Attualità
28/02/2016

Alimentazione e salute: la ricetta dell’epidemiologia italiana. Resoconto del 39° Congresso AIE

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Qual è il rapporto tra alimentazione, salute, ambiente e strategie di prevenzione? Quanto e come le politiche sul cibo e le scelte alimentari individuali influenzano l’ambiente? Che cosa dice di nuovo l’epidemiologia sul ruolo dell’alimentazione nell’eziologia dei tumori e delle malattie cardiovascolari? L’alimentazione non corretta è davvero il più importante determinante di morte e disabilità sia in Italia sia nel mondo? Le strategie e le politiche di prevenzione in Italia tengono conto delle indicazioni che vengono dalla ricerca?

Queste sono le principali domande a cui il XXXIX Congresso dell’Associazione italiana di epidemiologia “Alimentazione e salute nell’era della globalizzazione” ha tentato di dare risposta.

Alimentazione e ambiente

Il Congresso si è aperto con la sessione dedicata ad alimentazione e ambiente, che ha toccato i temi dell’influenza della globalizzazione, della deregolamentazione del mercato alimentare conseguente anche ad accordi economici e commerciali, dell’eccessivo consumo di carni e dell’uso di pesticidi.

In un mondo globalizzato le organizzazioni internazionali hanno un ruolo cruciale nella regolamentazione del mercato, ma spesso riconoscono solo formalmente la necessità di protezione della salute. È il caso, per esempio, della World Trade Organization (WTO), che si oppone alla limitazione della vendita di tabacco in nome della libertà di commercio. La deregolamentazione, che mira a ridurre le barriere al libero scambio, tuttavia porta a un aumentato consumo di “cibo spazzatura”, che a sua volta contribuisce all’epidemia di obesità. Questo schema, già documentato nei Paesi ad alto reddito, presto si estenderà anche a quelli a medio e basso reddito, che per molti versi appaiono più vulnerabili.

Affinché il legame tra alimentazione e ambiente entri in una sinergia positiva, i decisori politici dovrebbero adottare l’approccio co-benefits, per cui interventi per specifici problemi di sanità pubblica sono in grado di portare benefici anche in altri contesti, come quello ambientale o sociale. In Gran Bretagna, per esempio, è stato calcolato che una diminuzione dell’assunzione del 30% di grassi saturi sarebbe in grado di ridurre del 15% le malattie cardiovascolari e, allo stesso tempo, comporterebbe una diminuzione dell’80% delle emissioni di gas serra prodotti dagli allevamenti animali. Per l’Italia si è stimato che una riduzione di consumo di carne bovina del 20% e del 70% rispetto all’attuale consumo comporterebbe una percentuale di casi evitabili rispettivamente del 2% e 7% per il tumore del colon retto e del 2% e 6% per l’infarto del miocardio, nonché importanti benefici ambientali per via della riduzione di emissioni di gas serra.

Sempre in questa sessione sono stati presentati i dati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) sulle valutazioni di cancerogenicità di alcuni pesticidi. Sappiamo ora che il glifosato, l’erbicida più utilizzato al mondo, al quale la popolazione generale è esposta anche attraverso la dieta e il cui uso è aumentato anche a causa dell’introduzione di piante geneticamente modificate per renderle resistenti al glifosato, è probabilmente cancerogeno per l’uomo.

Alimentazione e salute

La sessione centrale del Congresso ha esaminato il contributo dell’epidemiologia allo studio della relazione tra alimentazione e salute.

Il grande studio epidemiologico europeo, EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), in particolare la sezione italiana, ha dato un contributo essenziale alla comprensione della relazione tra dieta e insorgenza di malattie croniche. Le analisi condotte su questa coorte hanno evidenziato la relazione tra consumo di carboidrati ad alto indice glicemico e rischio di tumori (specialmente del colon retto e della mammella) e di malattie cardiovascolari, mediata dall’alterazione del metabolismo dell’insulina. Ha, inoltre, confermato l’effetto protettivo per queste stesse patologie di quell’insieme di abitudini alimentari che vanno sotto il nome di dieta mediterranea, dove prevalgono cibi di origine vegetale, prodotti a base di farine integrali o poco raffinate e, in genere, di alimenti poco lavorati, e dove sono ridotti, invece, i consumi di alimenti di origine animale, in particolare di carni rosse, e di alimenti a elevata densità energetica, incluse le bevande zuccherate. Un modello alimentare i cui benefici non si limitano ai soggetti sani, a cui offre un’azione preventiva: se è noto da tempo che chi soffre di malattie cardiovascolari e segue questo regime alimentare ha una qualità di vita migliore e vive più a lungo, oggi esistono prove che la dieta mediterranea beneficia anche i malati di tumore, riducendo il rischio di recidive e metastasi.

