chi affronta ora il futuro, un prezioso lascito di esperienza criticamente esaminata. Personalmente, non avevo una risposta chiara a questa domanda, fino a quando una considerazione che continuava a disturbarmi in modo subliminale e incompleto mi è balzata agli occhi completa e nitida grazie alla lettura del recente libro di Robert Ruttner Can democracy survive global capitalism?1 e alla rilettura del classico The great transformation di Karl Polanyi,2 pubblicato nel 1944 e tuttora fondamentale per comprendere il mondo attuale.
Di fatto, la mia e le generazioni di quanti hanno oggi almeno cinquant’anni sono state così abbagliate dagli anni di sviluppo (1945-1975) e dai suoi postumi fino agli anni Novanta da non vedere che il funzionamento normale di una società basata su un sistema economico-sociale capitalista non era quello di quegli anni, ma di quelli secolari di tutto l’arco di tempo dalla fine del XVIII secolo fino a circa la metà del Novecento, che si stanno riproducendo nei primi due decenni di questo secolo. È un errore che ha coinvolto, con rare eccezioni, tutta la sinistra e, più in generale, i progressisti che, malgrado le analisi spesso acute delle situazioni sociali, economiche e politiche, avevano interiorizzato e trasformato in riflesso inconscio l’idea che comunque crescita economica e crescita tecnico-scientifica non potevano non tradursi in qualche modo anche in risultati positivi sui piani civile e sociale, ed era quindi per queste crescite che ci si doveva soprattutto impegnare. Ciò ha impedito di vedere che, di fronte alla perenne “forza di ritorno” allo stato di normalità del sistema capitalista, l’energica protezione delle conquiste sociali già realizzate avrebbe dovuto essere di gran lunga prioritaria rispetto al loro ulteriore avanzamento. La “forza di ritorno” deriva semplicemente dal fatto che, in un sistema il cui motore non unico, ma centrale, è la massimizzazione del profitto in ogni attività umana, tutto quanto è coerente con questo movimento è grandemente avvantaggiato e tutto quanto se ne discosta o si muove contro richiede un costante dispendio di energie anche e solo per preservare il conquistato: nulla può essere dato mai per scontato e definitivo.
Per molti tratti funzionali e caratteristici di base, siamo oggi in effetti non lontani dalla normalità del capitalismo sregolato e in vigorosa espansione della prima metà del secolo XIX, oggi diventato globale e largamente finanziario. In quest’ottica – che inverte radicalmente la prospettiva entro cui la mia e altre generazioni si sono mosse – è per esempio anormale il Sistema sanitario nazionale: difficilmente un settore economico che contribuisce a più del 10% del valore aggiunto totale del Paese può essere lasciato in massima parte fuori dal circuito del profitto. E in quest’ottica è anormale che le misure, necessariamente di grande portata economica, per il controllo del cambiamento climatico globale siano affidate ai governi e non al circuito del profitto e a iniziative private. Prendere la misura del “peso della normalità” specifica di un sistema capitalista è necessario per rendersi conto che rimanendo all’interno di tale sistema solo una rivoluzione di forme e forza neo-roosveltiane (cioè nulla di meno di un new deal nazionale) può integralmente preservare le caratteristiche del Sistema sanitario nazionale e produrre misure adeguate ed efficaci di controllo dei cambiamenti ambientali. Nel mito di Sisifo, il masso spinto in salita a un certo punto sfugge al controllo e rotola indietro tornando al punto di partenza, per poi essere risospinto in salita in un ciclo senza fine: la civiltà della specie umana è un Sisifo imperfetto, rotola in continuazione indietro, ma non fino al livello di partenza; a ogni ciclo guadagna irregolarmente qualche metro di altezza in un’ascesa peraltro chilometrica. Oggi occorre spingere di nuovo in salita il masso rotolato indietro nei decenni recenti per il peso della normalità capitalista.

Bibliografia

  1. Ruttner R. Can democracy survive global capitalism? New York, W.W.Norton & Company, 2018.
  2. Polanyi K. The great transformation. Boston, Beacon Press, 2001.
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