Attualità
11/04/2018

Epidemiologi e operatori del diritto: appunti per discutere

Organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Brescia, lo scorso 22 settembre si è svolto il seminario La conoscenza epidemiologica davanti al giudice penale. Si è discusso del rapporto tra epidemiologia e diritto penale, in particolare delle sentenze assolutorie emesse negli ultimi anni1 in occasione di grandi processi sul tema del danno alla salute provocato dall’esposizione a noti inquinanti e cancerogeni industriali.

Ci ricorda Raffaele Guariniello (già procuratore di Torino,2 al quale siamo debitori per le citazioni che seguono)3 che la giurisprudenza in tema di tumori occupazionali ha conosciuto fasi diverse: la sentenza del 1979 della Corte di Cassazione sull’IPCA di Ciriè4 aveva finalmente affermato che «il tumore causato dal lavoro deve essere vagliato dal magistrato penale quale possibile reato di lesione personale colposa e omicidio colposo»; tendenza confermata anni dopo, con una sentenza della Cassazione del 19975 che condannava il costruttore del palazzo Rai di Torino per omicidio colposo per aver esposto ad amianto un lavoratore poi deceduto per mesotelioma. Consolidatasi negli anni seguenti una giurisprudenza della Corte suprema conseguente alla sentenza del 1979, la situazione tornò progressivamente al passato a partire dalla cosiddetta sentenza Cozzini del 20106 relativa a un altro lavoratore deceduto per mesotelioma. Dopo l’alternarsi di sentenze a esito diverso, il quadro tornò al passato con la sentenza della Cassazione n. 5273 del 2017, che accoglieva le tesi difensive in tema di periodo di latenza tra esposizione e occorrenza della malattia. Altre sentenze si aggiunsero rendendo l’attività di PM non più compatibile con quanto la suprema Corte aveva affermato nel 1997.

Al seminario partecipavano anche lavoratori e famigliari che di quelle malattie e decessi erano stati vittime e testimoni. Giorgio Duca, statistico medico e presidente di Medicina Democratica (MD), era tra i relatori, a conferma del ruolo che MD da anni svolge nei processi a sostegno di chi a causa del lavoro perde vita e salute.7 Processi nei quali spesso gli epidemiologi hanno un ruolo importante come consulenti-periti delle parti offese, di soggetti organizzati, dei PM, del giudice, oppure degli indagati. Luca Masera, professore associato in diritto penale presso l’Università degli Studi di Brescia e organizzatore del seminario, scrive che l’epidemiologia ha un ruolo nei processi «per reati colposi d’evento (omicidio o lesioni personali), […] in cui il dato epidemiologico viene utilizzato ai fini della prova della causalità individuale; dall’altro sono in corso […] procedimenti per reati dolosi di pericolo (disastro o avvelenamento doloso, o rimozione od omissione dolosa di cautele sul lavoro), che si basano […] sulla constatazione della maggiore incidenza di determinate patologie tra gli esposti a forme di inquinamento ambientale».8 Nel corso del seminario e nel dibattito recente sugli esiti delle azioni penali terminate con la sconfitta dei PM che invocavano la presenza di un reato, dall’omicidio al disastro,3 si sono discussi i limiti delle interpretazioni del diritto proponendo vie innovative,9 si sono invocate nuove norme con una legislazione specifica sulla materia, si è proposta la ricerca di canali giurisprudenziali diversi, quali l’ambito civile.

L'aula: un altro mondo

Qui richiamiamo in forma di appunti, anche per sollecitare un confronto, il tema dal punto di vista dell’epidemiologia, segnalando contraddizioni e conflitti che l’epidemiologo vive quando incontra il mondo del diritto penale.

Chi tra gli epidemiologi si è trovato nelle aule di tribunale e nelle pratiche di consulenza legale apprende che è un mondo, quello degli operatori di giustizia, con un linguaggio proprio e propri riti finalizzati alla ricerca di una verità particolare: la verità processuale. Le logiche sono spesso lontane dalle esperienze di ricerca e studio; di più, spesso vengono poste domande alle quali la scienza non è in grado di rispondere, lasciando all’epidemiologo il dubbio di una propria inadeguatezza allorché è chiamato a rispondere a contraddizioni vive della società. Inoltre, l’intero svolgersi dell’attività può essere coperto da segreto, vincolato da giuramenti formali se si è consulenti del giudice. Viene poi attivato un rapporto preferenziale con chi – più frequentemente il PM – ha chiesto la consulenza dell’esperto epidemiologo; e ancora, nei grandi processi si è esposti al richiamo dei mass media con i quali, invece, la relazione è interdetta dal ruolo assunto.

