Il fine vita nei pazienti in dialisi: uno studio epidemiologico nel Lazio
Introduzione
Negli ultimi decenni, il progresso delle conoscenze scientifiche ha consentito ai pazienti con malattia renale cronica il miglioramento delle cure mediche e dell’aspettativa di vita. Questo ha comportato un numero maggiore di individui di età avanzata, che ricevono un trattamento sostitutivo renale con comorbidità maggiori e più gravi e maggiori complicanze intradialitiche. Inoltre, si è riscontrato quanto il numero di sintomi e la loro gravità sia sovrapponibile a quella dei pazienti con neoplasia.1 Un altro aspetto importante è la medicalizzazione del fine vita: circa il 60%-70% dei pazienti in dialisi muore in corso di degenza ospedaliera e, spesso, in un reparto di terapia intensiva.2,3 Rispetto ai pazienti affetti da neoplasia, la medicalizzazione del fine vita è maggiore, mentre è minore il ricorso alle cure palliative.4 Si può parlare di fase terminale della vita quando le condizioni fisiche si deteriorano rapidamente, ogni intervento finalizzato alla cura della malattia diviene inefficace e la morte è prevista in tempi relativamente brevi.5 Il fine vita può essere individuato mediante la clinica o tramite appositi score e tool, differenti da patologia a patologia.
Con l’espressione di medicalizzazione del fine vita, si identifica l’insieme delle pratiche, delle decisioni cliniche e dell’approccio culturale che trasformano la morte da evento naturale, sociale e personale in un fatto tecnico da gestire attraverso strumenti e conoscenze biomediche. Ciò comporta l’ospedalizzazione del paziente e trattamenti intensivi e invasivi che non aumentano l’aspettativa di vita, ma peggiorano la qualità di vita residua e gli ambiti psicologici, spirituali, relazionali del paziente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non fornisce una definizione strettamente delimitata di “fine vita”, ma ne delinea il contesto attraverso le cure palliative. Le cure palliative sono definite come un approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. Questi, infatti, affrontano problematiche associate a malattie inguaribili attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza e l’identificazione precoce e il trattamento del dolore e di altri problemi fisici, psicologici e spirituali, coinvolgendo un team multidisciplinare di professionisti sanitari. Le cure palliative non si limitano agli ultimi giorni di vita, ma possono essere integrate precocemente nel percorso di cura di una malattia grave.6 In Italia, la legge n.38 del 2010 definisce come cure palliative «l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici».7
Negli ultimi anni, la comunità scientifica nefrologica ha sottolineato la necessità di adeguare il percorso di cura alle esigenze del paziente nella fase del fine vita, privilegiando la qualità della vita piuttosto che la mera ottimizzazione dei parametri di laboratorio. Le più recenti linee guida nazionali e internazionali mettono in evidenza l’importanza del riconoscimento del fine vita e indicano come più appropriata, in situazioni specifiche, l’implementazione di schemi terapeutici mirati a ridurre l’intensità dei trattamenti e attivare approcci condivisi con il paziente e i familiari e con il supporto di professionisti afferenti ad altre discipline.8-10
In Italia, nonostante la rilevanza del tema dal punto di vista di risorse assistenziali, di impatto sui pazienti e le famiglie e le implicazioni di tipo etico, il fine vita dei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva renale è poco riconosciuto e indagato. Non esistono flussi di dati dedicati che documentino il ricorso alle cure palliative dei pazienti con insufficienza renale terminale.