Malgrado ciò, e nonostante sia stata per lungo tempo una peculiarità italiana, oggi la dieta mediterranea è seguita da meno del 20% degli abitanti della Penisola, con prevedibili ricadute negative sullo stato di salute degli italiani, aggravate dagli effetti di una crisi economica che, approfondendo il divario tra meno abbienti e benestanti, ha contribuito a generare disuguaglianze di salute, sebbene moderate, riconducibili al tipo di alimentazione. Ma la crisi economica sembra aver avuto un impatto non solo negativo sull’alimentazione: in alcuni casi, infatti, la necessità di far fronte alle difficoltà finanziarie ha orientato le scelte verso una dieta più equilibrata, con una riduzione del consumo eccessivo di carni (e delle disuguaglianze associate), specialmente rosse, e un aumento di quello di legumi (specie tra persone con un livello di istruzione più basso), contribuendo, quindi, per alcuni alimenti, a diminuire le disuguaglianze.

Conflitti di interesse

Il Congresso non poteva mancare di affrontare un tema centrale nel campo nutrizionale come quello dell’influenza dei conflitti di interesse sulla qualità della ricerca, sulla formulazione di raccomandazioni e sulla formazione del personale sanitario.

Anche per il settore agroalimentare, come già documentato per l’industria del tabacco, il peso degli interessi economici e l’impatto di raccomandazioni sui consumi alimentari creano i presupposti per un conflitto tra le strategie commerciali e gli interventi di sanità pubblica che mirano a tutelare la salute dei cittadini. Diversi esempi sono stati portati per spiegare come le strategie adottate dall’industria di alimenti per l’infanzia orientino le priorità di ricerca in funzione degli obiettivi di mercato e sembra che l’unica strategia di prevenzione efficace sia quella di evitare conflitti di qualsiasi dimensione, come sostenuto dalla campagna “No Grazie” (www.nograzie.eu).

Ma il conflitto di interesse si insinua anche nell’ambito delle società scientifiche, dove si riscontra una scarsa sensibilità e poca trasparenza su questo tema.

A chiusura della sessione si è cercato di allargare lo sguardo dai conflitti di interesse economici a quelli di natura ideo-logica e religiosa che, introducendo una contrapposizione tra i diritti della madre e quelli del bambino, interferiscono sulla capacità dei professionisti sanitari di assistere in modo appropriato le donne in età riproduttiva.

Prevenzione e alimentazione

L’ultima giornata del Congresso ha fatto il punto sulle strategie e le politiche di prevenzione nel campo dell’alimentazione.

I dati del Global Burden of Diseases (carico globale di malattie) rivelano che nell’anno 2013 nel mondo 11,3 milioni di decessi e 241,4 milioni di anni di vita persi a causa della morte o disabilità precoci (Disability Adjusted Life Years, DALYs) erano attribuibili a un’alimentazione scorretta. Per questo motivo i rischi legati all’alimentazione sono al primo posto nella graduatoria dei fattori di rischio modificabili e richiedono un investimento prioritario di risorse. Nonostante ciò, in Italia gli interventi di promozione di corretti stili alimentari sono isolati e raggiungono solo una piccola quota di popolazione (PRO. SA, DoRS Piemonte). Perfino nell’ambito in cui è stato fatto un maggior sforzo, quello scolastico, è stato raggiunto solo il 4% della popolazione. Alcuni portatori di interesse coinvolti in una tavola rotonda (associazioni di consumatori, decisori politici, ricercatori) hanno confermato che gli interventi messi in campo fino a oggi non sono sufficienti e che è necessario costruire strategie che integrino interventi in vari contesti (scolastico, familiare, campagne mass mediatiche), sostenendoli con strumenti normativi, come per esempio quelli messi in campo contro il fumo di tabacco. È importante, inoltre, lavorare per trovare con i diversi interlocutori una convergenza di intenti per riallineare gli interessi dell’industria e dei cittadini con gli obiettivi di salute pubblica.

Per una buona governance della prevenzione è indispensabile, poi, disporre di strumenti per monitorare sia il cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani, sia le attività di prevenzione messe in campo. Ciò permetterebbe di costruire una cornice di insieme per una sorveglianza nutrizionale che utilizzi e integri diverse fonti e un insieme di indicatori condivisi per tutte le fasi della vita. Le fonti di dati esistenti possono costituire la base della sorveglianza nutrizionale, ma serve una pianificazione di tipo strategico per inserirle in un quadro organico, mirando a dotarle di solidità di impianto, di un coor-dinamento centrale e di una rete territoriale adeguata.

Un XXXIX Congresso, dunque, fortemente orientato a trasferire i risultati della ricerca nel campo dell’alimentazione e della salute nella pratica della sanità pubblica. Senza dimenticare i temi forti dell’AIE, l’ambiente e il buon funzionamento della scienza.

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