Delitto , colpa e pena

Un elemento di coscienza che coinvolge chi si affaccia al mondo della giustizia penale è relativo ai temi della relazione tra delitto, colpa e pena, quest’ultima è spesso la preminente richiesta delle vittime o dei loro famigliari come una forma di risarcimento per la lesione e il danno subito. Per l’epidemiologo, invece, che ritiene che la sua missione in generale sia rivolta a politiche di prevenzione, e quindi all’idea di operare perché si riconosca il fattore di rischio e si agisca perché quel fattore sia rimosso, nell’ambito del diritto penale è chiamato a un cambio di paradigma, non scevro di incertezze. Il punto, per accettare la logica del processo e l’obiettivo della condanna, è cercare i visi e le storie dei danneggiati e capire che la ricerca di un giudizio di condanna e magari di pena per i responsabili non è una vendetta, ma una forma per riportare anche la relazione esposizione/danno alle categorie dell’esperienza sociale. Si rammenti che i casi di attentati alla salute nei luoghi di lavoro e nell’ambiente che giungono all’attenzione del tribunale penale sono per comune conoscenza una piccola frazione sul totale dei casi e l’avvio del processo per quei pochi casi, con la conferma dell’esistenza di rischi per la salute, l’esistenza dei danneggiati a causa di quei rischi, l’individuazione dei responsabili, e infine le condanne e le pene, allorché vengono comminate, sono le forme con le quali la società risponde a delitti sociali diffusi a danno dei più deboli. Si tratta anche di chiamare i fatti delittuosi con il loro nome. Scrive Engels10 «Se un individuo isolato arreca a un altro un danno fisico, di tale gravità che la vittima muore, chiamiamo questo atto omicidio; se l’autore sapeva in precedenza che il danno sarebbe stato mortale, la sua azione si chiama assassinio. Ma se la società pone centinaia di proletari in una situazione tale che devono necessariamente cadere vittima di una morte prematura […] questo è assassinio; esattamente come l’azione di un singolo, ma un assassinio mascherato e perfido […] perché la morte della vittima appare una morte naturale e perché esso non è tanto un peccato d’opera quanto un peccato d’omissione, ma è sempre un assassinio».

Indipendenza di giudizio

Vi è poi il tema dell’indipendenza di giudizio e della verità scientifica e processuale. Aspetti che andrebbero approfonditi per cogliere la difficoltà di dialogo tra operatori di giustizia e consulenti. In ambito penale, il perito è chiamato per legge – e dietro giuramento allorché si è consulenti del giudice – a prestare la propria competenza nel rispetto assoluto della propria deontologia professionale, in scienza e coscienza, alla ricerca della verità scientifica, per esempio nella relazione causale tra esposizione a un fattore di rischio e occorrenza di malattia, indipendentemente dal ruolo che nel processo egli/ella assume. Non è così per gli operatori di giustizia; accusa, difesa, parti offese e giudice hanno ruoli definiti nel teatro del processo e la loro deontologia è altra: rispettare al meglio quei ruoli accusando, difendendo, sostenendo interessi e applicando la legge, tutti nel rispetto delle norme che quel teatro richiede, alla ricerca di quella verità processuale, cioè quella verità che il processo può mettere in luce. Quell’indipendenza di giudizio richiesta all’epidemiologo è spesso associata a retribuzioni; accade che l’epidemiologo (raramente quando è perito della difesa) svolga la perizia pro bono o con retribuzioni che coprono le sole spese (succede nel panorama nazionale che l’esperienza di consulenza si traduca in completa attività gratuita, con magari anche un danno fiscale). Certamente è molto difficile mantenere l’indipendenza di giudizio quando insorgono importanti conflitti di interesse connessi alle retribuzioni molto alte, come spesso avviene per chi è perito della difesa di responsabili di grandi aziende e indagati o imputati per delitti associati a morte e malattia di esposti a fattori di rischio noti.11 Vi è anche il caso del verificarsi di conflitti ideologici in periti di parte civile che sarebbero chiamati dal rito processuale a contrastare con ogni mezzo gli interessi di chi è riconosciuto come un potere forte nella società. Lasciamo alla coscienza di quegli epidemiologi la difficile gestione dei loro ruoli, specie quando si è periti in processi sulla relazione, per esempio, tra fibre di amianto (o del tempo trascorso tra esposizione ad amianto ed evento) o fumo di tabacco (o possibili concause con il fumo di tabacco) e insorgenza di una malattia da tempo riconosciuta essere associata a quei fattori di rischio.