Nel Lazio, fin dalla fine degli anni Novanta, è attivo il Registro regionale dialisi e trapianto (RRDTL) che raccoglie informazioni demografiche cliniche e assistenziali dei pazienti con insufficienza renale. Negli ultimi anni, nell’ambito delle funzioni istituzionali del Dipartimento di Epidemiologia del SSR del Lazio, sono stati sviluppati metodi di integrazione del RRDTL con i dati dei Sistemi Informativi Sanitari (SIS) attraverso procedure standardizzate di record linkage e questo ha arricchito in maniera rilevante le potenzialità di documentazione epidemiologica sulla popolazione in dialisi.11,12 Sulla base del Rapporto tecnico 2024 al 31.12.2023 sono stimati 4.981 casi prevalenti, di cui il 64% ha età superiore ai 65 anni.13
Ad oggi, tuttavia, il RRDTL non è mai stato utilizzato per indagare il percorso di cura dei pazienti in dialisi nell’ultima parte della loro vita. È stato, quindi, condotto uno studio epidemiologico mirato a valutare questa delicata fase della vita del paziente in dialisi. In particolare, gli obiettivi dello studio erano di identificare coloro che hanno interrotto il trattamento dialitico in prossimità del decesso e valutare i possibili predittori di tale interruzione.
Metodi
Fonti dei dati
Le fonti di dati utilizzate includono:
- il RRDTL, un registro di popolazione obbligatorio (legge regionale n.9 del 24.12.2010, art 2, commi 21-24), istituito nel 1994, che raccoglie informazioni sociodemografiche, cliniche, relative alla terapia farmacologica e ai trattamenti dialitici dei pazienti in dialisi cronica trattati nella Regione Lazio. Tutti i centri di dialisi pubblici o accreditati sono tenuti a inviare al Registro le informazioni dei pazienti che effettuano il trattamento dialitico dal momento della presa in carico e fino alla fine del trattamento stesso. Le informazioni dei pazienti devono essere aggiornate ogni 6 mesi;
- l’Anagrafe Assisiti (AA), che raccoglie i dati anagrafici e di residenza dei pazienti assistiti nel Lazio;
- il Registro Nominativo delle Cause di Morte (ReNCaM), contenente le informazioni sui deceduti nella Regione Lazio e sui residenti deceduti fuori Regione e la causa di decesso;
- il Sistema Informativo dell’Assistenza Specialistica (SIAS), che raccoglie le informazioni delle prestazioni specialistiche erogate in Regione;
- il Sistema Informativo Ospedaliero (SIO), che attraverso la scheda di dimissione ospedaliera (SDO) registra i ricoveri avvenuti negli ospedali del Lazio e i ricoveri dei residenti avvenuti fuori regione.
Popolazione
Dal RRDTL sono stati selezionati i pazienti emodializzati deceduti tra il 2009 e il 2022 (fonte: RRDTL, ReNCaM), residenti nel Lazio negli ultimi 4 mesi di vita (fonte: AA) e in dialisi da almeno 6 mesi (fonte: RRDTL).
Sono stati esclusi coloro che non avevano le informazioni aggiornate sul RRDTL da più di 1 anno, coloro per i quali la data di ultima prestazione dialitica era antecedente di 15 giorni rispetto alla data di decesso, in quanto, sulla base della letteratura, la morte avviene tra 7 e 15 giorni dalla sospensione della dialisi.14-16 Inoltre, sono stati esclusi coloro che avevano una data di ultimo trattamento dialitico successiva al decesso, considerati errori di registrazione delle date.
I pazienti all’interno delle varie fonti sono stati identificati con un codice univoco anonimo, che ha permesso il linkage tra i diversi archivi, secondo metodologie standardizzate e nel rispetto della legge sulla privacy.17,18
Esito: interruzione del trattamento dialitico
Ai fini di questo studio, l’interruzione del trattamento dialitico viene considerata come surrogato del riconoscimento del fine vita. Si considera riconosciuto il fine vita quando il paziente effettua l’ultimo trattamento dialitico tra i 15 e i 7 giorni prima del decesso, interrompendo quindi la dialisi negli ultimi 7 giorni di vita. È stato utilizzato l’intervallo di tempo di 7 giorni, perché dai dati della letteratura è entro questo periodo che avvengono la stragrande maggioranza dei decessi dei pazienti che sospendono la dialisi.14,16,19 Per identificare l’esito in studio, è necessario determinare la data dell’ultima dialisi, che può corrispondere a una seduta eseguita in regime ambulatoriale oppure durante un ricovero ospedaliero. Nel caso in cui il paziente presenti sia una dimissione ospedaliera sia una dialisi ambulatoriale negli ultimi 15 giorni di vita, si considera come ultima dialisi la data più recente tra le due.
