Attualità
11/10/2016

Il Congresso dei 40 anni dell’Associazione italiana di epidemiologia

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Era il dicembre del 1976 quando, in assemblea congiunta e ospiti dell’Istituto superiore di sanità, l’Associazione epidemiologica italiana e la Società italiana di epidemiologia decisero di fondersi nell’Associazione italiana di epidemiologia. Nella primavera seguente, a Napoli, veniva organizzato il primo congresso comune della nuova Associazione italiana di epidemiologia (AIE), dal titolo «Le schede nosologiche individuali di rilevazione dei ricoveri ospedalieri».
Molti anni sono passati da quando questa storia è cominciata: le schede nosologiche sono diventate le schede di dimissione ospedaliera (SDO) e oggi costituiscono un archivio di informazioni preziose su tutti i ricoveri ospedalieri nel territorio nazionale. Le SDO sono state una base dati essenziale con cui l’epidemiologia italiana ha lavorato sulla qualità dell’assistenza, sulle differenze sociali di salute e dell’accesso ai servizi, sull’effetto delle esposizioni ambientali e sugli altri temi di salute pubblica.

La produzione di dati

Certo, sono passati molti anni fra il congresso del 1977 e i primi utilizzi pilota delle SDO, nei primi anni Novanta; anni che hanno visto il contributo essenziale dell’epidemiologia per il miglioramento della qualità del flusso informativo prima, e per l’esplorazione dei suoi possibili utilizzi poi.
Questo passaggio dalla focalizzazione su strumenti e metodi alla produzione di dati epidemiologici utili alla decisione (che noi per semplicità chiameremo “evidenze”, ci perdonino i puristi!) ha caratterizzato, ci sembra, tutti i settori tradizionali dell’epidemiologia, compresi quello dell’ambiente e della prevenzione. Per esempio, in campo ambientale le SDO, dopo un lungo periodo di sviluppo metodologico, hanno permesso lo studio dell’impatto sanitario delle attività industriali, dell’inquinamento atmosferico e delle temperature estreme, e in ambito occupazionale sono state utilizzate negli studi di coorte di dipendenti di industrie petrolchimiche e di insediamenti industriali complessi, quali quello di Taranto.
I dati di mortalità, resi disponibili dall’Istat a partire dal 1980, oggetto di approfondimenti metodologici per anni, sono ora oggetto di analisi sofisticate per la valutazione di profili di salute, ma sono stati anche utilizzati nello studio di coorti di popolazioni esposte a inquinamento atmosferico, ad amianto e ad altri fattori.
Nell’ambito della prevenzione, le sorveglianze e i registri di patologia sono utilizzati come strumenti fondamentali per valutare gli interventi e per orientare le politiche. Inoltre, è da ricordare il lavoro pionieristico della fine degli anni Ottanta che effettuava i primi tentativi di classificare la popolazione sulla base di indicatori sociali e di impostare sistemi di sorveglianza della mortalità secondo le caratteristiche socioeconomiche della popolazione. Questo lavoro ha costituito la base per il grande sviluppo dello studio delle disuguaglianze sulla salute in Italia, che ha coperto vasti ambiti di salute prima inesplorati, tra cui le disparità nell’incidenza di malattie croniche e nella prevalenza di comportamenti a rischio.
Dopo 40 anni dalla sua fondazione, i settori tradizionali in cui l’epidemiologia si è sviluppata sono ormai maturi per esprimere tutto il loro potenziale di produzione di dati, di identificazione di disuguaglianze e di rischi per la salute, di misura dell’efficacia di interventi e procedure.

Dalla ricerca alla pratica

Ma il problema del trasferimento dei risultati della ricerca nella pratica sembra ancora irrisolto. Se ne discute molto, si organizzano convegni, si criticano abbondantemente le decisioni (virtualmente tutte) perché non abbastanza «basate su evidenze». Questo era un problema sentito già al tempo dei “fondatori”: nel primo numero di Epidemiologia&Prevenzione, Dardanoni, primo segretario dell’AIE, scriveva: «[…] (l’AIE) si propone al tempo stesso di rafforzare il legame tra la validità scientifica della ricerca […] e la sua rilevanza sociale […]» (Epidemiol Prev 1977;2(1):55-56).
In questi anni la discussione sul trasferimento delle evidenze dalla ricerca alla pratica si è molto evoluta e il tema rimane molto attuale. Restano da focalizzare molti argomenti, per esempio, come aumentare la rilevanza della ricerca epidemiologica per i problemi prioritari del sistema sanitario e dei suoi utenti (pazienti e cittadini), come consolidare i ponti fra la valutazione dei rischi e dell’efficacia e la proposta di politiche efficaci e, soprattutto, come interagire con la catena complessa della presa di decisione nelle politiche pubbliche.

Il congresso aie 2016: 40 anni di epidemiologia italiana

Il tema del congresso AIE 2016, «Le evidenze in epidemiologia: una storia lunga 40 anni», ci pare, quindi, molto adatto a una ricorrenza simile.
Per sviluppare l’argomento, le sessioni plenarie saranno costruite intorno ad alcuni casi recenti in grado di suscitare riflessioni e dibattiti: il caso del glifosato e la complessità della valutazione e della comunicazione del rischio in momenti diversi dell’esposizione, in presenza di forti pressioni dell’industria; lo screening cardiovascolare (detto quarto screening) inserito nella programmazione sanitara dal Piano nazionale della prevenzione 2014-2018, e l’ammissibilità di estrapolare l’efficacia pratica di una procedura sulla base di prove indirette derivanti dagli screening oncologici e dalle conoscenze sui rischi; le linee guida nell’ambito della responsabilità professionale e la complessità dell’applicazione di uno strumento costruito sulla base di studi di popolazione a decisioni sulla salute individuale.
Ma questi 40 anni sono anche storia, una storia ricca e complessa, fatta di migliaia di soci, 20 segreterie e 139 consiglieri, 40 congressi annuali e 9 convegni di primavera, e migliaia di articoli pubblicati su Epidemiologia&Prevenzione, diventata organo ufficiale dell’AIE solo recentemente ma di fatto rivista sorella da sempre, e su riviste internazionali.
Negli articoli pubblicati dagli epidemiologi italiani su Epidemiologia&Prevenzione c’è la parte più importante della storia dell’AIE e dell’epidemiologia italiana. Questa è la ragione per cui, con molto entusiasmo e un po’ di fatica, ci siamo impegnati in un’analisi di queste pubblicazioni. L’obiettivo è comprendere come si sono evoluti nel tempo i grandi temi di ricerca e le metodologie. Queste informazioni sono preziose per progettare l’AIE di domani, per imparare dagli errori e per riaccendere gli entusiasmi iniziali. I dati della storia dell’epidemiologia italiana, analizzati a partire dagli articoli scientifici, saranno presentati dalle persone che hanno fatto questa storia, ma soprattutto saranno discussi dai giovani più attivi nella costruzione dell’epidemiologia del presente.

L'importanza dei soci

La discussione sul futuro dell’AIE deve essere estesa a tutti gli epidemiologi. Per questo la segreteria sta sviluppando un progetto di consultazione dei soci e degli ex-soci sia attraverso strumenti tradizionali sia attraverso strumenti più innovativi, quali i social network.
In conclusione, un congresso che esplora il passato, ragiona sui problemi odierni dell’epidemiologia e guarda al futuro.

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