Verità, certezza, probabilità

Un altro grande tema è dato dal fatto che il mondo della giustizia si attende che lo scienziato-epidemiologo esprima una verità certa. Cioè che vi sia un’associazione di casualità con probabilità 1, per esempio, tra un fattore di rischio e l’occorrenza di un evento di danno alla salute di uno o più soggetti. Vi è l’idea, che accumuna il mondo della giustizia a molta parte del pensiero prevalente, che lo scienziato esprima verità, non incertezze e dubbi. Perché è quel tipo di verità che serve in tribunale per costruire la verità processuale. L’opposto di ciò che l’epidemiologia e molta scienza hanno maturato nell’ultimo secolo: la scienza è portatrice non di certezze assolute, ma di certezze relative con un basso o alto grado di probabilità, nell’intervallo tra 0 e 1, in cui l’evento con probabilità 1 non è nient’altro che un caso possibile, decisamente molto raro, specie nel mondo degli eventi sanitari. Nel nostro diritto, vi è l’importante principio in dubio pro reo. Significa che il dubbio non potrebbe praticamente mai portare a condanna, essendo l’evento esposizione-danno espresso dal consulente in termini probabilistici e praticamente mai con probabilità 1. Vi sono importanti sforzi anche recenti da parte della giurisprudenza nel riconoscere la relatività del contributo scientifico «ai fini della ricostruzione del nesso causale, è utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità delle conoscenze scientifiche ».12 Non esiste soluzione a questa contraddizione se non nella capacità che è richiesta al consulente nel saper comunicare che anche l’incertezza include una verità e che il dubbio nella società moderna può avere dei gradienti e anche essere così piccolo da portare a decisioni molto importanti (tutta la medicina moderna assume decisioni valutando l’entità del dubbio).

Chi è la vittima?

Ed è una verità che un evento di danno alla salute, malattia o morte dopo esposizione a una sostanza possa, per esempio, avere una probabilità molto alta di verificarsi in una frazione ampia di soggetti esposti, a confronto di ciò che si attende sulla base dell’esperienza di soggetti non esposti ed è anche in forza di queste evidenze che la comunità scientifica nel suoi più generali consessi, come l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha stabilito che quella sostanza è cancerogena per la specie umana. Il punto è che risulta oggettivamente impossibile individuare i singoli soggetti nei quali l’evento nefasto è occorso a causa di quella esposizione a quella sostanza come il diritto penale richiede: l’epidemiologo sa che nel gruppo di coloro che sono stati esposti (o ragionevolmente assume sulla base di evidenze emerse in analoghe realtà lavorative), una frazione si è ammalata o è morta a causa dell’esposizione, magari con una bassa o bassissima probabilità che non sia vero, ma non sa chi siano le specifiche vittime di quell’evento. La questione è che il diritto penale nella sua interpretazione massimamente perseguita ricerca invece quella vittima, quelle vittime, per incolpare per tale delitto un singolo imputato o singoli imputati e con ciò il rapporto tra epidemiologia e diritto fatica a trovare una propria sintesi. Scrive Masera,8 mostrando di aver chiarissimo il punto: «Continua a trovare pacifico riscontro tra i nostri giudici il tradizionale adagio secondo cui, nell’accertamento del nesso causale nei reati di omicidio o lesioni, “l’epidemiologia serve ma non basta”, in quanto al riscontro dell’aumento della mortalità nella popolazione degli esposti al fattore di rischio, deve comunque affiancarsi la prova della causalità individuale, cioè della derivazione causale della singola patologia oggetto di addebito a titolo di omicidio o lesioni: riscontro individualizzante che per definizione l’epidemiologia, scienza di popolazioni, non è in grado di fornire».