Riguardo alla data di ultima dialisi ambulatoriale, è stato necessario stimare una data di fine copertura, in quanto le prescrizioni per dialisi sono per la maggior parte mensili e spesso la data di fine erogazione corrisponde all’ultimo giorno del mese, anche se le prestazioni non vengono erogate in tutto l’arco temporale. La data di ultima dialisi ambulatoriale corrisponde alla data meno recente tra la data di fine erogazione e la data di fine copertura. La data di fine copertura viene stimata aggiungendo alla data di inizio erogazione il numero di giorni coperti, calcolati moltiplicando il numero di prestazioni indicate sulla scheda SIAS per il numero medio di dialisi settimanali (7 giorni / 3 trattamenti = 2,33).
Nel caso di ricovero ospedaliero, la data di ultima dialisi corrisponde al giorno precedente la dimissione, poiché il trattamento dialitico (e relativa data) non è quasi mai riportato nella SDO anche se eseguito.
Caratteristiche individuali
I pazienti sono stati caratterizzati in base alle informazioni contenute nell’ultima scheda di aggiornamento del RRDTL, sia per quanto riguarda le cause di decesso sia per le caratteristiche sociodemografiche e cliniche, i trattamenti farmacologici e l’assistenza dialitica. Le caratteristiche sociodemografiche considerate sono: genere, età al decesso (continua e in classi: <65 anni, 65-74, 75-79, 80-84, 85+), luogo di nascita (Italia/estero), luogo di residenza (Roma comune, Province di Roma, Viterbo, Rieti, Latina, Frosinone) e titolo di studio (≤media inferiore, ≥media superiore). Le caratteristiche cliniche rilevate sono: l’autosufficienza (completa no/sì), la nefropatia di base e le comorbidità (ipertensione e cardiopatia, diabete, patologie vascolari, broncopneumopatia ostruttiva, disturbi del metabolismo, malattia cerebrovascolare, malnutrizione, obesità, deficit motorio neurologico, demenza e disturbi psichici, epatopatia, tumori maligni e anemie extra-uremiche). I trattamenti farmacologici considerati sono: eritropoietina, antidepressivi, chelanti del fosforo, antiaggreganti piastrinici, resine a scambio cationico, diuretici, statine, cardiologici, insulina e anticoagulanti orali. Le caratteristiche dell’assistenza dialitica ottenute dal RRDTL comprendono: anzianità dialitica al decesso (6 mesi-1 anno, 2-3 anni, 4-5 anni, 6+ anni), tipologia del centro di dialisi (pubblico/accreditato), tipologia di dialisi (emodialisi/emodiafiltrazione), tipo di accesso vascolare (fistola/catetere).
Inoltre, attraverso il record linkage con il SIO, sono stati identificati i ricoveri nei 12 mesi precedenti al decesso, è stato calcolato il numero totale dei ricoveri ordinari (continuo e in classi 1, 2, 3 o +) e in base ai codici ICD-9-CM della diagnosi principale, l’aver effettuato o meno almeno un ricovero per le seguenti cause: infezioni (codici: 001-139), tumori maligni (codici: 140-239), patologie cardiovascolari (codici: 390-459) e traumatismi (codici: 800-999).
Analisi statistica
Le caratteristiche individuali della popolazione in studio sopra elencate sono state descritte e confrontate tra coloro che hanno o non hanno interrotto il trattamento dialitico. Le differenze sono state valutate con appropriati test statistici. Inoltre, sono stati applicati modelli di regressione logistica per valutare il grado di associazione di ciascuna variabile con l’interruzione del trattamento dialitico. Al fine di identificare i possibili predittori dell’interruzione del trattamento dialitico, è stato costruito un modello di regressione logistica multipla operando una selezione degli stessi in base alla loro rilevanza: sociodemografica (genere, età, residenza, titolo di studio), clinica (autosufficienza, comorbidità), dell’assistenza dialitica (anzianità dialitica, tipologia di centro dialisi) e il numero di ricoveri nell’ultimo anno di vita. Come misura della bontà del modello è stata considerata l’area sotto la curva ROC. Le misure grezze e aggiustate dell’associazione sono state espresse in termini di odds ratio (OR) e rispettivi intervalli di confidenza al 95% (IC95%).
Risultati
La figura 1 descrive la selezione della popolazione in studio.
La coorte in studio include, quindi, 6.247 individui emodializzati deceduti. I pazienti che hanno interrotto il trattamento dialitico sono 1.009 (16,2% del totale dei deceduti). Tra i 5.238 che non hanno interrotto la dialisi, 2.232 (42,6%) sono deceduti in ospedale e 226 (4,3%) sono stati dimessi dall’ospedale durante i 6 giorni precedenti il decesso.
La distribuzione delle cause di decesso tra i pazienti che hanno interrotto o meno il trattamento presenta differenze che, seppur significative, risultano di lieve entità. Le principali cause di decesso sono le patologie cardiache, seguite dalla cachessia e dalle infezioni (figura 2).
La tabella 1 descrive le caratteristiche sociodemografiche e cliniche nel totale dei dializzati deceduti e, separatamente, in coloro che interrompono o meno il trattamento dialitico. In termini di OR grezzi, le caratteristiche significativamente associate all’interruzione del trattamento dialitico comprendono il luogo di residenza (in particolare tra i residenti nella Provincia di Frosinone vs i residenti nel Comune di Roma) e alcune comorbidità (patologie vascolari, tumori maligni e anemie extra-uremiche).
La tabella 2 descrive e confronta l’uso di farmaci, le caratteristiche del trattamento dialitico e il ricorso ai ricoveri nell’ultimo anno di vita della popolazione in studio e, separatamente, per coloro che interrompono o meno il trattamento dialitico. Si è osservata un’associazione significativa con l’esito per l’utilizzo di eritropoietine, diuretici e insulina con una probabilità più elevata di interruzione. La distribuzione dell’anzianità dialitica nei due gruppi è statisticamente diversa: al crescere dell’anzianità dialitica, diminuisce la probabilità di interrompere il trattamento; anche la tipologia di accesso vascolare risulta associata all’esito in studio. Sia la media dei ricoveri nell’ultimo anno sia la proporzione di chi ha fatto almeno un ricovero per le cause specifiche considerate è significativamente maggiore in chi ha interrotto il trattamento. Inoltre, al crescere dei ricoveri per qualsiasi causa, cresce la probabilità di interrompere il trattamento.
Infine, nell’analisi multipla, il predittore più associato a una maggiore probabilità di riconoscimento del fine vita è il numero di ricoveri nell’anno precedente al decesso, mentre una più elevata l’anzianità dialitica ne riduce la probabilità. Inoltre, sembra esserci un effetto a favore dell’esito di alcune comorbidità (vasculopatie, anemie e tumori) e a sfavore di altre (demenza e disturbi psichici, cardiopatie). Infine, pare esista un gradiente Nord-Sud per provincia di residenza, con una maggiore probabilità di riconoscimento del fine vita nella provincia di Viterbo e una minore in quella di Frosinone (figura 3). L’area sotto la curva ROC è pari al 65%.