Accertamento alternativo

Proprio Masera in ambito dottrinale ci pare proponga una soluzione anche razionalmente avanzata per risolvere la contraddizione tra conoscenza scientifica epidemiologica basata su dati di popolazione e prevalente diritto penale volto alla ricerca di una prova di causalità individuale (l’evento come esito di una pistola fumante mirante un individuo). Con un approccio che l’Autore definisce come “accertamento alternativo”, viene propugnata la tesi che, nell’ambito del diritto penale, l’evidenza epidemiologica verificata sia adeguata e sufficiente, attraverso un percorso argomentativo per l’affermazione di responsabilità per una determinata quota di decessi, a prescindere dall’individuazione di quali siano i soggetti colpiti.12 Tale proposta dottrinale sembra ricevere i primi riscontri giurisdizionali, ma nel contempo incontra ancora rilievi critici; probabilmente il percorso sarà ancora lungo, ma noi speriamo che possa affermarsi in futuro sia in ambito ambientale sia occupazionale.

Relazioni difficili

Spesso l’epidemiologo non trova più le parole per rispondere al magistrato che chiede: «Quel soggetto si è ammalato o è morto specificamente a causa dell’esposizione a quella particolare sostanza avvenuta in quel particolare periodo?». Se per alcuni aspetti la difficoltà di relazione tra epidemiologia e diritto penale può essere superata dall’epidemiologo con una modifica dei propri linguaggi e con forme adeguate di comunicazione, sul tema di fondo di quella relazione sono necessari cambiamenti più profondi. Forse occorre occorre una nuova legislazione per far sì che il processo penale possa abbracciare appieno ciò che la Costituzione italiana statuisce, laddove prospetta, per esempio nel campo del diritto alla salute, che vi sia non solo un diritto degli individui, ma anche un diritto collettivo alla salute.13 Occorre quindi che il processo penale sia in grado di offrire una risposta più adeguata alla domanda di giustizia di collettività di lavoratori o di cittadini esposti a fattori dannosi per la salute. Altrettanto necessario è che il diritto penale si avvii ad accogliere l’incertezza come elemento imprescindibile della scienza moderna, e che nella sua generalità acquisisca infine ciò che Engels aveva intuito duecento anni orsono: esiste «una situazione tale» nella quale si deve chiamare «assassinio» l’aver esposto centinaia di soggetti a «morte prematura», ciò anche se non sappiamo in nomi e i cognomi di quei singoli soggetti vittime di quella situazione.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Il programma del seminario è disponibile all’indirizzo: https://www.penalecontemporaneo.it/upload/Locandina_epid_DEF.pdf
  2. Tromba C. Guariniello: una vita al servizio della giustizia. Epidemiol Prev 2018;42(2):193.
  3. Guariniello R. Malattie professionali. Diritto e pratica del lavoro 2018;7:418-27. 
  4. Cassazione Penale, Sezione IV. Sentenza del 27 giugno 1979.
  5. Cassazione Penale, Sezione IV. Sentenza n. 10750 del 19 settembre 1997.
  6. Cassazione Penale, Sezione IV. Sentenza n. 43786 del 13 dicembre 2010.
  7. Micheli A. Medicina Democratica, 40 anni di lotte per la salute. Epidemiol &Prev 2017;41(2):83-85.
  8. Masera L. Ancora sulla qualificazione penalistica dell’evidenza epidemiologica. Perché anche nella società del rischio è legittimo il ricorso al diritto penale d’evento. Questione giustizia, 10.03.2017. Disponibile all’indirizzo: http://questionegiustizia.it/articolo/ancora-sulla-qualificazione-penalistica-dell-evide_10-03-2017.php
  9. Bracci C. Epidemiologia in tribunale. Epidemiol Prev 2008;32(4-5):268.
  10. Engels F. La situazione della classe operaia in Inghilterra. Lipsia 1845. 
  11. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans disponibili all’indirizzo: http://monographs.iarc.fr/ENG/Monographs/PDFs/index.php
  12. Masera L. Dal caso Eternit al caso Ilva: nuovi scenari in ordine al ruolo dell’evidenza epidemiologica nel diritto penale. Questione Giustizia 2014;2:139-68.
Approfondisci su epiprev.it Vai all'articolo su epiprev.it Versione Google AMP