Discussione
Lo studio ha misurato per la prima volta in Italia il fenomeno dell'interruzione del trattamento dialitico prima del decesso utilizzando i SIS. Dei 6.247 pazienti in dialisi cronica deceduti tra il 2009 e il 2022, solo il 16,2% risulta aver interrotto il trattamento da oltre 7 giorni prima del decesso; dato che indica un’alta propensione alla medicalizzazione del fine vita dei pazienti dializzati nel Lazio.
L’analisi dei possibili predittori ha mostrato che aver avuto più di 2 ricoveri nell’anno precedente si associa a una maggiore probabilità di interruzione del trattamento e, quindi, di riconoscimento del fine vita. Al contrario, una maggiore anzianità dialitica sembra essere associata a un minor riconoscimento di questa fase e una più elevata medicalizzazione e questo dato risulta essere in linea con quanto riportato in letteratura. Secondo alcuni autori, i pazienti più anziani, sia come età dialitica sia anagrafica, tendono a considerare la dialisi come parte della loro vita piuttosto che un trattamento medico.15 Infatti, in caso di deterioramento importante delle condizioni di salute o di insorgenza di patologie terminali, continuerebbero a essere sottoposti a dialisi mentre rifiutano trattamenti intensivi come la rianimazione cardiopolmonare o la ventilazione meccanica.20
Anche se con intervalli di confidenza più ampi e che contengono la condizione di indifferenza, anche alcune comorbidità come vasculopatie, anemie e tumori hanno mostrato una possibile associazione con un maggior riconoscimento del fine vita. Per quanto riguarda i tumori, questa associazione potrebbe essere spiegata dal coinvolgimento nella cura dei pazienti con neoplasia di altri specialisti, quali gli oncologi e i radioterapisti, con una maggiore esperienza e attitudine nel riconoscimento del fine vita. Altre patologie sembrano, invece, associarsi a un minore riconoscimento del fine vita e, tra queste, emergono le demenze e i disturbi psichici e le cardiopatie.
I pazienti in trattamento emodialitico cronico soffrono spesso di una serie di sintomi e segni che incidono negativamente sulla loro qualità di vita. Il numero di sintomi e la loro gravità risultano, da letteratura, sovrapponibili a quelle dei pazienti con neoplasia.4 La stessa procedura dialitica non è scevra da complicanze quali aritmie cardiache, ipotensione o ipertensione intradialitica, così come sono frequenti complicanze degli accessi vascolari come malfunzionamento e infezioni. Tutto questo comporta un tasso elevato di ospedalizzazione. Uno studio ha rilevato che i pazienti in trattamento renale cronico hanno, rispetto alla popolazione generale, un tasso di ricovero 2,70 volte più alto, probabilità 4,72 volte maggiore di essere classificati con codici di emergenza/urgenza in pronto soccorso e di tassi di ricovero in terapia intensiva 2,21 volte superiori.2
Quando in questi pazienti si verifica un aggravamento delle condizioni generali anche per la presenza di gravi comorbilità – malattie cardiovascolari, diabete, malattie polmonari croniche ostruttive e malattie vascolari periferiche – o si è in presenza di una cattiva prognosi a breve termine o di una scarsa tolleranza al trattamento, la dialisi non solo non ne migliora aspettativa o qualità di vita, ma costituisce spesso un prolungamento delle sofferenze nelle ultime fasi della vita. Negli ultimi anni, in alcuni Paesi la sospensione della dialisi è diventata la prima causa di morte dei pazienti dializzati, responsabile del 20%-25% delle morti.1,3 La ragione principale per la sospensione del trattamento è il rifiuto da parte del paziente di proseguire nella terapia per motivazioni psicologiche o sociali.21,22
Sia i registri internazionali sia quelli nazionali, così come il RRDTL, inseriscono tra le cause di morte la sospensione del trattamento e spesso viene registrato anche il motivo della sospensione. La sospensione viene considerata come causa di morte, in quanto il trattamento emodialitico è un trattamento salvavita eseguito mediante un device. Quindi, anche se la causa principale del deterioramento che conduce al decesso può essere individuata in una patologia specifica, nel momento in cui viene sospesa la dialisi, questa diviene la causa determinante il decesso.
Tuttavia, l’utilizzo delle cure palliative nei pazienti con malattia renale cronica in terapia sostitutiva, cioè quei pazienti in trattamento sostitutivo renale cronico (emodialisi o dialisi peritoneale), è molto limitato. Negli Stati Uniti si calcola che tra il 20% e il 25% venga presa in carico, in confronto con quanto avviene per altre patologie (neoplasie, cardiopatie, malattie respiratorie eccetera) in cui il ricorso alle cure palliative è molto superiore.4,23 Uno dei motivi di questa scarsa attivazione dei percorsi è che i nefrologi tendono spesso a focalizzarsi sul complesso quadro clinico di questi pazienti e a non considerare un setting di cure palliative con figure specialistiche interdisciplinari (palliativisti, geriatri, infermieri, assistenti sociali, assistenti spirituali e dietologi) che può offrire un ulteriore livello di supporto ai pazienti e alle famiglie. Il ricorso a una prospettiva multidisciplinare e multidimensionale consente di sviluppare una maggiore consapevolezza prognostica e di individuare le preferenze del paziente e le decisioni terapeutiche con l’obiettivo di una “pianificazione condivisa delle cure”.24
Per i pazienti con malattia renale avanzata, in cui il trattamento sostitutivo renale non è indicato per la presenza di un rapporto benefici/gravosità scarso o per la volontà del paziente, esistono programmi di presa in carico di cure palliative in collaborazione tra nefrologo e palliativista come la comprehensive conservative care, definita come assistenza olistica centrata sulla persona.9,24 Questa include interventi per ritardare la progressione della malattia renale e ridurre al minimo il rischio di eventi avversi o complicanze, escludendo il ricorso alla dialisi, un processo decisionale condiviso, la gestione attiva dei sintomi, una comunicazione dettagliata (compresa la stima della prognosi e la pianificazione anticipata delle cure), il supporto psicologico, il sostegno sociale e familiare e l’inclusione di domini di cura culturali e spirituali.9,25 Per i pazienti in dialisi che per varie motivazioni devono interrompere il trattamento non è stato compiutamente sviluppato un programma analogo. In questi anni, sono state pubblicate numerose linee guida, raccomandazioni, documenti condivisi, nazionali e internazionali per individuare criteri e modalità per il non inizio, la sospensione e l’utilizzo delle cure palliative nei pazienti con malattia renale cronica e/o in dialisi.9,10,26,27 In questi documenti sono anche indicati alcuni strumenti e score da utilizzare per determinare la prognosi.14,28-31
Un limite di questo studio riguarda la bassa capacità discriminante del modello di regressione multipla, così come indicato anche dall’analisi della curva ROC. Considerazioni in merito riguardano la possibile esistenza di fattori non misurati o per i quali le informazioni non sono disponibili in prossimità del decesso e la possibile misclassificazione dell’esito.
Nel Lazio non esistono, ad oggi, registri dedicati al fine vita dei pazienti in dialisi. In particolare, al momento dello studio, non era disponibile il dato sul ricorso agli hospice, strutture in cui le cure palliative vengono erogate. La disponibilità di un archivio sulle cure negli hospice e l’uso integrato con il RRDTL, infatti, avrebbe permesso di descrivere con maggiore accuratezza il fenomeno. In alternativa, il RRDTL rappresenta attualmente una fonte informativa unica e, quindi, molto importante per lo studio dell’epidemiologia e dell’assistenza ai pazienti dializzati nel Lazio.13 L’identificazione dell’interruzione del trattamento dialitico è stata ottenuta integrando i dati provenienti da RRDTL, SIAS e SIO. In particolare, si è fatto affidamento sulle date di inizio e fine trattamento riportate nel SIAS, informazioni raccolte per scopi amministrativi. Per ridurre il possibile bias informativo dovuto alla tipologia di informazione considerata, sono state calcolate due diverse date di fine trattamento: una basata direttamente su dati disponibili e l’altra ottenuta integrando i dati riportati sul SIAS e il dato clinico sulla media delle prestazioni emodialitiche. Tra le due opzioni, è stata selezionata la data più lontana, con il rischio di una possibile sottostima del numero effettivo di interruzioni. Tra le due date, è stata scelta la massima con una possibile sottostima dell’evento “interruzione”. Per quanto riguarda i pazienti dimessi nell’ultima settimana antecedente al decesso, essi non sono stati considerati tra coloro che interrompono il trattamento dialitico, in quanto la letteratura a riguardo mostra che all’ospedalizzazione degli ultimi giorni di vita non si associa generalmente un percorso di cure palliative attive. Infine, il giudizio di implausibilità dell’interruzione del trattamento dialitico oltre i 15 giorni prima del decesso nel presente studio è pur sempre arbitrario e ha comportato una selezione rilevante della popolazione con possibile distorsione nei risultati. Ancora a riguardo alla metodologia, un punto chiave è stata la considerazione del mancato riconoscimento del fine vita nei casi di decesso in ospedale o nei giorni immediatamente successivi alla dimissione, anche sulla base dei dati presenti in letteratura sulla medicalizzazione del fine vita. Diversi studi hanno sottolineato, infatti, che circa il 60%-70% dei pazienti in trattamento sostitutivo renale muore in corso di degenza ospedaliera e, spesso, in un reparto di terapia intensiva.2,3 Rispetto ai pazienti affetti da neoplasia, la medicalizzazione del fine vita è maggiore, mentre è minore il ricorso a cure palliative.32 Inoltre, è stato riportato che i pazienti che hanno iniziato un percorso di cure palliative hanno meno probabilità di avere una medicalizzazione del fine vita.
Conclusioni
Questo è il primo studio in Italia che ha provato a indagare il fine vita nei pazienti in emodialisi utilizzando i dati dei SIS.
In assenza di dati diretti sull’utilizzo delle cure palliative nei pazienti in dialisi, sono stati utilizzati indicatori proxy per il riconoscimento del fine vita, considerando questo essenziale per l’attivazione delle cure palliative e ottenendo comunque un risultato in linea con i dati di letteratura.
Seppur attraverso una misurazione indiretta, lo studio ha riportato per il Lazio uno scarso riconoscimento del fine vita, con conseguente medicalizzazione di questa fase di vita e prosecuzione del trattamento dialitico fino in prossimità del decesso. Questi dati mostrano un impatto del mancato riconoscimento non solo sul singolo paziente, con il rischio di sottoporlo a trattamenti non più proporzionati, e di un fine vita fortemente medicalizzato, ma fanno emrgere anche un problema di sanità pubblica.
L’analisi dei possibili predittori, nonostante i limiti discussi, ha riportato risultati in linea con le attuali evidenze e potrà contribuire allo sviluppo di ulteriori approfondimenti sul tema.
La definizione e condivisione di un documento di pianificazione anticipata dei trattamenti potrebbe essere un valido strumento per creare una maggiore comunicazione tra personale sanitario e pazienti e loro familiari sulla traiettoria della malattia, sulla prognosi, sulla qualità di vita e sulle aspettative del paziente. Questo consentirebbe un maggior ricorso alle cure palliative e una minor medicalizzazione del fine vita.3
La disponibilità di un sistema di rilevazione dei dati di cure palliative, la formazione dei nefrologi operanti nei centri dialisi e la creazione di équipe multidisciplinari con palliativisti devono essere priorità per il servizio sanitario, sia per migliorare la qualità della vita del paziente nei suoi ultimi giorni sia per favorire una gestione delle risorse più appropriata.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
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